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Smettiamo di dire alle mamme “basta che sia sano”

Foto di pancioni infiocchettati,

donne che si fanno ritrarre belle con i loro chili in più, abbracciate dai loro mariti o compagni, come fossero uno scrigno che protegge la perla, la più bella, il figlio che di lì a poco nascerà. Ogni giorno su Facebook ne vedo tante nello scorrere delle notizie. Poi passano i giorni, molti, quasi tutti, pubblicano un post, chi con la foto del bimbo, chi con solo una frase a celebrare l’evento tanto atteso, così da far sapere a tutti che è nato, mamma e bambino stanno bene e la famiglia è felice. Può succedere, a volte, molto di rado, che quel post non venga pubblicato, perché non tutto è andato come sperato, c’è stato un imprevisto, perché purtroppo anche se non se ne parla mai e non ci si vuol pensare il momento del parto è forse la più grande incognita, perché per quanto possa essere andato tutto bene fino a quel momento, le variabili che influiscono sono tante e quasi nessuna dipende da noi. Quindi paura, panico, terrore, ansia, disperazione, tristezza prendono il sopravvento e chi ci sta intorno non sa cosa fare, come reagire, cosa dire soprattutto.

La frase “potrebbe aver riportato dei danni durante la nascita” vuol dire tutto e niente.

La mamma e il papà vivono momenti difficilissimi, certo, questo è vero. Poi c’è chi vive tutto questo molto prima, durante i primi mesi della gravidanza, si fanno controlli, esami, ecografie e viene fuori che il piccolo bambino che sta nella pancia potrebbe avere qualcosa che non va, non è così perfetto come i canoni tradizionali richiedono, detta ironicamente. E in questo caso quello che vivono i due futuri genitori è ancora più tremendo, se possibile, in quanto la loro scelta può comportare conseguenze terribili per la piccola creatura. Tutto questo per farvi immaginare, per farvi proprio focalizzare queste situazioni e porvi di fronte ad una domanda che forse non vi siete mai fatti:

quanta importanza hanno le reazioni, i consigli non richiesti, le frasi buttate lì da parte di chi sta intorno a questa nuova famiglia?

I futuri nonni, i futuri zii, le amiche e gli amici dei due sposi. Il villaggio, per dirla citando le parole di un noto proverbio africano. Quante volte quei due genitori avranno sentito i propri genitori o i fratelli dire che gran disgrazia è avere un figlio non sano, perché si sa, va bene tutto basta che sia sano. Sì, alla nascita, ma poi? Se scopri di avere una malattia inguaribile quando hai vent’anni? Una malattia degenerativa, che ti costringerà a dipendere dai farmaci per il resto della vita e ti comprometterà la possibilità di avere uno stile di vita…come? Soddisfacente? Beh, a quel punto che succede? Chiamano i tuoi genitori e gli dicono “Guardate, sentitevi liberi di prendere la vostra scelta”? Eh no, non funziona così.

Bene, il punto è questo: spesso, molto spesso, quei due futuri o neo genitori avrebbero anche potuto trovare insieme l’amore necessario per crescere un bimbo con bisogni speciali, ma il fatto è che vengono scoraggiati da chi li circonda, da chi crede e parla credendo che solo una vita performante, sana, al top sia degna di essere vissuta. Ma questa è una grande balla! È una bugia, un inganno del demonio che spinge a rinnegare il dolore e a ricercare soltanto la felicità dell’apparenza. Ma chi ha fatto esperienza diretta del dolore e della sofferenza, siano essi fisici, dovuti ad una malattia, o causati da una situazione, sa benissimo quanto invece sia proprio la sofferenza a mettere in moto l’amore. Certo che non è semplice, certo che è dura, nessuno dice che non lo è, nessuno nega la realtà. Ma c’è di più, c’è che quel figlio è un dono, qualunque sia il suo stato di salute, qualunque danno abbia subito alla nascita, nonostante tutto lui è figlio di quel papà e di quella mamma spaventati, terrorizzati dalla vita che li aspetta. Allora il villaggio che li circonda, le persone che fanno parte delle due famiglie e gli amici devono rimboccarsi le maniche e togliere i musi lunghi dalle facce e le parole bisbigliate dalle bocche e sostituirli con grandi sorrisi rassicuranti e momenti di presenza vera. E per chi sa di non saperlo fare, di non riuscire a rinnegare una vita in cui ha creduto sempre che “se capitava a me avrei sicuramente abortito” il consiglio è: informatevi, leggete testimonianze, storie di chi invece ha fatto una scelta di vita diversa, di chi ha creduto che non siamo padroni della nostra di vita, capirai di quella di un figlio. Insomma, preparatevi, siate pronti a non usare parole stupide, a non avere espressioni che possano offendere, a non essere accondiscendenti, piuttosto amorevoli, accoglienti e sorridenti. Questo per riflettere, perché credo davvero che essendo nessuno di noi una monade, le nostre scelte, anche quelle di coppia, siano influenzate, chi più chi meno, da chi ci circonda e molto spesso neanche da consigli ricevuti direttamente, bensì da un clima generale che aleggia in una determinata famiglia allargata, o in una cerchia di amici. Mi viene pensato a quando io ero incinta e una persona a me vicina mi raccontò di una donna che per ben due gravidanze consecutive aveva scoperto di portare in grembo un bimbo affetto da gravi malformazioni incompatibili con la vita e che in entrambi i casi aveva abortito. Beh, questa persona mi raccontò quella storia sottintendendo approvazione e dando per scontato che chiunque avrebbe fatto lo stesso. Ecco, potete immaginare quello che può provare una donna che invece decide di portare avanti la gravidanza in ogni caso, pur sapendo che il figlio tanto atteso potrebbe non arrivare al suo secondo giorno di vita dopo il parto? Spesso, il dolore di queste madri e di questi genitori è peggiorato da coloro che invece dovrebbero sostenere, aiutare, sollevare.

Facciamo un piccolo esame di coscienza e impegniamoci ad essere amiche, sorelle, madri, nonne, suocere migliori, anche quando per farlo ci è richiesto di rinnegare noi stesse mettendo in discussione i nostri punti fermi, i nostri modi di dire, fare, pensare.

Insomma, facciamoci piccoli per far spazio agli altri, per abbracciare senza giudizio né commiserazione ma con affetto e disponibilità il dolore di chi abbiamo accanto, in modo particolare quella sofferenza così tosta di chi si prende cura della malattia di un figlio. E siccome anche con tutta la buona volontà restiamo comunque umani, alziamo gli occhi dal nostro ego smisurato e dirigiamoli verso la mamma celeste che abbraccia suo figlio morto e deposto dalla croce, vedrete che il cuore vi farà una piccola piroetta e inizierete a vedere che la vita ha valore sempre, proprio in quanto vita.

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