QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #39 IBRIDI

Ibridi. Nessun dubbio in proposito. Non li avevo mai visti, ma non  sono certo animali creati dalla natura. Somigliano a grossi lupi, ma quale lupo rimane agevolmente in equilibrio sulle zampe posteriori? Quale lupo usa la zampa anteriore, come se avesse un polso, per far segno al resto del branco di avanzare? Queste cose riesco a vederle da lontano. Da vicino, sono sicura che le loro caratteristiche
 si riveleranno anche più minacciose. […] Lancio la mia  freccia nella gola del primo ibrido che mette le zampe sul metallo. Mentre muore, la creatura si dibatte alla cieca, ferendo inavvertitamente alcuni dei suoi compagni. A quel punto vedo gli artigli. Dieci centimetri, e affilati come rasoi. […] Quando sono tutti riuniti, si alzano senza fatica sulle zampe posteriori, il che conferisce loro un inquietante aspetto umano. Hanno tutti uno spesso mantello, alcuni il pelo liscio e lucente, altri arricciato, e i loro colori variano dal nero a una specie di biondo. C’è qualcos’altro in loro che mi fa rizzare i peli dietro il collo, ma non riesco a capire cosa. Mettono i musi sul corno, fiutano e tastano il metallo, raspano la superficie con le zampe e poi si scambiano acuti guaiti. Dev’essere il loro modo di comunicare, perché il branco retrocede come per fare spazio. Poi uno di loro, un ibrido piuttosto grosso e dal pelo biondo morbidamente ondulato, prende la rincorsa e salta sul corno. Le sue zampe posteriori devono essere incredibilmente forti, perché arriva a tre metri sotto di noi, con le labbra rosa tirate all’indietro in un ringhio. Per un istante resta appeso lì, e adesso capisco cos’è che mi ha turbato prima. Gli occhi verdi che mi fissano torvi non sono simili a quelli di nessun cane o lupo o canide che io abbia mai visto.Sono inequivocabilmente umani. Quella rivelazione si è appena registrata nella mia mente, quando noto il collare col numero 1 ornato di gioielli, e mi rendo conto dell’orribile realtà. I capelli biondi, gli occhi verdi, il numero… È Lux. Un grido mi sfugge dalle labbra e ho difficoltà a mantenere l’arco in posizione. […] “Katniss?” sento la stretta di Peeta sul mio braccio. “È lei!” dico. “Lei chi?” chiede Peeta. Giro la testa di qua e di là, mentre esamino il branco, osservando le varie taglie e i diversi colori. Quello piccolo col manto rosso e gli occhi color ambra… Faccia di Volpe! E là il pelo color cenere e gli occhi nocciola del ragazzo del Distretto 9, che è morto quando abbiamo lottato per lo zaino! E quel che è peggio, l’ibrido più piccolo, con la pelliccia scura e lucente, i grandi occhi marroni e un collare col numero 11 in paglia intrecciata. E i denti scoperti in atteggiamento di odio. Rue… “Cosa c’è?” Peeta mi scuote la spalla. “Sono loro. Ci sono tutti. Gli altri. Rue e Faccia di Volpe e… tutti gli altri tributi” dico senza fiato. Sento il sussulto di Peeta che li riconosce. “Cosa gli hanno fatto? Pensi che… quelli sono i loro veri occhi?”. I loro occhi sono l’ultima delle mie preoccupazioni. E i loro cervelli? Gli è stato dato qualche ricordo dei veri tributi? Sono stati programmati per odiare i nostri visi perché noi siamo sopravvissuti e loro sono stati uccisi così crudelmente? E quelli che abbiamo ucciso proprio noi… vogliono vendicare la loro morte?  

Hunger Games, libro I, capitolo 25

Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?”. Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono

Giovanni 18: 11-12

Ibridi: belve feroci che hanno mantenuto tratti di umanità.
Facile.
Troppo facile: mezzi lupi, mezze persone, mostri rabbiosi, senza pietà.
Katniss riesce a riconoscere occhi, capelli, sguardi di coloro che, fino a due settimane prima erano tutti umani.

Pensavo sarebbe stato molto semplice analizzare gli ibridi che cercano di uccidere gli ultimi tributi rimasti.
Pensavo sarebbe stato semplice perché è facile rivedere gli assassini di Gesù, quelli che sembrano più bestie che uomini.
Pensavo sarebbe stato semplice: crudeltà, bestialità, tratti umani, furia.
Eppure anche così qualcosa mi sfugge.
Forse sarebbe troppo semplice paragonarli soldati che hanno torturato nostro Signore in questo prodotto di belve umanizzate.
Troppo semplice perché io non c’entri niente in tutto questo.
D’altronde, come potrei?
Non sono affamata di sangue, non sono una carceriera, non sopporto il male quando si svela così palese e cruento.
Sarebbe troppo semplice perché vivrei questa Pasqua come una spettatrice che osserva l’ingiustizia, giudicando torture e soprusi pensando di avere le mani pulite.
Che senso si può trovare a questi mostri assetati di sangue?
Sì, i soldati dovevano essere bestie per fare quello che fecero a Lui.
Eppure ci siamo passati tutti: nella rabbia che ti trasforma letteralmente d’aspetto, nella disperazione che ti porta a compiere gesti impensabili, nell’ingiustizia dove devi tirare fuori le unghie e proteggere ciò che è tuo, nel sopruso dove devi affilare i denti e sbranare per non essere sbranato.

Riconosco qualcosa di più profondo in me che rispecchia esattamente quelle creature, qualcosa che ha a che vedere con la somiglianza a uomini quanto a bestie, il loro essere metà belve metà persone: la loro storia da tributi a trasformati è la mia stessa storia.
Una mutazione che si mette in atto, che riesco a stento a tenere nascosta quando sopraggiunge.
Se gli ibridi sono gli sconfitti, quelli che non ce l’hanno fatta, allora riesco a capire benissimo la loro rabbia: la stessa che mi pervade quando mi sento fallita, quando non arrivo al mio obiettivo, quando chi non se lo merita mi supera, quando non mi viene riconosciuto ciò che mi spetta.
Gli ibridi sono feroci, sì, ma se lasciassi uscire la mia, di invidia, la mia superbia non sarebbe da meno.

Non so come tu, Gesù, abbia potuto sopportare tuto questo, come ti sei preso la briga di riattaccare quell’orecchio al servo del sommo sacerdote mentre ti stavano arrestando, quando neanche ti era stato chiesto.
Così ti inizio a tradire anche io, inizio a tradire anche me stessa, il mio rapporto con Dio, scimmiottando la preghiera più pura che abbiamo per eccellenza: il magnificat.
Manipolo anche io questo canto, trasformandolo in ciò che mi fa comodo ma che corrompe il mio essere serva, il mio essere figlia a immagine e somiglianza sua, svelando una natura bestiale che deforma la mia scintilla divina.
L’umiltà della serva a me sta proprio stretta, così mi faccio il mio magnificat: chiedo a Lui di essere la “serva prediletta“, chiedendo che attraverso me faccia cose grandi, per andare lontano, sicura che lui può. Quant’è comodo!
Dal suo sì, Maria è arrivata preparandosi una vita intera a stare sotto la croce, dal mio sì io vorrei solamente arrivare sotto i riflettori, a quel piedistallo che bramo in ogni scelta della giornata.

Non è ciò che mi insegna il mio Dio, torturato, oggi.
Non è quello che mi insegna sua madre mentre lo segue, distrutta da quell’orrore che non risparmia neanche lei.
Non è quello che mi insegna l’amico, Giovanni, mentre in silenzio resta presente, al suo posto, senza scenate, accettando anche lui la volontà di Dio per quel Figlio martoriato.  

Questa è la mia perversione, la mia deviazione, ciò che mi manipola ogni giorno, insuccesso dopo insuccesso, indossando delusioni su delusioni e arrivando ad affilare i denti per essere pronta, aspettando il mio momento.
Questi sono i ragazzi che hanno perso, quelli che qui bramano giustizia e sangue.
Questo Dio dei dolori, inchiodato dall’uomo, Lui che porge l’altra guancia, ci smaschera talmente tanto da mostrare a tutti che una parte di noi è fatta di belva feroce, indomabile, artigli, pelo e denti affilati.
È questa fame di riconosciento che mi devia, che non mi fa accettare la croce, trasformandomi in ibrido: serva finta, glorificata dalle cose del mondo.

Aiutami a vedere la Gloria che Dio ha scelto per te, Gesù.
La gloria che passa per quei chiodi, per quel legno, per quella corona tremenda, per quelle cadute e per quel peso di legno.
Fammi sentire la tua gloria anche nella condanna del mondo, nella folla che mette a morte, nel menefreghismo di chi se ne lava le mani, nell’indifferenza di chi sta solo eseguendo un ordine.
Fammi scoprire la gloria anche nel silenzio delle lacrime, nello sguardo di chi vede il tradimento ma non può cambiare le cose, nello strazio dell’ingiustizia, nella tortura del male che ci vuole inchiodati al nostro errore, che vuole toglierci la luce dagli occhi, che vuole imprigionarci nella morte.
Fammi vedere la gloria anche nei vestiti a lutto, nel sepolcro che si chiude, nella strada ora vuota, nel silenzio della tua voce assente. 

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