Quaresima con Tolkien #27 – CAMPI DEL PELENNOR

“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.”

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni

<<Merry strisciava carponi come una bestia attonita, ed era invaso da un tale orrore che si sentiva cieco e malato. “Uomo del re! Uomo del re!”, gridava il suo cuore dentro di lui. “Devi rimanergli accanto. Sarai per me come un padre, gli dicesti”. Ma la sua volontà non rispose e il suo corpo tremava. Non osava aprire gli occhi o alzare lo sguardo. Ma poi nel buio della mente gli parve di udire la voce di Dernhelm; eppure ora suonava in modo strano, rammentandogli un’altra voce già udita in passato. “Vattene, orrido dwimmerlaik, signore delle carogne! Lascia in pace i morti!”. Una voce glaciale gli rispose: “Non metterti fra il Nazgûl e la sua preda! Rischieresti non di venire ucciso a tua volta, ma di essere portato via dal Nazgûl e condotto alle case del lamento al di là di ogni tenebra, ove la tua carne verrà divorata e la tua mente raggrinzita vertà esposta nuda all’Occhio Senza Palpebre”. Una spada risuonò mentre veniva sguainata. “Fa’ ciò che vuoi; ma io te lo impedirò, se potrò”. “Impedirmelo? Sei pazzo! Nessun uomo vivente può impedirmi nulla!”. Allora Merry udì fra tutti i rumori il più strano: gli sembrò che Dernhelm ridesse, e la sua limpida voce era come una vibrazione d’acciaio. “Ma io non sono un uomo vivente! Stai guardando una donna. Éowyn io sono, figlia di Éomund. Tu ti ergi fra me e il mio signore dello stesso mio sangue. Vattene, se non sei immortale! Viva o morente ti trafiggerò, se lo tocchi”. L’essere alato rispose strillando, ma lo Schiavo dell’Anello rimase silenzioso, come colto da un improvviso dubbio. Lo stupore sopraffece per un attimo la paura di Merry. Egli aprì gli occhi e l’oscurità scomparve. A pochi passi da lui sedeva la grossa bestia, e intorno ad essa tutto sembrava buio, e su di essa si ergeva il Signore dei Nazgûl come un’ombra di disperazione. Leggermente più a sinistra, di fronte alla bestia, era colei ch’egli aveva chiamato Dernhelm. Ma l’elmo che nascondeva il suo segreto era caduto e i luminosi capelli sciolti sulle spalle brillavano come pallido oro. I suoi occhi grigi come il mare erano duri e spietati, benché sulla sua guancia scorressero delle lacrime. Reggeva in mano una spada, difendendosi con lo scudo contro gli spaventosi occhi del nemico.  Era dunque Éowyn e Dernhelm al tempo stesso. Nella mente di Merry apparve nuovamente il ricordo del volto che aveva veduto partendo da Dunclivo: il volto di chi ormai senza speranza parte in cerca della morte. Il suo cuore si empì di pietà e di meraviglia, e ad un tratto il coraggio della sua razza, lento a sorgere, si destò. Strinse i pugni. Éowyn non doveva morire, così bella, così disperata! O comunque non doveva morire sola, senza aiuto. Il viso del nemico non era rivolto verso di lui, e tuttavia osava appena muoversi per il terrore che lo sguardo micidiale cadesse su di lui. Incominciò pian piano a strisciare da una parte; mentre il Capitano Nero considerava, dubbioso e malvagio, la donna che gli si ergeva innanzi, e Merry non era per lui che un verme nel fango. Ad un tratto l’orrida bestia battè le ali, e il loro vento era fetido. Quindi s’innalzò di nuovo in aria per poi piombare rapida su Éowyn, urlando e avventandosi con il becco e le grinfie. Ma ella rimase immobile: fanciulla dei Rohirrim, figlia di re, esile maome una lama d’acciaio, bella eppure terribile. Vibrò un abile colpo, rapido e micidiale. Squarciò il collo teso e la testa decapitata cadde come un sasso. Con un balzo Éowyn indietreggiò mentre l’enorme massa crollava accasciandosi per terra con le ali aperte; e mentre cadeva, l’ombra scomparve. La luce la circondò e i suoi capelli brillarono al sole sorgente. Dalla carcassa della bestia si levò il Cavaliere Nero, imponente e minaccioso. Con un urlo di odio che lacerò le orecchie come una lama velenosa egli lasciò cadere la sua mazza. Lo scudo di Éowyn andò in mille frantumi e il suo braccio si ruppe; ella cadde in ginocchio. Il Nazgûl si curvò su di lei sovrastandola come una nube, e i suoi occhi scintillavano; alzò di nuovo la mazza, pronto a uccidere. Ma all’improvviso anch’egli cadde in avanti con un terribile urlo di dolore, mancando il colpo e affondando la mazza nel terreno. La spada di Merry l’aveva trafitto alle spalle, squarciando il nero manto e la cotta di maglia, e colpendo il tendine del suo possente ginocchio. “Éowyn! Éowyn!”, gridò Merry. Ed ella, barcollando e cercando di alzarsi in piedi, raccolse tutte le forze che le rimanevano e infilò la spada fra la corona e il manto, mentre le grandi spalle si chinavano su di lei. La spada si ruppe in mille pezzi. La corona rotolò con fragore. Éowyn cadde in avanti sul corpo del nemico abbattuto. Ma stranamente il manto e la cotta di maglia erano vuoti. Giacevano per terra informi, laceri e ammonticchiati; un urlo si levò nell’aria vibrante, spegnendosi con una nota acuta, un lacerante lamento che scomparve con il vento, una voce senza corpo che si estinse e fu inghiottita e non si udì mai più in quell’era del mondo.>>

Il Signore degli Anelli, Il ritorno del Re, libro I, cap. VI, “La battaglia dei Campi del Pelennor”

La storia sembra iniziò in questo modo:

c’era una giovane in Galilea, a cui un angelo apparve.
La immaginiamo sempre in costante preghiera, silenziosa ed orante anche nei compiti da sbrigare.
Se provo a pensare alla mia, di vita, la faccenda si sarebbe svolta più o meno in questi toni: c’era un giovane, preso da mille pensieri, che cercava di sopravvivere alla routine settimanale, vide un angelo ed andò in analisi. Fine.
Capisco che hai scelto Maria, perché così non è proprio avvincente, eh.
Si parla dell’annuncio, mai della scelta, cosa che invece angoscerebbe me fin dall’attimo successivo alla vista delle ali: svariate sedute di psicanalisi-fai-da-te sorbettate da quelle povere anime, che chiameremo “amici” al posto di “martiri”, che mi hai messo a fianco per far guadagnare loro il paradiso (no, perché, diversamente non si spiega).
Io sono sempre come un cervo in corsa, che cambia direzione svelto, senza le idee troppo chiare: cerco nuove occasioni, opportunità, primi appuntamenti.
Bramo una vita che ora non ho, e che non riesco a definire, arrancando nell’insoddisfazione e nell’incapacita’ di decidere.
Se fosse per me, il lettore direbbe: “Nel primo mistero contempliamo “L’ennesima angosciante decisione senza soluzione”.”

Non era così per Maria: era già sintonizzata sulle frequenze giuste, già in attesa, come un fedele condottiero, al cospetto del suo re per ricevere gli ordini.

Dio, quando ha inviato Gabriele, non stava aspettando una risposta, aveva già il suo cavaliere più leale lì, a corte.
Maria non era nell’attesa infruttuosa, era pronta alla guerra, pronta a servirlo in ogni campo di battaglia, pronta al suo fianco, in ogni sorte.
Per questo celebriamo l’annuncio.
Celebriamo un’anima forte, audace e coraggiosa; un campo di battaglia terribile e spietato, come i Campi del Pelennor: una donna che tiene le redini di questa guerra feroce.
Nella battaglia Éowyn cavalca: vuole la gloria, vuole riscattare gli anni di attesa, e così crea da sé la sua occasione.

Non la biasimo, anzi, la stimo: guardo la sua energia, la tenacia, il valore.
Nonostante sia “ossessionata” dalla gloria, mossa da ideali illusori, che imparerà a smascherare con dolore, la ragazza ha grinta da vendere, e nella vita questo “ardere” puro, compagno fiero della giovinezza, non dovremmo mai scordarcelo, neanche con tutte le batoste che abbiamo lasciato alle spalle.
Di questi Campi del Pelennor, si tramanderà la virtù di una giovane, l’unica che osò farsi largo tra la battaglia per pararsi fiera, con la spada sguainata, di fronte alla più temibile delle bestie di Sauron, un male che neanche Gandalf era certo di poter sopraffare: il Re Stregone di Angmar, capo degli spettri Nazgûl.
Forse dovrei cambiare il quadro che mi dipingo in testa ogni volta che penso a quella Vergine in attesa dell’angelo.
Decisamente, è questa, la scena che dovrei avere chiara quando penso a quell’annunciazione, a quel sì: “Or quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la donna”.

Maria non è solo la piccola ragazza in preghiera, lei è molto di più: è la nostra Éowyn, contro il drago dell’Apocalisse.

Lei, coraggiosa principessa di casata regale, appartenente alla Casa di Eorl, ha il fuoco nell’animo e non v’è traccia di paura mentre sfida il mostro che metteva in ginocchio chiunque al suo solo pensiero.

Ma Maria, di certo, non è solo Éowyn.
E Tolkien ci fa scoprire che Éowyn stessa, non è da sola, dinnanzi alla bestia.

“Dove vi è la volontà, nulla è impossibile”: al suono di queste parole, Éowyn travestendosi da cavaliere, prendendo il nome di Dernhelm, aveva infranto le regole e, portando con sé Merry, cavalcato verso Gondor.
Lui, piccolo hobbit della contea, non possiede nessun’abilità da guerriero, né la forza d’animo della valorosa compagna, ma ha giurato fedeltà a quel re che sentiva di amare come un padre, anche lui, in uno slancio del cuore, come suo cugino Pipino.
E di certo, del suo niente, delle doti mancanti e del coraggio lento a risvegliarsi, vi è solo un’unica cosa che può portare con sé in battaglia: tutta la sua storia, tutto il suo viaggio, tutto il suo percorso.
E sembra davvero poco, perché al posto del valore e della forza, ha davanti ai suoi occhi i momenti di paura, le difficoltà, tutte le volte in cui credeva di non farcela.
E di questo vissuto così misero, così “non all’altezza”, così privo di coraggio e azioni di gloria, Merry ha con sé qualcosa che sembrerebbe molto banale, inutile di fronte a qualunque nemico e, se vogliamo, anche un po’ d’intralcio: l’umiltà.
Che ci fa un’hobbit in battaglia senza armi o doti da combattente?
Di fronte a quel male devastante, quello che può straziare e portare alla follia qualunque essere vivente, che minaccia può rappresentare un’insignificante mezz’uomo?
Eppure, è a Merry che viene data l’occasione di osare tanto: senza esserne consapevole, senza avere la più pallida idea di essere l’arma più potente di tutto l’esercito, senza immaginare che da lui possa dipendere la vita di così tanti uomini valorosi, e prima fra tutti, della stessa Éowyn.
Non crediate che lei avrebbe potuto avere la meglio, senza il pugnale letale di Merry: una lama dell’Ovesturia, donata da Tom Bombadil dopo essere scampati all’attacco mortale di Tumulilande, trovata nel sepolcro dello spettro.

Perché, per quanto possa sembrare assurdo, tutto questo percorso, caro Merry, è segnato dalla provvidenza che ti ha condotto fin lì, ai piedi di un Nazgûl, con l’unica arma in grado di rendere vulnerabile il più temibile dei mali.

Tutte quelle notti insonni e quei turbamenti, cara Éowyn, ti hanno plasmata e forgiata per fare di te l’unica donna al mondo capace di ergersi senza paura di fronte al Cavaliere Nero.
Maria ha tagliato la testa al drago, quando è corsa in battaglia per amore del suo sire, quando ha risposto “sì”.
Ma la sua battaglia era appena iniziata: ora si trovava di fronte al Re stregone di Angmar.
Con urla di odio, egli lasciò cadere la sua mazza su Maria, il suo scudo andò in mille frantumi e il suo braccio si ruppe: ella cadde in ginocchio sotto la croce, sotto il sangue del figlio straziato.
Anche questa è Maria, una donna valorosa che non fugge, anche quando crolla ogni speranza, anche quando la sentenza di morte è segnata.
Il Male crede di avere la meglio, ma qualcosa di ancora più forte si scaglia su di esso inaspettata e invincibile: l’umiltà del figlio di Dio, l’umiltà della sua serva.
Eppure, Satana, che si credeva trionfante, viene colpito da una virtù che non si aspetta, che non ha neanche considerato: Lucifero è messo in ginocchio dalla dote più ridicola e fuori luogo nella guerra di ogni tempo.
L’unica che si oppone in tutto e per tutto alla sua natura di “ribelle”, di fiera arroganza covata contro Dio: l’umiltà.
Merry, in quello scontro così ìmpari, metterà tutto sé stesso, tutto ciò che ha a disposizione, tutto ciò che quell’assurdo viaggio gli ha lasciato: nient’altro che una piccola lama.
E lui, da quell’assalto così irrazionale, non si aspetta niente, se non la morte, ma sicuro non immagina alcuna vittoria: amore e umiltà muovono la sua mano, mentre la provvidenza si serve di lui per compiere il miracolo.
Perché dove neanche il potente Gandalf può sperare di avere la meglio, cosa possiamo aspettarci da un pugnale, affondato in una gamba per giunta?
Maria è Éowyn in piedi di fronte al male, impavida con la sua spada, forte, valorosa, senza timore, che taglia la testa alla bestia, leale al suo re, incurante delle minacce, fedele per amore: “Dio disse al serpente: […] “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa”.”
Maria è Éowyn in ginocchio, quando il male la sovrasta e si avventa su lei con tutta la furia che possiede, sicuro di sferzare l’ultimo colpo di morte: “Dio disse al serpente: […] “tu le insidierai il calcagno”.”
Maria è anche Merry: così umile, tanto da nascondere l’arma vincente.
Maria è il Merry indifeso, un essere innocuo che il serpente non teme più, perché mordendole il piede la considera già avvelenata a morte.
E questa è la svolta verso la vittoria.
Il Cavaliere Nero, assetato di sangue, non si accorge che proprio al suo fianco si trova l’unica arma letale per lui, nascosta da sembianze insignificanti e piccole, incautamente vicina, a tal punto da determinarne la rovina.

Éowyn e Merry: amore, coraggio, passione, valore, ma anche umiltà, obbedienza, lealtà.

Maria è colei che da quando riceve l’ordine del suo Signore, viene braccata dalla belva, affrontata, inginocchiata, ma mai annientata: colei che trionfa davanti a Satana, davanti allo strazio di un figlio crocifisso, perché la sua guerra non si è giocata in una scelta, ma nella prodezza di una guerriera pronta a quell’annuncio di battaglia di trentatré anni prima.
La sua vita non è stata definita da una decisione, ma da un “eccomi” continuo, che fin sotto quella croce l’ha resa la migliore combattente a fianco del suo Re, pronta a farsi scudo tra il Nazgûl e le sue prede: “Il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù”.
Lei è forte dell’unico pugnale che può renderlo vulnerabile, per poi venir abbattuto da Dio: la sua umiltà, senza la quale non le sarebbe restato altro destino che soccombere, trafitta a morte dai chiodi di quella croce.
Maria è Éowyn, in attesa al Palazzo d’Oro di Meduseld, dove nel segreto lucida l’elmo, affila con cura la sua lama e si prepara a sellare il cavallo per la battaglia.
Maria è Éowyn, in piedi sui Campi del Pelennor, impugnando la sua spada, seppur in quelle lacrime che scorrono sul suo viso risoluto e fiero.
Maria è Merry in quel grido d’amore forgiato da una lama talmente viva che trafigge, quando tutto sembra perduto e senza speranza, rendendo inerme anche la morte.
Maria è Éowyn, paratasi fiera davanti al Nazgûl per proteggere il suo Signore e fargli scudo con il suo copro, con il suo ventre di madre, con la sua vita di donna.
Maria è Merry, armata di cose piccole, che sembrano insignificanti ma celano in loro il potere più grande, perché apprese direttamente dalla grazia di Dio.

In quel messaggio d’amore, l’angelo trova una forte Maria, audace abbastanza per riceverlo.
In questo calvario, noi troviamo un’umile Maria pronta a perseverare nella fedeltà di quell’annuncio di trentatré anni prima.
Perfetta umiltà, che sbaraglia il male.
Perfetta forza, sempre pronta a combatterlo.

Non c’è ancora trionfo, qui, Maria, sotto questa croce: sei ancora Éowyn inginocchiata con le lacrime agli occhi e la risolutezza di chi non teme la morte per amore.
Ma mentre il Nazgûl non se ne accorge, noi già possiamo vederti, pronta a squarciare ogni tenebra.
“La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato” e su Maria, la guerriera immacolata, non potrà mai vincere. Per questo, anche noi, possiamo restare, al tuo fianco, sotto questa croce, mentre tu gridi ad ogni nostro male: “Tu ti ergi fra me e i figli del mio stesso
sangue. Vattene, se non sei immortale! Perché ti trafiggerò, se solo li tocchi”.

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