Siamo anime invincibili in corpi fragili

Si (ri)parte dalla fragilità.

Da quella fragilità che certe volte non ti permette di arrivare, come per Simon Biles, ma che ti ricorda che vali più dei tuoi ori, che non è nel fare, la vittoria, ma nel fermarsi, addirittura nell’umiltà di un passo indietro per il bene di altri. È nel lasciarsi abbracciare, immeritatamente a prima vista, ma in realtà, tutto il nostro merito è in quell’essere arrivati lì dove siamo. A prenderci quell’abbraccio che più di molte medaglie, ci ricorda chi siamo. Si parte dalla fragilità che pesa, come il gesso di Gimbo appoggiato di fianco al tappetone del salto in alto. Una zavorra che ci voleva a terra per sempre. Non l’abbiamo cancellata, no. È lì, di fianco a noi, ora che è finito tutto.

Il dolore non se ne va mai, la fragilità fa parte di ciò che siamo.

Bisogna avere il coraggio di portarla con noi, di esserle grati per ciò che nonostante tutto può darci. Perché ci fa fare i salti migliori. Non col fisico forse, ma di certo con la mente e il cuore. E quando hai fatto quel salto, c’è anche spazio per la condivisione, anche del primo posto. Si parte dalla fragilità che non credevi di avere, tu, che hai sempre usato la testa, ti sei allenato, hai fatto fede sul sudore come fosse un calcolo matematico, l’equazione del podio. E invece, la fragilità fa il miracolo: Paltrinieri stacca la testa e accende il cuore, come lui stesso dichiara di non aver mai fatto prima, proprio ora che si sente più leggero, perché non ha nulla da perdere (o, crede lui, dopo settimane di malattia e di preparazione atletica buttata, da vincere). La fragilità ha alleggerito il cuore, e tutto inspiegabilmente va più veloce: è un secondo posto che vale oro. Si parte dalla fragilità da cui non si scappa, che certe volte il tempo decide per te, ma a te non importa. Tu hai il sorriso al settimo cielo… E al settimo posto!

Chi lo vuole un settimo posto, dai? Nessuno.

Federica Pellegrini ha avuto tanto ed è per questo che quel settimo posto non sa di sconfitta, ma di gratitudine prima di tutto, per tutto quello che c’è stato prima. Che ogni punto di arrivo, bello o brutto, è sempre, prima di tutto, la certezza che siamo partiti e che abbiamo fatto un viaggio incredibile. Col sorriso. Si parte dalla fragilità che hai tatuata addosso, in una storia che ti imprigiona, nell’odio per l’abbandono di un padre da cui bisogna guarire: come una corda che ti trattiene e non riesci mai a correre più veloce dei demoni che hai nella testa. Jacobs è riuscito a correre più veloce di loro invece, non solo dei suoi avversari. So che il perdono è qualcosa che crediamo di dover concedere, sottovalutando quanto invece ci può dare, quanto lo meritiamo noi per primi, che sia nostra la colpa o no. La vita riprende, a un’altra velocità. Si parte dalla fragilità che sembra servirci la sconfitta a tavolino, ma solo se cerchiamo di fuggire, di scansarla. Lo sanno bene gli sportivi, che migliorano i cronometri e i centimetri con giorni, mesi, sudore e amare sconfitte. Quando decidiamo di affrontarla, la debolezza, di starci, di non mollare nel buio o anche di mollare qualcosa in barba a quell’ego che ci vorrebbe onnipotenti, possiamo capire che ha qualcosa da dare, oltre che da togliere. Che certe medaglie, prima di tutto, si appuntano sul cuore.

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