QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #34 MIMETIZZATO

Gli innamorati sventurati…Peeta deve aver giocato quel ruolo per tutto il tempo. Per quale altro motivo gli Strateghi avrebbero deciso questa modifica senza precedenti delle regole? Vista la possibilità che vincano due tributi, il nostro idillio deve essere tanto popolare presso il pubblico che condannarlo comprometterebbe il successo degli Hunger Games. Non grazie a me. Tutto quello che ho fatto è stato non uccidere Peeta. Ma qualunque cosa lui abbia fatto nell’arena, deve aver convinto il pubblico che è stato per tenermi in vita. Scuotere la testa per trattenermi dal correre alla Cornucopia. Combattere con Cato per lasciarmi fuggire. Perfino mettersi con i Favoriti dev’essere stata una mossa per proteggermi. Peeta, a quanto pare, non ha mai rappresentato un pericolo per me. […] “Sei qui per darmi il colpo di grazia, dolcezza?”. Mi volto di scatto. È venuta da sinistra, quindi non riesco a percepirla molto bene. E la voce era rauca e debole. Eppure, dev’essere Peeta. Chi altri nell’arena mi chiamerebbe dolcezza? I miei occhi perlustrano attentamente la sponda, ma non vedo niente. Solo il fango, le piante e la base delle rocce. “Peeta?” sussurro. “Dove sei?” Nessuna risposta. Possibile che l’abbia solo immaginato? No, sono sicura che era reale, e anche molto vicina. «Peeta?» Mi muovo furtiva lungo la sponda. “Ehi, non pestarmi”. Faccio un salto indietro. La sua voce è proprio sotto i miei piedi. Eppure non c’è nullla. Poi i suoi occhi si aprono, inequivocabilmente azzurri, tra il marrone del fango e vengo ricompensata da una fugace apparizione di denti bianchi mentre lui ride. È il massimo del mimetismo. Altro che lanciare pesi qua e là. Alla sessione privata con gli Strateghi Peeta si sarebbe dovuto trasformare in un albero. O in un masso. O in una sponda fangosa piena di alghe. “Chiudi gli occhi un’altra volta” gli ordino. Lui li chiude e chiude anche la bocca, e scompare completamente. La maggior parte di quello che mi pare sia il suo corpo è davvero nascosto sotto uno strato di fango e di piante. Il viso e le braccia sono mimetizzati in modo così perfetto da essere invisibili. Mi inginocchio di fianco a lui. ” Credo che tutte quelle ore passate a decorare torte ti siano tornate utili”. Peeta sorride. “Sì, la glassatura. L’ultima difesa del moribondo”. “Tu non stai per morire” gli dico con decisione. “E chi lo dice?”. La sua voce è aspra. “Io. Siamo nella stessa squadra adesso, sai” ribatto. Apre gli occhi. “Così ho sentito dire. Gentile da parte tua trovare  ciò che rimane di me”. Tiro fuori la mia bottiglia d’acqua e gli do da bere. “Ti ha ferito Cato?” chiedo. “Gamba sinistra. Su, in alto” risponde.

Hunger Games, libro I, capitolo 19

Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: “Rabbunì!”

Giovanni 20:14-16

Nel momento di più alto sconforto per Katniss,

proprio quando sembra trovarsi in uno stato di depressione profonda, quasi catatonica, per lo smarrimento lasciato dalla morte della piccola Rue tra le sue braccia, ecco che avviene l’impossibile.
È la voce di Claudius Templesmith, il commentatore degli Hunger Games, che risuona in tutta l’arena e informa i tributi di qualcosa mai vista prima: le regole sono cambiate.
Non un cambiamento di poco conto, ma qualcosa di radicale, mai visto prima: un miracolo!
I vincitori degli Hunger Games potranno essere due purché dello stesso distretto.

Ecco cosa può smuovere la nostra anima di fronte ad un’immensa disperazione:

qualcosa che sa gridarci la vita ancora più forte.
Come uno squarcio sul velo delle tenebre: così si sarà sentita anche la Maddalena.
Eppure, qualcosa accomuna queste due racconti, c’è una mimetizzazione inaspettata: Kat non riesce a trovare Peeta, la Maddalena non trova il corpo di Gesù.

E noi? Quante volte Dio fa lo stesso con noi?

Eppure è solamente nascosto dietro l’aspetto di un pezzo di pane.
Tutti abbiamo sofferto questo “celarsi” da maestro del Signore e magari lo soffriremo ancora moltissime volte.
È difficile riconoscere Gesù quando si camuffa, quando sta lungo la nostra via ma decide che non è ancora arrivato il momento di svelarsi: magari è dietro due occhi grandi e un corpicino piccolo in braccio alla mamma, o in una porcellana fragilissima di quelle che teniamo a braccetto mentre fanno le scale per evitare che cadano e si scheggino perché: “La vecchiaia è dura, ragazzo mio”.
Oppure lo ritrovi mentre stai in fila spazientita e ti arriva un sorriso, o dietro una parola di conforto che non ti aspetti.
Può nascondersi nello sguardo di uno sconosciuto, in un aiuto inaspettato, in un braccio che si tende quando non sai come rialzarti.

Anche nella nostra vita c’è un Gesù mimetizzato.

Una delle volte che ha fatto più scalpore la ricorda così lo scrittore François Mauriac: “quando, qualche settimana più tardi, Gesù si toglie dal gruppo dei discepoli, sale e si dissolve nella luce, non si tratta d’una partenza definitiva. Già egli è imboscato, alla svolta della strada che va da Gerusalemme a Damasco, e spia Saul, il suo diletto persecutore” – ed aggiunge una frase finale al suo libro –“D’ora innanzi, nel destino di ciascun uomo, vi sarà questo Dio in agguato”.

Ed effettivamente, si camuffa in modo così perfetto che ti costringe a fare marcia indietro nei ricordi e ricostruire la scena facendoti tornare tutti i particolari alla mente, sistemandoli piano piano in fila e quasi “rosicando” per non aver messo in ordine i pezzi del puzzle prima, per esserti lasciato sfuggire gli indizi che aveva lasciato.
Ed il segreto per far uscire Dio allo “scoperto” sembra sempre lo stesso: Dio scova in noi una crepa nella corazza, un punto di entrata che al momento giusto potrà farlo arrivare dritto dritto al nostro cuore.

E l’istante preciso che il Signore aspetta

è proprio quello in cui noi ci mettiamo in azione, in cui tentiamo di avvicinarci a Lui, anche se ancora non lo vediamo: Dio si fa scoprire mentre siamo in movimento, cogliendo l’attimo di  maggiore vicinanza, così da intrufolarsi nella nostra crepa.
Ha bisogno della nostra ricerca, ha bisogno del nostro vagare, per arrivare a noi.

La sofferenza della Maddalena la spinge al sepolcro, ed è lo stesso dolore che spinge Gesù accanto a lei, che gli permette di farsi un varco e sanare quel cuore sanguinante.
Così è per Kat: ora che non si sente minacciata da Peeta, è la ferita mortale di lui che mette in movimento lei, perché sa che spetta a lei cercarlo, avvicinarsi.

Nessuna delle due si aspetta una mimetizzazione così perfetta, così assolutamente celata.

Sarà la loro volontà a farli riconoscere: quella di Petta come quella di Gesù, che poteva rimanere perfettamente nascosto, ma sceglie di curare la sua Maddalena, restituendole un’immagine del reale che le sue pupille non erano più in grado di cogliere.

Come per Kat, non sono gli occhi della Maddalena a svelarle ciò che già osservano: è il sentirsi chiamata.

Perché ogni cristiano sa

che la sua fede non ha preso vita da qualcosa che ha visto, da qualcosa che ha convinto la sua razionalità, qualche discorso che ha sentito, ma solo ed unicamente dall’essere chiamato per nome.
Come se la potenza di quella chiamata mettesse un filtro al nostri sguardo, una lente che ci permette di vedere la realtà di Dio, che prima ci era totalmente nascosta, seppur conosciuta nella teoria.

Il nostro nome, pronunciato da Dio, ha la potenza di rimettere ogni cosa al suo posto, la potenza di svelarci il mondo per quello che realmente è, senza più nascondimenti: insomma, tutta la realtà di un cristiano è racchiusa nel proprio nome.

Ma per sentirlo pronunciare, dobbiamo avere la forza di trovare la feritoia nella nostra armatura, di trovare una crepa dove la Luce possa entrare, di trovare lo spazio di uno spiffero per farci inondare da Lui.
Se continueremo ad essere pieni di noi stessi, integri nel nostro egoismo, intatti nel nostro cuore di pietra e permeabili alla Grazia, non troveremo mai questo Dio già in agguato, in incognita, mimetizzato e in attesa di rivelarsi nella nostra vita.

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