QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #31 RUE

Per quanto tempo sono rimasta priva di sensi? Quando ho perso la ragione era mattina. Adesso è pomeriggio. Ma la rigidità delle mie articolazioni indica che è trascorso più di un giorno, forse anche due. […] Riesce a spostarsi nel bosco come un’ombra, questo bisogna riconoscerglielo. In quale altro modo avrebbe potuto seguirmi? Le parole mi escono di bocca prima che io riesca a trattenerle. “Sai, loro non sono gli unici che possono fare alleanze” dico. Per un istante, nessuna risposta. Poi un occhio di Rue fa capolino da dietro il tronco. “Mi vuoi come alleata?”. “Perché no? Mi hai salvato da quegli aghi inseguitori. Sei sufficientemente sveglia se sei ancora viva. E a quanto pare non ti faccio paura” rispondo. Mi lancia una rapida occhiata, mentre cerca di decidere. “Affamata?” Vedo che deglutisce con forza, con gli occhi che guizzano alla vista della carne. “Serviti pure, oggi ho ucciso due prede”. Rue esce timidamente allo scoperto. “Posso sistemarti le punture”. “Davvero?” domando “Come?”. Fruga nello zaino e tira fuori una manciata di foglie. Quasi sicuramente sono le stesse che usa mia madre.

Hunger Games, libro I, capitolo 15

Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me”.

Matteo 18:2-5

Rue, così piccola ma scaltra,

sembra quasi il grillo parlante di Pinocchio: più silenziosa e agile, segue Kat da lontano senza farsi notare, comparendo solo nel momento del bisogno.
Consiglia su come sfuggire agli altri tributi, sgattaiola via senza farsi sentire da anima viva, soccorre Kat curandole le ferite: praticamente il nostro angelo custode.

Rue non gioca secondo le regole:

non approfitta di Katniss quando lei soccombere a terra in preda ai deliri, per avvicinarsi alla vittoria.
Sarebbe potuta restare in disparte, o fare rumore per attirare i tributi verso Kat sopraffatta dal veleno: senza neanche sporcarsi le mani per farla fuori, ne sarebbe uscita pulita.
Rue non fa spallucce, non si gira dall’altra parte, semplicemente “non ci sta”: sceglie di non giocare secondo le regole.
Che strano, per noi questa espressione significherebbe tutt’altro: slealtà, scorrettezze, meschinità.
Invece qui Rue stupisce tutti: detta le sue, di regole, alla faccia degli strateghi.
Non lascia che qualcun altro decida per lei ma cambia le carte in tavola: sceglie da persona libera, in un luogo che è letteralmente una prigione.
Quanto mi piace invece inchiodare gli altri alle proprie, di scelte: giudicare e sputare veleno sulle vite altrui, invece di soccorrere, come Rue, invece di curare le ferite e aiutare a rialzarsi.
Spesso mi ritrovo ad asfaltare gli altri col peso delle parole, rinfacciandogli proprio la responsabilità delle loro decisioni.

Perché oggi ci illudono

che ogni azione, ogni via che intraprendiamo, sia solamente il frutto di una scelta seria, ponderata, definita e chiara.
Che se non te lo puoi permettere, un figlio, lo devi abortire.
Che se non è come te lo aspetti, se non super gli standard, allora te ne liberi.
Che se fai quel lavoro lì, è perché non ti sei impegnato abbastanza o ti sei accontentato.
Che se tuo figlio in giro fa casino, è perché sei un cattivo genitore.
Che se hai perso lavoro, è perché sei un fallito.
Che se non sei soddisfatto, è perché potevi scegliere meglio.
Che se hai 5 figli e arranchi, è perché te la sei cercata.
Che se sei single, è perché sei schizzinosa, troppo rigida o ti piace la vita comoda.
Poi aggiungete voi le altre mille frasi al veleno che vi vengono in mente, ma la verità è una sola: abbiamo perso la nostra fratellanza, il nostro patto da “esseri umani“, il nostro prenderci cura l’uno dell’altro.

A svegliarci, sono proprio loro, i piccoli,

perché disturbano la nostra “quiete” di monadi e quasi ci costringono a guardarli: tra i mille “Scusi!” che blateri mentre lo rincorri nell’ennesimo supermercato, ti potresti stupire di qualche “Ma non si preoccupi!” di chi si ricorda ancora qualche ricordo lontano di come si fa a tendere una mano al prossimo.
E mentre questa verità potrebbe stupire molti, Rue ci ricorda che nei momenti più impensabile, sono proprio loro, i piccoli, che si prendono cura di noi: certo, non possono procurarsi il cibo, non sanno cacciare come direbbe Kat, non sono forzuti e non ti guidano la macchina quando sei stanco.

Eppure, lo fanno, ci accudiscono, ma in modo diverso da quello che immaginiamo:

mentre noi grandi sappiamo badare agli altri fisicamente, loro ti aggiustano dentro l’anima, quando glie lo lasci fare.
Potrai anche saper presentare una scoperta scientifica alla platea degli scienziati più saggi del mondo, ma non troverai mai la formula in grado di svelare il segreto che si cela nello sguardo di un bambino.
Non potresti imitarne le risate, l’affetto, la dolcezza pura.
E d’altronde, se anche ci provassi, niente riuscirebbe a farti impazzire e sfinirti come sanno fare loro: non sai quante risorse risiedono in te, finché un bambino non te le tira fuori mettendoti alla prova.
I bambini, proprio loro che sembrano toglierci la pace, l’equilibrio, la libertà, possono essere quelli che ti sistemano l’ago della bilancia, che ti rimettono in riga senza tanti discorsi, ma con una domanda, come “Sei arrabbiata?” quando alzi il tono di voce e neanche te ne accorgi.
E senti questa vocetta fina che si innalza dal baso, come un grillo parlante, con due occhi grandi quanto il mondo. Questo fanno i bambini, semplici segugi di umore e sentimenti, che ti smascherano e ti interrogano, prendendosi cura di te solo con la loro straordinaria capacità di essere se stessi.

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