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Lettera a tre amiche benedette – storie di mamme

La mia bimba, la mia gioia, la mia stellina, ha da poco compiuto un anno.

Le emozioni provate durante questi mesi sono state infinite, contrastanti, sconvolgenti. Sì perché l’arrivo di un bambino in una famiglia, soprattutto se il primo, ti sconvolge, ti ribalta la vita. A volte non vedi l’ora che la tua esistenza venga messa sotto sopra da quel piccolo esserino, altre volte sei un po’ spaventato da quello che ti aspetta, di solito hai paura di non essere in grado di fare il genitore. Ma come sempre, la realtà mette a terra i pensieri e si fa strada nel quotidiano, in un modo o nell’altro.
Io ero felice e impaziente di vivere questo stravolgimento, anche quelle 24 ore di travaglio alla fine le ho ben accolte, intendiamoci, una volta finite! Perché mentre le vivevo avrei preferito di gran lunga trovarmi su una spiaggia caraibica piuttosto che seduta su una palla a far roteare il bacino.
Lei è nata, bella come il sole e noi felici come non immaginavamo si potesse essere. Tuttavia il dolore fisico era tanto, tantissimo. In ospedale non riuscivo ad alzarmi dal letto e una volta a casa la situazione non migliorò. Vedevo altre ragazze intorno a me alzarsi e stare bene già subito dopo il parto, mentre io ero immobile, spaventatissima dall’idea di non riuscire a riprendermi completamente. Questo fece sì che i parenti che mi circondavano, credendo di aiutarmi, non facevano altro che prendere mia figlia tra le loro braccia lasciando le mie vuote e colme di incapacità e dolore, non più solo fisico ma anche emotivo. I giorni passavano e ogni mattina speravo con tutto il cuore di sentirmi meglio una volta in piedi, invece non era così.

Ci vollero due mesi pieni prima che iniziassi a riprendermi, e a poter dire che stavo meglio.

Quei due mesi furono durissimi e, oltre al mio santo marito che non ringrazierò mai abbastanza, ci furono tre persone, tre amiche che mi stettero molto vicino e accolsero quei pianti quotidiani disperati con i quali confidavo loro la mia paura.

Loro venivano a casa mia, mi aiutavano, stiravano, piegavano i panni, preparavano le decorazioni per la festa per il battesimo della piccola o stavano semplicemente lì a chiacchierare, ad ascoltare i miei sfoghi, sempre allegre, sorridenti, accoglienti. Ed io con la pupa in braccio attaccata al seno, spiaggiata sul divano dove trascorrevo la maggior parte della giornata. Evidentemente loro avevano visto che c’era qualcosa che non andava, che sebbene mi fossi innamorata incredibilmente di quella minuscola creatura, ero fisicamente a pezzi e questo, quando vorresti uscire anche solo a fare due passi con la carrozzina, diventa un ostacolo insormontabile.

Tutto ciò per dire che auguro ad ogni neomamma delle amiche così, che non si vantano del loro parto indolore ma che ti raccontano tutte le ferite che ancora si portano dietro, facendoti sentire normale.

E per chi, per un motivo o per l’altro, non potesse contare sulle amicizie, vi sprono a confidarvi con vostro marito, ditegli il più chiaramente possibile – perché con i maschi si sa, bisogna essere chiari – che vi fa stare tanto male quando i parenti vi prendono dalle braccia il vostro bimbo. E no, non è perché siete gelose né possessive, è perché siete diventate mamme. Fino a poco prima avete tenuto dentro la vostra pancia quella stessa creatura che ora tenete stretta sul vostro petto. Ci vuole tempo e delicatezza da parte di chi circonda la diade.
E grazie a voi, amiche delle mamme appena nate, che portate gelati, spensieratezza, risate, e che sollevate l’umore di quelle donne che ancora purtroppo stanno vivendo il travaglio, chi fisico e chi psicologico, e hanno bisogno di una, due o tre mani che accarezzano forte la loro schiena per aiutarle a superare quell’ondata di dolore.