Quaresima con Tolkien #14 – BOSCHI DELL’ITHILIEN

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Così dice il Signore: “Questo ordinai loro: “Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”.

Dal libro del profeta Geremìa

<<Il cuore degli Hobbit si rinfrancò malgrado la stanchezza: l’aria era fresca e fragrante, e rammentava loro gli altipiani del lontano Decumano Nord. Erano felici che l’ora fatidica fosse stata rinviata, felici di attraversare una terra che solo da pochi anni soggiaceva all’Oscuro Signore e non era del tutto caduta in rovina. […] Varcarono così i confini settentrionali di quella terra un tempo chiamata dagli Uomini Ithilien, un bel paese dai boschi scoscesi e dai rapidi torrenti. La luna piena e le stelle rendevano la notte trasparente, e agli Hobbit parve che la fragranza dell’aria crescesse andando avanti; dagli sbuffi e dai mormorii di Gollum sembrava che anche lui se ne accorgesse, ma non ne provava alcun piacere. […] L‘lthilien, il giardino di Gondor ormai abbandonato conservava ancora la scomposta bellezza di una driade. […] Mentre camminavano, sfiorando erbe e cespugli, dolci profumi s’innalzavano intorno a loro. Gollum fiutava nauseato; gli Hobbit invece respiravano profondamente, e d’un tratto Sam rise, non perché volesse scherzare ma perché si sentiva felice>>

Il Signore degli Anelli, Le due torri, libro II, cap.IV, “Erbe aromatiche e stufato di coniglio”

L’Ithilien

è una terra racchiusa tra il fiume Anduin e la catena montuosa di Ephel Dúath, le Montagne dell’Ombra, che circondano la terra di Mordor ad ovest e a sud. Eppure non sembra un bosco ai confini del regno del male. Ricorda una foresta vergine, selvaggia, piena di boschi e giardini con arbusti mai visti e provenienti da epoche remote. Sembra una terra avida di rinascita, dove la primavera non vede l’ora di sbocciare, dove si sente il profumo nell’aria. Il male piombato su queste terre viene ricacciato dagli esploratori, i Raminghi dell’Ithilien, guerrieri di Gondor, e qui Faramir, fratello di Boromir, cattura Sam, Frodo e Gollum in cammino verso il passo di Cirith Ungol.

Avviene così un vero e proprio processo, che Tolkien con maestria camuffa in un semplice interrogatorio, da cui dipende la vita dei piccoli Hobbit:

il nostro capitano dei Raminghi deve stabilire se rispettare la legge del re, che comanda di uccidere chiunque entri nel territorio di Gondor senza invito, o seguire ciò che è giusto, secondo il suo giudizio. Mi sembra di ricordarmelo questo episodio, in un’altra epoca, nella vita vera: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. E sebbene la nobiltà di Faramir sarebbe utile nel palazzo della torre bianca, come Gesù che scrive nella terra e non dall’alto di un pulpito o di un seggio, anche lui è chiamato ad agire in queste foreste, che inconsapevolmente echeggiano delle sue stesse doti: perseverare nel bene, nonostante il male che le circonda, continuando ad attendere l’estate promessa dalla primavera. Il dilemma del giovane capitano non è cosa da poco, e anche Gesù ci vuole bene attenti su questo: “Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”.

Non è l’uomo, il luogo o l’evento che rendono qualcosa impuro ed indegno, piuttosto la volontà che ne muove le fila.

Cercando di essere giusto ed indagando la verità, Faramir deciderà di non fare alcun male ai nostri amici e permetterà loro di proseguire la missione. Come tutti coloro che incontrano l’anello nel loro cammino, anche il Principe dell’Ithilien ne sarà tentato: non con la sete di gloria ed eroicità che fa vacillare Boromir, ma con la speranza di poter essere visto e riconosciuto come un figlio degno di stima ed amore da suo padre. Eppure, questo pensiero gratificante, dopo averlo sfiorato lo abbandona subito: non è dipendente dall’approvazione, dall’essere compreso e stimato, né tra gli uomini né tra gli affetti più cari. Come queste terre che non fioriscono perché qualcuno le coltiva e se ne prende cura, ma perché sentono in loro il richiamo alla vita, più forte dell’oscurità e della morte che le circonda, il cuore di Faramir non è avvelenato dal dolore immeritato causato dal padre: come questa foresta, anche lui abita i confini del male, dell’incomprensione, dell’irriconoscenza paterna, ma non si lascia dominare da questa sofferenza, dall’ingiustizia. L’Ithilien è sì invasa da orchi, ma qui l’aria profuma e il verde germoglia, qui è il bene che trionfa. Ci sembra sempre che il male sia più forte, ma ora a fare la storia è l’animo di un ragazzo che non si lascia indurire il cuore dalle mancanze, dalle ingiustizie, dalla sterilità della legge applicata senza verità e giustizia. Potrebbe usare questo momento per cambiare la sua sorte, potrebbe gratificare il suo ego portando al padre il “bottino”, potrebbe rivendicare quell’amore agognato e mai ricevuto, potrebbe, per una volta, trovare l’approvazione che desidera.

Eppure, è mosso da un vero senso di giustizia, e non dalla ricerca personale di appagamento, nella legge.

E questo ci richiede Cristo “Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”, ma attenzione “Non sono venuto per abolire, ma per dare compimento”, perché non sia il nostro ego a farsi forza della legge di Dio e a trovarne un compiacimento, ma neanche la nostra voglia di farci una religione “fai-da-te” sentendoci liberi di fare leggi e dogmi a nostro piacimento. Faramir è un degno “sovrintendente”, un degno custode della città, una degna guida dei suoi uomini, non per meriti speciali, ma perché, senza voler sovrastare la legge, se ne fa custode agendo secondo quei valori e principi che proprio la legge vuole salvaguardare: “Metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti” dice la lettera agli Ebrei. Così anche noi dobbiamo fiorire nell’amore per la legge e per i comandamenti, ma senza farci sterili promulgatori, dal cuore arido ed indurito, disposti ad essere inappuntabili piuttosto che giusti. Dobbiamo seminare amore soprattutto nelle stanze buie e vuote del nostro cuore, lasciar germogliare con pazienza ogni mancanza ed ogni ferita, lasciando il male ai margini.

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