Quaresima con Tolkien #15 – HENNETH ANNûN

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“Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”.

Dal Vangelo secondo Marco

<<Si trovavano su un pavimento bagnato di pietra lucida, come la soglia del rozzo arco intagliato nella roccia che si apriva buio dietro di loro. Ma davanti pendeva un fine velo d’acqua, così vicino che Frodo vi avrebbe potuto infilare il braccio disteso. Era rivolto a occidente. Il sole del tramonto vi proiettava i suoi raggi orizzontali, la cui luce rossa s’infrangeva in mille scintille dal luccicante colore cangiante. Avevano l’impressione di affacciarsi alla finestra di una torre elfica, velata da fili d’oro e d’argento, da rubini, zaffiri e ametiste eternamente incandescenti.>>

Il Signore degli Anelli, Le due torri, libro IV, cap. V, “La finestra che si affaccia ad occidente”.

Il rifugio segreto degli uomini di Gondor

nelle foreste dell’Ithilien prende il nome di “Henneth Annûn”, che significa letteralmente “Finestra del Tramonto” oppure “Finestra dell’Ovest”. Era un nascondiglio usato per riposarsi tra un’incursione e l’altra o celarsi alle armate dell’Oscuro Signore. E’ qui che Faramir offre un alloggio sicuro per la notte ai due hobbit e Gollum. Tutti abbiamo bisogno di un “rifugio segreto”, di un luogo per riposare, per schiarire le idee al riparo degli attacchi del mondo, un luogo per trovare le forze prima di riprendere il cammino, un luogo sicuro per amare e per farci amare, dove trovare quiete dai pensieri che urlano nella mente.

Il primo rifugio è il ventre di nostra madre, ma non è solo questione di spazio:

il suo cuore sarà un rifugio per le nostre ansie e paure anche fuori da quella pancia, per sempre. Da piccoli costruiamo rifugi sotto ogni stendino, tavolo, tenda. Bastano due sedie e una coperta tenuta ferma da mollette e fantasia per sentirci al riparo da ogni lupo cattivo. Poi ci rifugiamo in camera nostra, protetti da cartelli con scritto a caratteri cubitali “vietato entrare”, e quelle quattro mura sono inespugnabili, un pò come il nostro cuore a quell’età in cui crediamo che nessuno ci capisca, in cui tutto è ingigantito, da un “no” di nostra madre all’emozione della nostra prima cotta. Per fortuna anche le delusioni passano e magari troviamo rifugio in qualcuno che ci apra il cuore e con quella persona costruiamo anche una nuova casa e la storia si ripete. I rifugi, a guardarli bene, sono molto più che pareti che ci proteggono, altrimenti non torneremmo sempre li al momento del bisogno: sono fatti di amore.

Allora non c’è luogo più sicuro e inespugnabile di quello dove dimora l’amore più perfetto.

In quel luogo, fatto di quadri o dipinti e lunghi silenzi, c’è tutto ciò che può servire al nostro cuore ma la verità è che non sempre riusciamo a sentirlo, nemmeno tra quelle mura. Non sempre le sentiamo accoglienti, le mura della nostra chiesa. E se non sentissimo più quell’amore che era rifugio perfetto, se non lo sentissimo nemmeno tra quelle mura, allora dove andremmo? Si può rompere un amore forte come quello che ho io per Dio, quell’amore che come leggo in Osea dovrebbe essere “come un cipresso sempre verde”? Ho scoperto sulla mia pelle che ci sono momenti della vita in cui Lui arriva al tuo cuore attraverso le braccia di qualcun altro, momenti in cui delle preghiere non senti che parole vuote, in cui l’eucarestia rimane silenziosa entrando nel caos che abita la tua mente. Quando anche la chiesa rimbomba di un silenzio assordante e ogni luogo è chiasso tranne il divano di un’amica o le braccia di un marmocchio che profuma di infanzia e spensieratezza, un thè dalla nonna che è saggia e non chiede, o una mezz’ora di là della grata della tua “sorella” rivestita di S.Chiara.

Dov’è Dio in quel momento, quando ci sembra di non trovarlo in nessun rifugio di pietra o di carne: “allora forse non mi ami?”.

Ma anche se il nostro amore vacillasse, Lui non si arrenderebbe con noi e ci farebbe trovare quei fratelli che ci ameranno come loro stessi, riflesso dell’amore di quel Dio che ora ci sembra perso. Solo dopo saremo in grado di riconoscere che anche quei rifugi lì ce li aveva mandati Lui. Lo scopriremo poi che quello non è un Simone tra tanti, e tu non sarai più per lui un “condannato” qualunque. Siamo fratelli nell’amore, in quell’amore che è specchio del Suo.

Ci sarà un giorno in cui la nebbia non oscurerà più la vista:

sarà il girono in cui il divano dell’amica non sarà più necessario, quando gli abbracci sarai tu a darli a qualcun altro, in cui lo Spirito non squarcerà il velo del tempio, ma riempirà le vele della tua nave di significato, le gonfierà guidandoti per altre rotte, mari nuovi. E quella chiesa ti aspetterà ancora, tornerà a essere vero rifugio, di marmo e di carne, un luogo che non serve a Dio per abitare in mezzo a noi, ma a noi perché sappiamo di avere una casa, un luogo da cui partire e a cui tornare, dove sentirci al sicuro, chiedere scusa e fare pace, dove urlare e piangere la nostra piccolezza. Dove essere amati e amare con tutti noi stessi, perché solo una volta sperimentato quell’amore così totale e libero da sentirlo persino distante, a volte, potremmo rifletterlo di rimando anche sugli altri e amarli come noi stessi, imperfezioni incluse. Quel luogo lì è il nostro rifugio, noi lo abbiamo edificato con le nostre mani, ma Lui lo ha costruito nei nostri cuori, per darci una casa e per fare anche di noi, rifugio per altri. “Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”.

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