Amore, famiglia e ovviamente…femminilità (vera!): intervista a Costanza Miriano

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Sai quando segui da talmente tanto tempo una persona che ti sembra di conoscerla davvero e invece non l’hai mai incontrata? O quando leggi un libro e pensi, cavolo, questa sta parlando proprio di me, ma lei non sa neanche che esisti? Peggio: quando stalkeri la persona in questione fin quando, dopo averla mancata innumerevoli volte quando arrivava vicino a casa tua a parlare a qualche convegno, riesci a beccare la serata giusta? Bene, quella serata è arrivata per noi poche settimane fa.

E Costanza Miriano (sì, proprio lei, in carne, ossa e leopardato) ha risposto ad alcune delle nostre domande!

Costanza, nei tuoi libri fai spesso riferimento al matrimonio cristiano come a qualcosa di certamente faticoso, una scelta totale e definitiva, ma al tempo stesso pienamente appagante e la sola in grado di guidarci verso la vera felicità. Nel mondo attuale questa proposta è poco popolare e viene scansata da false promesse di felicità che hanno alla base il romanticissimo “prima proviamo come va la convivenza e poi magari ci sposiamo”. Perché secondo te una coppia giovane oggi dovrebbe scegliere la strada del matrimonio, rispetto a ciò che propone il mondo?

Su un piano semplicemente umano e psicologico, che poi è sempre in qualche modo confermato o comunque almeno in parte sovrapponibile a quello della fede, cambia completamente la prospettiva: non è “vediamo se funziona”, ma “abbiamo deciso che deve funzionare per sempre quindi proviamo in tutti i modi a far sì che funzioni”. Invece, da un punto di vista molto più importante, che è quello della fede, il matrimonio è un sacramento nel quale non si è più da soli, ma si è con il Signore, il solo che può dire veramente “per sempre”, l’unico capace di questo amore totale e assoluto che noi ci promettiamo il giorno del matrimonio.
C’è una vera, completa e tangibile azione di un’altra persona che entra in gioco e che a quel punto sta al fianco dei due, perché ci si sposa in tre, ci si sposa chiedendo la grazia. Penso che nel contesto culturale in cui viviamo non ha senso sposarsi se non in chiesa, perché oggi tutte le altre forze culturali che prima coincidevano con l’idea del matrimonio borghese solido e stabile e che quindi in qualche modo premevano in
direzione dell’indissolubilità, non ci sono più; oggi tutto ti dice che le tue sensazioni e i tuoi sentimenti devono vincere su qualsiasi cosa. Mi è capitato spesso che molte amiche mi dicessero “Non provo più niente per mio marito”; a quel punto è difficile spiegare a una persona che per tutta la vita ha pensato che l’amore fosse provare qualcosa che non è quello il vero significato dell’amore. Quindi culturalmente siamo immersi in questo contesto; ciò nonostante si può comunque provare a combattere anche su un piano culturale, sempre tenendo presente che solo il piano della grazia può vincere su tutto.

Sposarsi è un passo importante, cambia la vita della coppia che arriva alla piena condivisione ma non è l’arrivo, bensì la partenza. È dire sì al progetto di Dio per noi. Fa parte di questo progetto l’accoglienza della vita. Tra le giovani coppie si sente spesso parlare di “genitorialità responsabile” intesa come la decisione di mettere al mondo solo quel numero di figli al quale si possa garantire una vita – dal punto di vista strettamente materiale – dignitosa: devono poter tutti svolgere un’attività sportiva, suonare uno strumento, devono poter avere accesso agli stessi beni dei loro coetanei per non sentirsi diversi. Costanza, secondo te in cosa dovrebbe concretizzarsi la cosiddetta “genitorialità responsabile”?

Sicuramente non nel pensare di dover necessariamente fornire tutte le possibilità ai figli, di dover soddisfare tutti i loro desideri. Oggigiorno esiste uno standard di vita considerato accettabile da proporre ai propri figli che secondo me non è quello necessario. Ho visto famiglie vivere veramente con pochissimo. Certo, bisogna poter garantire un tetto, il cibo e l’istruzione, questa è responsabilità chiaramente.

Non pensi che Dio provveda?

Assolutamente sì, penso che Dio provveda, penso che ci debba essere un tetto e da mangiare, perché quella è responsabilità, ma ho visto concretamente Dio provvedere. Nel nostro caso, quando abbiamo scoperto di aspettare le gemelle avevamo una casa minuscola e mille euro in banca, poi ci è arrivato un grosso aiuto dalla famiglia, che non era assolutamente in programma. Sicuramente Dio provvede, però anche l’Humanae Vitae invita alla responsabilità e in tutti i contesti in
cui la Chiesa si esprime parla di responsabilità. Il punto è che oggi la responsabilità è usata un po’ come una scusa, perché viene intesa come la capacità di fornire ai figli uno standard di vita molto alto. Non penso che sia un fatto di misura, ma di dire “noi ci apriamo alla vita misurando le nostre forze, le nostre capacità, e se Dio manderà un figlio in più di quello che a noi sembra ragionevole, sicuramente poi provvederà”. Per quanto riguarda la mia esperienza, io ero precaria e mio marito aveva uno stipendio normale, il Signore ha guidato la nostra vita e ha provveduto sempre, abbiamo accolto i figli che sono arrivati. Perché una famiglia possa aprirsi alla vita oggi ci si aspetta uno standard irragionevolmente elevato. Ho tante amiche che si sono laureate col quarto figlio in braccio, o anche coppie di amici dove lei lavorava e lui finiva l’università, quindi all’inizio ha lavorato lei, poi quando sono arrivati i figli lui ha trovato lavoro e lei ha lasciato il lavoro e in questo momento per esempio una di esse fa la mamma di cinque figli.
Non è necessario che ci sia la casa, il doppio stipendio, il posto fisso, anche perché purtroppo per la situazione che c’è oggi in Italia si tratterebbe di arrivarci a trentacinque anni. Al primo contratto ho avuto un figlio, e l’avrei avuto anche prima se avessi incontrato prima mio marito, quindi sicuramente non mi appartiene questo tipo di calcoli. Ho potuto vedere come nella mia vita Dio abbia provveduto sempre a tutto e ho visto molte volte case allargarsi quasi miracolosamente con l’arrivo dei figli.

Ti definisci una “traduttrice” più che una scrittrice, in quanto cerchi di tradurre le cose della Chiesa e della fede in un linguaggio che sia attuale e comprensibile a chi oggi è immerso nel mondo. Uno dei temi a te più cari è quello del “femminile”, dell’essere donna nella famiglia, nella coppia e nella società. Tuttavia il “femminile” che il mondo propone è quello della donna emancipata dalla sua vocazione di madre, la donna che sceglie la carriera a tutti i costi piuttosto che la famiglia, la donna che è come l’uomo in tutto e per tutto, la donna che non ha bisogno di nessuno, indipendente e unica padrona del suo corpo. Questa è la donna dei giornali, dei film, della televisione, ma anche della società, delle relazioni. Quale credi dovrebbe essere l’immagine della donna fedele alla sua reale essenza?

La vera essenza dell’identità femminile è la maternità, che sia biologica o spirituale, la capacità di stare vicino alla vita è proprio la caratteristica femminile per eccellenza. Quello che mi preme sottolineare non è tanto l’importanza di una battaglia culturale in questo verso, quanto il fatto che le donne sono infelici se cercano di obbedire a quel modello a cui vi riferite nella domanda. La propaganda del mondo è talmente subdola e furba che convince le donne a costringersi ad un’infelicità assoluta e
totale, dove all’inizio si è nell’illusione di essere libere, sembra di avere tutto davanti e poi invece ci si ritrova passati i quarant’anni a fare bilanci. Conosco tante donne che alla soglia dei quaranta cominciano a porsi il problema della maternità, e a quel punto iniziano i problemi. Le donne felici e serene che conosco sono donne che non hanno detto no alla maternità; i figli possono anche non arrivare, ma un conto è averli evitati e un conto è che non sono venuti, e in questo caso si può essere materne in tanti modi. L’immagine della mamma proposta dal mondo è quella di una donna annullata, infelice, frustrata, non realizzata, che puzza di minestrone. La verità è che si possono tenere insieme tante cose; come voi insegnate nel blog non necessariamente una mamma deve annullarsi, si può continuare ad essere attente alle altre relazioni, alle amicizie, alla cura dell’aspetto fisico. La realtà è che, se ti apri alla vita, poi hai molte più energie e forze per aprirti a tutto il resto, sempre con responsabilità. Io prima correvo le maratone e mi allenavo tre ore al giorno. Con l’arrivo dei figli ho dovuto fare dei cambiamenti, avrei anche potuto continuare a farlo, chiamare una tata all’occorrenza, ma non sarebbe stato ragionevole rispetto alla mia chiamata. Si può però trovare qualche momento nello sport, quasi in ogni giornata. Certo, ho rinunciato a fare un’altra maratona di New York, la farò di nuovo quando i figli saranno grandi. Certamente ci sono delle rinunce da fare, mentre il mondo ti dice che tutto è a tua disposizione; non è vero, però dico che quello che abbiamo scelto noi è più gratificante e bello di tutto il resto che è una bugia.

Nel tuo libro “Si salvi chi vuole. Manuale di imperfezione spirituale” proponi una guida pratica per fondare la propria vita spirituale su cinque pilastri (preghiera, parola di Dio, confessione, Eucaristia, digiuno). È un cammino personale, quello di cui ci parli, privato, che riguarda la persona singola, la quale se lo segue fa sì che la famiglia di cui fa parte benefici di tutti i frutti. E per condividere nella coppia il pilastro della preghiera?

Io ti devo deludere qui, perché noi non preghiamo tanto insieme. Devo dire che non conosco tante coppie che camminano insieme nella fede, ci sono e le invidio molto, li ammiro moltissimo però non è il nostro caso, nel senso che abbiamo avuto delle storie diverse nella fede e tutt’ora abbiamo un passo diverso, l’importante comunque secondo me è che ci sia la condivisione di fondo, che ci siano i sacramenti, poi se ci sono famiglie e coppie che riescono a pregare insieme è molto meglio. Penso che uomini e donne siano molto diversi anche nella fede: nel mio caso, io e mio marito abbiamo avuto delle storie, dei cammini diversi poi il Signore cuce, prende e fa. Ogni tanto abbiamo dei momenti forti, magari qualche novena fatta insieme, questo sì, soprattutto per i figli.

Costanza, facci il nome di una Santa alla quale sei legata e una donna del presente che secondo te hanno impersonificato al meglio con la propria vita un modello di donna al quale possiamo rifarci anche oggi.

Santa Teresa D’Avila, perché è stata una coraggiosa, una fondatrice, una grande mistica innamorata del Signore ma anche una donna d’azione, una che ha fondato un sacco di monasteri, che ha rinnovato l’Ordine, che ha scritto, che ha detto alle sue suore “siate virili, siate forti”, è stata una grande sia nella mistica, col suo “castello interiore”, sia nell’azione. Lei è entrata nel Carmelo a vent’anni, però dice che il vero matrimonio con lo Sposo l’ha fatto dopo i quarant’anni, dimostrando di essere molto moderna in questo, una che ha continuato la ricerca anche molti anni dopo essere entrata in monastero. Per quanto riguarda il presente invece, ho diverse amiche modello, una mamma di sette, una di tre, una senza figli ma piena di energie per tutti, una che ne ha quattro ed è primario di gastroenterologia, una mamma di due avvocato… tante donne che riescono a fare tutto con grandezza, con un amore al Signore veramente incredibile. Se devo citare una donna un po’ più nota (anche perché tra le mie amiche non posso scegliere, le vorrei tutte), a me piace tantissimo Flora Gualdani, ostetrica aretina, fondatrice dell’opera “Casa Betlemme”, un luogo dove insegna alle coppie i metodi naturali, l’Humanae Vitae, una donna che ha fatto nascere migliaia di bambini per quarant’anni, che ha scelto di non sposarsi per mettersi interamente al servizio della vita nascente, aiutando le donne che volevano abortire a non farlo, quelle che avevano abortito a chiedere perdono al Signore e quindi a perdonarsi, insegnando alle coppie la sessualità secondo la Chiesa, accogliendo a casa persone in difficoltà, mamme, ecc. Flora Gualdani ha veramente dedicato tutta la sua vita alla vita nascente, che è la grande mancante sia nella vita in generale, sia e soprattutto nella vita delle donne; ci sono davvero poche persone che incoraggiano la vita nascente, quindi direi che scelgo lei!

 

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