Quaresima con Tolkien #22 – FUOCHI DI MINAS THIRITH, TORRI-FARO

“In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: “Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto”.”

Dal libro del profeta Isaìa

Vi furono alcuni attimi di silenzio; poi, ad un tratto: “Che cos’è quello?”, esclamò Pipino, stringendosi intorno il manto di Gandalf. “Guarda! Fuoco, fuoco rosso! Vi sono dunque draghi in questa regione? Guarda, lì ve ne è un altro!”. L’unica risposta di Gandalf fu un incitamento al cavallo. “Su, Ombromanto! Dobbiamo affrettarci. Il tempo è breve. Guarda! Gondor ha acceso i suoi fuochi e invoca aiuto. La guerra è scoppiata. […] “Da molto tempo non venivano accesi i fuochi del Nord”, disse Gandalf; “nei tempi che furono Gondor non ne aveva bisogno, poiché possedeva le Sette Pietre”.

Il Signore degli Anelli, Il ritorno del Re, libro I, cap. I, ” Minas Tirith”

E così re Denethor chiama i suoi alleati:

accende la prima torre faro, come un domino tra le montagne che arriverà nel regno di Rohan annunciando la richiesta di aiuto. Ma non sarà l’unico allarme inviato da Gondor: un messaggero all’accensione dei fuochi è partito per ritrovarsi pochi giorni dopo al cospetto di sire Théoden. Solo al sovrano consegnerà la Freccia Rossa: simbolo di necessità estrema. Veniva preannunciato dai fuochi per trovare così il re e il suo esercito già pronti per mettersi in marcia e soccorrere gli alleati.
Una volta, Minas Tirith non avrebbe avuto bisogno di chiedere aiuto: in passato si comunicavano con i Palantír le necessità alle città del regno ed oltre.
Le Pietre Veggenti (il loro nome significa “coloro che sorvegliano da lontano”) mettevano in contatto chiunque guardasse nella sfera facendone leggere i pensieri, mostrando cose passate o presenti. Ma al momento della guerra dell’Anello solo due delle sette pietre erano rimaste, le altre erano andate perdute.
E mentre le nostre, di guerre, incombono,
chi non ha mai chiesto un segno? Un fuoco per essere certi che lui si sia accorto che la nostra guerra è iniziata?
Questo Dio, che ha promesso di scendere in mio soccorso, dov’è?
Devo mandare un segnale o lo vede che sono a pezzi?
Perché non mi ascolta, oltre le montagne?
Questo sento ogni volta che ho un problema più grande di me e mi fido di quel “chiedete e vi sarà dato”, ogni volta che “bussate e troverete” o “voi che siete cattivi sapete dare cose buone, tanto più ve ne darò io”. E giù ad accendere fuochi con novene e suppliche.
Vedo solo la guerra che incombe, il male alle porte e la paura che distrugga le mie mura, fatte di sogni e conquiste fragili.
Io non voglio un Dio oltre le montagne, io ne voglio uno stile “economo”: efficiente, che risponda, che se chiedo dà perché ho “pagato” e mi spetta.
Che ne è delle tue promesse, Dio?
Accendo il segnale e vedo le torri infuocarsi, ma non riesco a guardare più là di queste mie mura, dei miei bisogni, dei miei desideri, dei miei problemi. Accendo un fuoco ed è come se il fumo che si leva dal braciere mi impedisse di vedere lontano, al di là di quelle montagne, dove sei tu.
Tu che non arrivi con grandi eserciti, ma ti “nascondi” in un pezzo di pane, non mi dai risposte facili guardando dentro un Palantír.

Il mio cuore è spesso assediato come Denethor da questo presente fatto di problemi è difficoltà.

Così, anche quando accendo un fuoco, una novena, una supplica, spesso dimentico che non è un chiedere per ricevere le risposte e le soluzioni che vorrei vedere arrivare in mio aiuto. Le tue vie non sono le mie e non posso guardare in un Palantír per comprenderle.
C’è stato un tempo in cui mi fidavo, in cui bastava invocare un santo per essere tranquilla che il mio messaggio sarebbe arrivato, che avrebbe acceso lui per me i fuochi oltre le catene montuose, alla prima richiesta di aiuto.
C’è stato un tempo in cui, ogni volta, ero certa che dall’altra parte del Palantír ci fossi tu, a guidare i miei passi, ad avere sempre a cuore le mie difficoltà.
Eppure, un giorno rimasi senza risposta. O almeno così credevo, perché “non come voglio io…”. Ho smesso di accendere fuochi, di inviare messaggeri e frecce di appello, di fidarmi: novene, santi per perorare la mia causa, la tua parola. Ho perso la speranza, in balia di quel fuoco diventato fumo che ha coperto i miei occhi, perché in realtà non eri tu ad avermi abbandonato, ma io ad averti tradito nelle pretese di fronte a quei bracieri, nell’ultimatum nascosto dietro una Freccia Rossa.

Cosa so veramente, io, del fidarsi?

“Posso fidarmi perché quando stavo male, lui c’era”, “posso fidarmi perché lei mette sempre i miei bisogni davanti ai suoi”, “posso fidarmi perché quella volta non mi ha voltato le spalle”: eccola la mia fiducia, un fatto, una prova reale e tangibile, un calcolo matematico delle probabilità a fallimento zero.
Cosa so veramente, io, di quel “Padre sia fatta la Tua volontà” o “tutto è compiuto, ti consegno il mio spirito”?

Cosa so del lasciare la mia vita in mano a qualcun altro?
Cosa so della fedeltà davanti a una fossa di leoni o di fronte ad un rogo?
Forse la verità è che il Palantír non lo so usare, che non ho capito il significato di quei fuochi, che magari so riconoscere le tue orme, ma tutt’altro paio di maniche è accettare la tua via.
So accendere il fuoco, ma non so fidarmi di ciò che sta oltre la montagna, della risposta.

Quelle torri-faro non sono lì perché io riceva aiuto, ma perché ricordi che c’è qualcuno, laggiù oltre le vette, che c’è un’altra vita e non solo le mie mura assediate.

Anche quando la risposta non sarà quella che mi aspettavo, anche se non ci fosse un lieto fine per me.

Altri, come sempre, guardavano a nord, contando le leghe che li separavano da Re Théoden di Rohan. “Credete che verrà? Credete che ricorderà la nostra antica alleanza?”, dicevano. “Sì, verrà”, rispose Gandalf.

Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, libro I, cap. IV, “L’Assedio di Gondor”
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