QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #38 AL SICURO

Il rumore della pioggia che tamburella sul tetto della nostra abitazione mi spinge delicatamente verso uno stato cosciente. Ma poi mi riaddormento, avvolta in un caldo bozzolo di coperte, al sicuro, a casa. Mi rendo conto vagamente che mi fa male la testa. Forse ho l’influenza, ed è per questo che mi è permesso di stare a letto, anche se ho la sensazione di aver già dormito molto a lungo. La mano di mia madre mi accarezza la guancia e io non la respingo, come farei se fossi sveglia, perché non vorrei mai che sapesse quanto desidero quel tocco delicato. Come mi manca, anche se non mi fido ancora di lei. Poi sento una voce, una voce diversa, nonquella, di mia madre […]  “Peeta”. “Ehi” dice. “Che bello vedere di nuovo i tuoi occhi”. “Per quanto tempo sono rimasta incosciente?” domando. “Non lo so di preciso. Mi sono svegliato ieri sera e tu eri distesa in una pozza di sangue davvero spaventosa” risponde lui. “Penso che non sanguini più, ora, ma se fossi in te non cercherei di alzarmi o fare altro”. Mi porto con cautela una mano alla testa e la trovo bendata. Questo semplice gesto mi lascia debole e stordita. Peeta avvicina una bottiglia alle mie labbra e io bevo avidamente. […] “Non troppo presto, d’accordo?” dice. “Lascia che mi prenda cura di te, per ora”. Non mi pare proprio di avere altra scelta. Peeta mi fa mangiare qualche pezzetto di fagiano e un po’ d’uva passa e mi fa bere moltissima acqua. Mi scalda i piedi massaggiandoli e li avvolge nella sua giacca, prima di rimboccarmi il sacco a pelo intorno al mento. […] Poi, ovviamente, gli racconto tutto. Cose che avevo tenuto per me, perché io non ero ancora pronta a riviverle e perché lui era troppo ammalato per fare domande. Come l’esplosione e il mio orecchio e Rue che moriva e il ragazzo del Distretto 1 e il pane. Tutte portano a ciò che è accaduto con Thresh e a come ha pagato il suo debito, per così dire. “Ti ha lasciato andare perché non voleva esserti debitore?” domanda Peeta incredulo. “Sì. Non mi aspetto che tu capisca. Tu hai sempre avuto abbastanza per vivere. Ma se tu vivessi nel Giacimento non dovrei spiegartelo” rispondo. “Non provarci nemmeno. È ovvio che sono troppo ottuso per capire!” dice lui. “È come per il pane. Mi sembra di non riuscire a rassegnarmi di esserti debitrice” spiego. “Il pane? Cosa? Di quando eravamo ragazzini?” esclama. “Credo che ora possiamo lasciarlo perdere. Voglio dire, mi hai appena riportato indietro dal regno dei morti”. “Ma non mi conoscevi. Non ci eravamo neanche mai parlati. E poi è sempre il primo regalo quello più difficile da ricambiare. Non sarei nemmeno stata qui a provarci, se tu non mi avessi aiutata allora” dico. “E comunque, perché l’hai fatto?”. “Perché? Lo sai perché” risponde Peeta. Scuoto leggermente la testa che mi duole. “Haymitch l’ha detto, che non sarebbe stato facile convincerti”. “Haymitch?” domando. “Che c’entra lui?”. “Niente” dice Peeta. […]  Nonostante tutti i miei sforzi, sento che le lacrime iniziano a inondarmi gli occhi. Peeta mi guarda preoccupato. […] “Voglio andare a casa, Peeta” rispondo piagnucolando come un moccioso. “Ci andrai. Te lo prometto” dice e si china per darmi un bacio. “Voglio andare a casa adesso” insisto. “Ti dico cosa farai. Ti riaddormenterai e sognerai di casa tua. E ci arriverai prima che tu te ne renda conto” dice lui. […] Quando ci sistemiamo, mi tira giù la testa perché usi un suo braccio come cuscino, l’altro è appoggiato su di me come per proteggermi, anche quando si addormenta. Nessuno mi teneva così da molto tempo. Da quando mio padre è morto e io ho smesso di fidarmi di mia madre…da allora questa è la prima volta che mi sento così al sicuro tra le braccia di qualcuno.

Hunger Games, libro I, capitolo 22

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

Giovanni 13: 1-5

Finalmente, in preda allo stordimento che l’ha indebolita fino a svenire, Katniss ha un momento vero, dove crollano maschere, corazze e sentimenti di facciata.
La vediamo in purezza, attraverso un dormiveglia che la culla nei ricordi dolci dell’infanzia, che la riporta all’essenziale, ai desideri più intimi del suo cuore: ricorda l’età bambina, in cui tutte le paure, tutta la rabbia verso la mamma sembrano non essere mai esistite.
E la sentiamo agognare quella tranquillità, quelle carezze, quella brama di amore vero ed incondizionato che non le avevamo mai visto addosso prima: la delicatezza di una madre che le accarezza il viso.
Non è più Katniss la cacciatrice, Katniss la responsabile, Katniss la forte: può finalmente godere di un affetto smisurato, senza respingerlo, mostrandosi bisognosa, mostrando di avere un debole per le coccole.
È questo “riaddormentarsi” consapevole che mostra in tutta la sua forza il muro che Kat ha issato, la corazza impenetrabile che non riesce più a togliere davanti alla famiglia: da sveglia, non si sarebbe permessa di mostrarsi debole.
È questo sogno non manifestato ha portato la sua realtà lontano anni luce da ciò che in fondo il suo cuore brama. 
Eppure, quando apre gli occhi, realizza che quell’azione così intima, così naturale, non è della madre, ma di qualcun altro.
Peeta istintivamente riprende un gesto a lei familiare, senza che lei glie lo avesse mai raccontato: come se qualcosa di inspiegabile gli avesse svelato il desiderio più profondo di Kat.
È qui il segreto di quel debito che la nostra “ragazza di fuoco” non comprende, che non riesce a ripagare neanche ora che ha salvato la vita al suo “ragazzo del pane”.
Semplicemente perchè l’amore non può essere ripagato.
Peeta lo sa già e impone a Katniss di lasciarlo fare: di permettergli di accudirla, di “scaldargli i piedi” come un Gesù che li lava ai suoi apostoli.
Peeta è colui che fa riaffiorare i ricordi più lontani ed unisce Kat al suo più profondi bisogno di tornare ad amare, facendosi a poco a poco largo nel suo cuore, ottenendo il “permesso” di potersi prendere cura di lei.
E in questa misteriosa operazione vediamo Kat che sembra tornare piccola, come quando la paura e la tristezza non erano ancora riuscite ad indurirgli il cuore: la vediamo accoccolarsi, lamentarsi, fidarsi, sentirsi finalmente protetta.

Gesù è così intimo coi suoi che loro si lasciano lavare i piedi, senza vergogna, senza paure, sapendo di non esserne all’altezza, senza sentirsi a disagio: la carità va oltre le barriere, i costrutti sociali, la vergogna per un gesto così semplice eppure così personale. 

L’amore di Peeta, Kat non lo capisce ancora, lei che intanto pensa a ripagare il suo debito.

Così come noi non capiremo mai quello che Dio prova per noi, il debito che ha saldato lui ad un prezzo inestimabile per ciascuno, ancor prima che ci conoscessimo. Esattamente come Peeta. 

Gesù, lavandoci i piedi, ci chiede di fare un passo in più, ci chiede di diventare intimi, fragili, di diventare famiglia, di tornare piccoli, di scoprirci bisognosi, così come Peeta che viene scambiato per la figura più amorevole del mondo: una madre.

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