Vatti a fidare di Dio

cose di lassùA quanto pare, Gesù, non disdegnava il pesce arrosto a colazione.

Mica bacon e uova (Lc 24,41-43). E quando pensava, invece di toccarsi i capelli come faccio io o fare i ghirigori con la penna sul primo pezzo di carta disponibile, lui disegnava col dito per terra (Gv 8,6). La sua scarpa preferita pare fossero i sandali (Gv 3,16) anche se credo che la scelta fosse dettata sopratutto dalla moda dell’epoca e oggi, magari, avrebbe un bel paio di Birkenstock, perché diciamocelo, amava cose semplici, ma di qualità, come la sua tunica senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo (Gv 19,23-24). Le immagini ce lo ritraggono sempre come un tipo dal fascino un po’ hipster, barba lunga e incolta, ma questo, non è confermato da nessuno, quindi direi, che se vi piacciono di più i tipi sbarbati, forse potete immaginarlo anche così, che quello che conta, è il fascino irresistibile di questo uomo, che andava oltre la sua apparenza fisica.

Non era un grande compagno di viaggio, più di quelli col sonno profondo che se la dormono beatamente mentre guidi e quando freni chiedono a mezza bocca “siamo arrivati?”, che neanche l’uragano Katrina li sveglierebbe (Mc 4, 35-41).

Era un buongustaio: se ne intendeva di vino buono (Gv 2,10) e pure di posticini dove mangiare con gli amici (Mc 14,13-15). Prenotazione per 13 a nome “Il Messia”, che il tipo della sala avrà sicuro pensato alla solita bravata di ragazzi.

Questo Gesù, che era davvero un uomo, che ha sperimentato il calore di una mamma, la bellezza dell’amicizia e il dolore del tradimento di quella che credevi la più vera. Questo Gesù che ha dato fuori di testa al tempio. Questo Gesù così tanto umano da non risparmiarsi neanche nell’ultima ora. Che io, Dio, lo avrei capito se si fosse scelto una morte diciamo “dolce” e meno traumatica. Già sarebbe stato difficile così. Sarebbe bastato. Invece no.

Questo Gesù si è fatto uomo proprio nella cosa che ci accomuna tutti: la paura.

Quella che nel Getsemani in cui tutti prima o poi ci troviamo, fa vacillare la fiducia. Quella di morire. Ha avuto freddo, si è sentito solo, perso, ha chiesto “perché?”. Così come facciamo tutti noi. Poi ha abbracciato la croce, cercando lo sguardo della mamma tra la folla, come penso tutti faremo nel momento più buio.

Quel Gesù così umano, abbracciando la nostra umanità è venuto a dirci, “lo so”.

Lo so che gran casino è essere umani. Lo so cosa significa perdere gli amici, essere osannati e poi abbandonati, nascere poveri, avere paura. Lo so cosa significa soffrire e morire. Lo so cosa significa essere presi per pazzi a causa della propria fede.

Io, di questo Dio che si è fatto uomo mi fido.

Perché è venuto a prendersela la nostra fiducia, non a dirci di fidarci dall’alto dei cieli, ma qui, per terra, in mezzo a noi. Un Dio che è venuto per primo verso di me, a prendere la mia natura, a farmi vedere come gestirla. Non mi chiede di capire, ma di imitare. Non si mette sopra, ma condivide quanto di bello, brutto e difficile c’è. E gli dà un senso nuovo.

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