Quaresima con Tolkien #4 – BREA, la locanda del puledro impennato
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“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana.”
Dal Vangelo secondo Marco 1,12-13
<< Frodo si sentì improvvisamente molto sciocco e ridicolo, e si mise a giocherellare con ciò che aveva in tasca: era diventata ormai una sua abitudine ogni qual volta faceva un discorso. Sentì l’Anello attaccato alla catenella, ed il desiderio folle di infilarselo al dito e sparire dalla stanza, uscendo da quella situazione imbarazzante, s’impadronì di lui. Ma era come se il suggerimento gli venisse da fuori, da qualcuno o da qualcosa in quella stanza. Resistette energicamente alla tentazione, stringendo l’Anello come per tenerlo al sicuro e impedirgli di sfuggire e di combinare qualche guaio. […] Fecero bere a Frodo un bel sorso, e quando intonò nuovamente la sua canzone, gran parte dei presenti si unì in coro: la melodia era conosciuta, ed essi erano molto abili a imparare le parole. Adesso era Frodo a sentirsi molto soddisfatto: piroettava e saltellava sul tavolo e quando per la seconda volta cantò: “E la mucca saltò al di là della Luna”, spiccò un balzo per aria. Ma era zompato con troppa energia: piombò giù con fracasso su un vassoio pieno di boccali e, scivolando, capitombolò dal tavolo con un sibilo, un rombo, un tonfo e uno schianto! Il pubblico si sganasciò dalle risate, ma rimase paralizzato dallo stupore: il cantante era scomparso, svanito d’un tratto, come ingoiato dal terreno, senza lasciare un buco o una traccia! […] Frodo si sentiva un idiota. Non sapendo che cosa fare, strisciò sotto i tavoli fino all’angolo buio dove si trovava Grampasso, immobile e impassibile. Frodo si appoggiò contro il muro, togliendosi l’Anello. Come diavolo si trovasse infilato al suo dito, era un vero e proprio mistero. L’unica spiegazione possibile era che, giocherellando con l’Anello mentre cantava, se l’era involontariamente infilato al dito quando aveva precipitosamente tolto la mano di tasca per parare la caduta. Per un attimo si domandò se non era stato l’Anello a giocargli un tiro; forse aveva cercato di rivelarsi in risposta a qualche ordine o desiderio che percepiva nella stanza. >>
Il Signore degli Anelli, La compagnia dell’Anello, libro I, cap. IX, “All’insegna del Puledro Impennato”
A volte sono i luoghi, a metterci nei guai.
A volte i luoghi sono solo pretesti, perché i guai ce li portiamo dentro e ci manca solo la scusa per tirarli fuori. A volte è una Brea qualsiasi, il luogo in cui fuggiamo, o la locanda di un puledro scalmanato, piena di gente e di rumore, un posto di passaggio dove il silenzio non faccia paura, dove il vociare annulli pensieri e rimorsi. O almeno, così credevamo. La tentazione non succede una volta, per caso, non è qualcosa che capita. Certo, la fetta di torta al cioccolato di troppo che ti si para davanti mentre sei in fila alla cassa dell’Ikea, capita a tutti, ma fateci caso: cadiamo spesso sempre nelle stesse, di tentazioni. Ognuno ha le sue preferite, ognuno ha il suo anello sempre a portata di mano. Quasi non sembrano più tanto male, eh? La tentazione ci schiaccia perché la conosciamo, l’abbiamo già vista in faccia e ci ha sconfitti, molte e molte volte. Si possono evitare luoghi, persone, si possono cambiare abitudini o amicizie. Ma la verità è che la tentazione non la puoi ingabbiare: sarebbe bello darle una fisicità, ma non ne ha, o meglio, la forma fisica che assume, siamo proprio noi. Noi che se davvero vogliamo qualcosa, ce la prendiamo, che se vogliamo provare un’esperienza o una sensazione, troveremo il modo. A volte diamo la colpa ai luoghi, agli altri, dando valenze negative, cercando un capro espiatorio per ciò che ci succede e per carità, il mondo che ci circonda è pieno di tentazioni, ma la realtà è che alcune, forse, ce le abbiamo sempre avute in tasca, come quell’anello che neanche Frodo sa come sia finito al suo dito. Era sicuro di non esserci cascato, stavolta. Distruggiamo amicizie, amori, opportunità, il nostro futuro, pur di non assumerci le nostre responsabilità. Ci convinciamo che è meglio così, che è bello avere il controllo e fare tutto ciò che ci fa sentire bene, che la vita è una e va corsa al massimo, che gli altri, il mondo, oramai sono cambiati e non c’è nulla di male, che siamo fragili e non possiamo farne a meno, che in fondo è una roba da nulla c’è di peggio, che da soli non siamo abbastanza.
Soli. Come nel deserto.
Lì sì che non c’è nessuno a salvarci, nemmeno una scusa. Lì sì, che possiamo finalmente guardare in faccia le nostre debolezze, tirarle fuori dalle tasche invece che continuare a rigirarcele tra le dita senza farci vedere e ascoltare la voce che le urla nella locanda non ci permettevano di sentire. Nel deserto non siamo poi così soli come pensiamo. È lì, quando ci sentiamo nudi, abbandonati, davvero bersagli facili, lì dove siamo costretti a guardarci dentro, che Lui ci aspetta, per parlarci di noi stessi, per darci il coraggio e la capacità di sconfiggere la tentazione, per rovesciare i ruoli e ridarci la nostra dignità.
Per ricordarci che noi siamo Suoi e nessuno può averci, se scegliamo di dare le nostre chiavi a Lui.
È vero, sta a noi mettercela tutta, ma se fuggire la tentazione diventa solo un mero esercizio di autocontrollo non vinceremo, non una volta per tutte almeno, non come chi sa che, anche se ricadrà, saprà dove ripartire. E’ difficile portare qualcuno nella nostra piccolezza, far vedere le infime stanze dove nascondiamo le nostre debolezze, mostrare la bruttezza che abbiamo dentro, vergognarci di noi stessi davanti ad un altro, ma ricordiamolo sempre, per quanto assurdo possa sembrare: Lui non si vergognerà mai di noi, Lui non aspetta altro di essere invocato e di portare la croce per noi. Nessuna confessione sarà mai troppo, nessun peccato sarà mai abbastanza per tenerlo alla larga da noi.
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