Vita da pecora

Commento al Vangelo Gv 10, 11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Sei mercenario o buon pastore?

Quando leggiamo il vangelo siamo sempre molto aulici, profondi, così seri e astratti che quasi ci prende fretta e non vediamo l’ora di passare ad altro, che quasi fare alberelli di pongo con tua figlia o costruire corone di carta diventano le attività più interessanti a cui partecipare. Sapete perché? Perché la nostra fede è triste, seria, nera, anzi grigia come i capelli di una vecchietta. Ma non quel grigio ordinato, portato con stile, risultato di una vita vissuta. No è grigia come la polvere, e talvolta puzza proprio di stantìo. A te pare di essere un gran fedele, uno di quelli che con Dio è un tutt’uno, ma poi ti accorgi che invece la tua capacità di pensare a Dio si ferma in superficie, sei profondo come una pozzanghera, quando invece ti eri illuso di essere la fossa delle Marianne. Che Dio è il buon pastore lo sai, lo hai imparato tanti anni fa. Al catechismo forse, chi se lo ricorda.

Ma tu cosa sei invece? Sei un buon pastore per la tua anima o sei un mercenario?

Quest’ultimo ha il libretto delle preghiere sempre a portata di mano, per lui contano tantissimo le grazie promesse alla fine e non fa mai caso al percorso. Il mercenario si confessa spesso come andasse all’autolavaggio la domenica mattina, perché sta bene farsi vedere puliti e lucidati, ed è appunto domenica. Il mercenario non si ricorda più dove sia la sua anima, lui la indica in un posto indefinito tra le costole ma più spesso gli pare di avercela tra le dita dei piedi o in quel punto dietro la nuca dove sente sempre un forte prurito. Il mercenario non è così diverso da me o da te, è uno come tutti, o meglio siamo tutti come lui. Il mercenario è un tipo profondamente teorico, conosce tante parole per spiegare la sua fede, ha tanti libri tutti in fila che lo riempiono di parole, pensieri teologici da dispensare. Ma tutto questo un giorno, da un momento all’altro, basta un soffio di vento, un ululato lontano, può cedere, tremare, crollare, così come se niente fosse, senza nessuna resistenza. Il mercenario è un sepolcro imbiancato, bello all’esterno, così sapiente, sicuro, saldo, ma vuoto e marcio all’interno.

Poi c’è lui, il buon pastore della propria anima.

È colui che apparentemente sembra poco affidabile, con quel bastone un po’ storto e il mantello consunto, ma poi di fatto si dimostra un osso duro. Il buon pastore pensa sempre alla sua anima, prima di ogni altra cosa di fronte al lupo cattivo lui corre a proteggerla, non ha bisogno di decidere, lui sa che tra la morte del corpo e la morte dell’anima non c’è gioco, lui accetterà sempre la prima e mai la seconda. Semplicemente non è un’opzione. Il buon pastore non conosce grandi parole, non è un teologo e spesso si sente molto ignorante di fronte ai grandi temi della fede, ma per quel che può si mette subito al lavoro e studia, legge, cerca, ma tutto per abbellire lei, la sua anima, per renderla più lucente e farla assomigliare sempre più alle anime sante del paradiso. Il buon pastore prega, parla con Dio in un dialogo quasi ininterrotto che inizia non appena apre gli occhi la mattina e termina la sera, per proseguire a volte anche nei sogni. Il buon pastore si sente un gran peccatore, mai arrivato, mai pronto, mai giusto, eppure non si tira mai indietro, se c’è da lottare per salvare un’anima lui si fa avanti, a modo suo, e si mette a disposizione di Dio, anche quando la battaglia richiede un grande sforzo. Il rapporto con Dio, la nostra fede, la comprensione di quell’immensa e sconvolgente rivelazione che è il vangelo passano attraverso la vita, la nostra vita, e non vanno relegati ai margini di essa, rinchiusi in quell’ora della messa la domenica mattina o in uno svelto segno della croce prima di mangiare. Noi non dobbiamo fare molto, anche perché spesso quando facciamo troppo facciamo un macello. Noi dobbiamo semplicemente aprirci, aprire il nostro cuore, la nostra mente, metterci a disposizione, dire tutti quei piccoli sì quotidiani e diventeremo presto buoni pastori, capaci di grande amore verso la nostra anima e verso le anime di chi ci sta accanto.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *