Quaresima con Tolkien #16 – MINAS MORGUL

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“Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.”

Dal Vangelo secondo Giovanni

<<E allora la vide, tale e quale Gollum gliel’aveva descritta: la città degli Spettri dell’anello. […] Ogni cosa intorno era buia, terra e cielo, ma nella fortezza brillava una luce. Non il chiaro di luna imprigionato fra le mura marmoree di Minas Ithil molto tempo addietro, quando era la Torre della Luna, splendida e raggiante in seno ai colli. Assai più pallida di una luna malaticcia durante una lenta eclissi ne era adesso la luce, vacillante e tremula come una fetida esalazione di putridume, luce cadaverica che non illuminava nulla. […] Al di là della stretta valle, quasi al livello dei suoi occhi, si ergevano le mura della malefica città, il cui cancello cavernoso era spalancato come una bocca aperta dai denti scintillanti. Un esercito ne uscì. Un Cavaliere interamente nero, che aveva però sulla testa incappucciata un elmo come una corona scintillante d’una luce micidiale.(…) Ivi, sì, proprio innanzi a loro, era lo spettrale re che con la sua gelida mano, armata d’un mortifero pugnale, aveva colpito il Portatore dell’Anello. (…)Forse l’Anello invocava il Re degli Spettri, e questi ne era turbato, percependo qualche altro potere nella sua valle. Da un lato e dall’altro si volse la scura testa dall’elmo forgiato nella paura, e spazzò le ombre con occhi invisibili. Frodo attese, come un uccello all’avvicinarsi di un serpente, incapace di muoversi. E nell’attesa sentì, più impellente che mai, l’ordine di infilarsi al dito l’Anello. […] Poi la sua volontà reagì: lentamente forzò la mano ad allontanarsi, dirigendola verso un altro oggetto, che teneva nascosto sul petto. Freddo e duro gli parve nello stringerlo: era la fiala di Galadriel, così a lungo conservata e quasi dimenticata fino a quel momento. Toccandola, ogni pensiero relativo all’Anello gli scomparve dalla mente.>>

Il Signore degli Anelli, Le due torri, libro II, cap. VIII, “Le Scale di Cirith Ungol”

Minas Ithil era stata conquistata dai Nazgûl,

i servi dell’Oscuro Signore, e ripopolata dai suoi servi: Numenoreani Neri, Uomini Malvagi, Orchi e altre creature maligne. Era stata una città di Luce, prosperosa e rigogliosa, ora snaturata e trasformata nella versione corrotta di sé stessa: la luce bianca e pura adesso è un pallore cadaverico, che non può più illuminare, la valle è marcia e in putrefazione, mentre la strada, ornata di orride statue raffiguranti uomini o animali. La vicina fortezza di Cirith Ungol avrebbe dovuto proteggere dagli assalti del passo di Cirith Dúath, ma anche essa era oramai brulicante di orchi, a causa dell’abbandono da parte degli uomini che avevano smesso di sorvegliarla tempo prima: furono le schiere della dimora del Re Stregone ad invadere Osgiliath ed assediare Minas Tirith.

Proprio lì dove il bene prosperava più forte si sono abbattute con più forza le ombre del nemico:

vi ha preso dimora il Re degli Stregoni, smantellando quello che rimaneva del trionfo passato, manipolando la bellezza della luce naturale che bianca si stagliava nella torre, per farne luogo di morte e cadaveri. Così come l’amore donato da Dio ha permesso libertà assoluta anche al suo angelo più bello, diventando il Satana che conosciamo. E se la libertà è il trionfo del nostro Dio, la schiavitù è l’arma del nemico: qualsiasi cosa ci avvicinerà a lui ci renderà suoi servi. Frodo è più vicino al male di quanto non lo sia stato davanti ai neri cancelli: in questo luogo scorge il Re dei Nazgûl, che richiama l’Anello e lo obbliga a muoversi contro la sua volontà. Sì, gli oggetti hanno un potere: possono evocare in noi grandi emozioni e spingerci a fare la cosa giusta, o possono essere lacci che ci incatenano alla schiavitù senza lasciarci scampo. Ricordo, nel racconto di un esorcismo, come l’unica arma oramai “funzionante” nella lotta alla possessione fosse la fede della moglie: proprio un anello forgiato da mani d’uomo, era l’unica arma che scacciasse il demonio, mentre lei, attraverso di essa, evocava la forza di Dio per la sacralità del sacramento compiuto. Così come Frodo si aggrappa a ciò che di più “sacro” possiede: la Luce di Galadriel.

Quella Luce combatte le ombre opache e cadaveriche di Minas Morgul: come la potenza della Luce di Maria sovrasta quella di colui che una volta era Lucifero.

Due Luci, diametralmente opposte, ma non ugualmente potenti. Frodo lo sa che il male non può sovrastare la Luce vera, che la sua salvezza, stringendo i pugni e la Luce di Arendel, può giungere fino a lì. Così come Maria che può guardare Lucifero negli occhi e scacciarlo, come il rosario che è il Suo dono più potente lasciato a nostra difesa. Lei, la Luce, non teme le ombre e ci viene in soccorso proprio lì, proprio quando ci sembra di cedere: Maria accompagna Gesù, si mette in attesa sotto la croce, la Sua forza è specchio di quel Dio che non può temere il male, per quanto tremendo. Anche oggi Lei sceglie di farsi “Cristofora”, portatrice di Cristo tra noi: come 33 anni prima aveva portato Dio nel Suo grembo, Maria Lo accompagna anche oggi, anche nei nostri calvari personali. Soprattutto nelle tenebre, è lì che vedremo la Sua Luce. Usiamola, questa arma che Lei ci ha donato, questi grani “flagellatori di demoni”, perché non rimaniamo schiavi ma torniamo figli liberi: “per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio”.

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