Anime come banconi di Zara

Greta Thunberg sulla copertina di Vogue Scandinavia dice che non compra vestiti da tre anni. E io, che non riesco a stare lontana dal carrello di Asos nemmeno per tre minuti e faccio una fatica immensa a lasciare nel negozio l’ultimo vestitino di Sangallo che mi fa sentire Kate Hudson in vacanza, per una volta devo darle ragione. Ne abbiamo parlato spesso di fast fashion e di scelte consapevoli in fatto di moda. È un tasto dolente e non si arriva mai. La verità è che non dovremmo farlo solo per l’ambiente o per le persone che lavorano magari sottopagate nell’industria del fast fashion. La verità è che dovremmo farlo per noi. Per smettere di cercare identità e felicità dove non possiamo trovarla. Il look parla di noi e il consumo smodato di moda dice solo una cosa: non siamo felici. Continuiamo a cambiare stile nella speranza di trovare quello giusto per noi, che ci dica chi siamo o ci dia l’impressione di essere chi non saremo mai. Siamo senza certezze che durano meno di certi abiti dopo due lavaggi a freddo. Mancano risposte come i bottoni sui cardigan in saldo ammassati alla rinfusa come spazzatura sopra i tavoli dei negozi. Non c’è un senso come non c’è mai la tua taglia di quella t-shirt che assomiglia tanto a quella della Ferragni, ma tanto, non è uguale. Sempre alla ricerca di qualcosa che ci stia bene come di quel vestito che indossa Jennifer Aniston. Nemmeno zittire la coscienza comprando abiti green o moda etica ci salverà. Non dal cambiamento climatico, ma in primis dall’insoddisfazione. Possiamo cambiare questo pianeta non cambiando i vestiti, ma noi stessi.

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