QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #28 ACQUA

Il mattino porta la sofferenza. Sembra che la testa mi si debba spaccare a ogni battito del cuore. Fitte di dolore mi attraversano le giunture nei movimenti più semplici. […] Come posso procurarmi dell’acqua? Ritornando al lago. Pessima idea. Non ce la farò mai. Sperando che piova. Non c’è una nuvola in cielo. Continuando a cercare. Sì, è la mia unica possibilità. Poi, però, un altro pensiero mi colpisce, e l’accesso di rabbia che ne consegue mi riporta alla ragione. Haymitch! […] Forse Haymitch non si rende conto di quanto ne ho bisogno. Nel tono di voce più alto che posso azzardare, dico: “Acqua”. Piena di speranza, aspetto che un paracadute scenda dal cielo. Ma non compare nulla. […] Quindi…cosa? Sta cercando di farmi soffrire perché l’ho sfidato? Sta concentrando tutti gli sponsor su Peeta? È troppo ubriaco per accorgersi di cosa sta succedendo in questo momento? Per qualche ragione non ci credo, e non credo neppure stia cercando di farmi morire per disinteresse nei miei confronti. In effetti, nel suo modo sgradevole, ha davvero cercato di prepararmi per tutto questo. Allora cosa succede? Affondo il viso tra le mani. Adesso non c’è pericolo che pianga. Non riuscirei a spremere una lacrima nemmeno per salvarmi la vita. Cosa sta facendo Haymitch? Malgrado la mia rabbia, l’avversione e i sospetti, nel fondo della mia testa una vocina sussurra la risposta. Forse ti sta mandando un messaggio. Un messaggio. Che dice cosa? A quel punto, capisco. C’è una sola, buona ragione per cui Haymitch potrebbe rifiutarmi l’acqua. Perché sa che l’ho quasi trovata. Stringo i denti e mi tiro su. […] Nel pomeriggio, però, sento che la mia fine è vicina. Le gambe vacillano e il cuore batte troppo veloce. Continuo a scordare cosa sto facendo. Ho inciampato più volte e sono riuscita a rimettermi in piedi, ma alla fine, quando il bastone scivola sotto di me, cado a terra, incapace di rialzarmi. Lascio che mi si chiudano gli occhi. […] Va tutto bene, penso. Non è poi così male, qui. L’aria è meno calda, il che vuole dire che la sera si avvicina. C’è un profumo leggero, dolce, che mi ricorda i gigli. Le mie dita accarezzano il terreno soffice, scorrendo senza sforzo tutto intorno. Questo è un buon posto per morire, rifletto. La punte delle mie dita tracciano piccole spirali sulla terra fredda e scivolosa. Adoro il fango, penso. Quante volte ho seguito le orme della selvaggina grazie alla sua superficie morbida e leggibile. È utile anche per le punture d’ape. Fango. Fango. Fango! I miei occhi si spalancano e sprofondo le dita nel terreno. È fango! Sollevo il naso nell’aria. E queste sono ninfee! Ninfee! Avanzo carponi nel fango, trascinandomi verso il profumo. A cinque metri da dove sono caduta, attraverso strisciando un groviglio di piante ed entro in uno stagno.

Hunger Games, libro I, capitolo 12

Cominciò a sentire paura e angoscia. Gesù disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora.

Marco 14: 33-35

Quando siamo con l’acqua alla gola

o moriamo letteralmente di sete come Katniss, è difficile credere che ci sia qualcuno di invisibile ai nostri occhi che sta effettivamente vegliando su noi tanto da tenerci sott’occhio in ogni nostra mossa.
Kat non dubita mai del suo mentore.
Non dubita e non sa darsi pace: i perché si affollano e la poca lucidità acuisce un risentimento profondo. Stringe i denti, non si arrende: preferisce credere al bene che ha colto in Haymitch che alla sua indifferenza o cattiveria.
Sembra quasi quel Dio buono di cui abbiamo sempre sentito parlare, che però ha quel tempismo perfetto che lo fa sparire proprio nel momento del bisogno.
Eppure Kat non è lontana dalla verità.
Di fronte al vuoto, non si perde nel baratro della disperazione e della rabbia ma alimenta la speranza, oltre ogni logica, con ogni briciolo di forza rimasta.
Perché in fondo conoscere Dio è anche questo: ricordarsi delle sue promesse proprio quando sembra scomparso, o peggio, mai esistito.

Kat ci insegna la lezione della fede vera.
E la risposta piano piano si fa largo nella sua mente: un messaggio nel silenzio assordante. Parole mute che solamente lei può decifrare perché unica destinataria di quell’annuncio intangibile.
Un indizio sospinto solamente da una buona ragione, da una razionalità che sa guardare oltre la sua cecità, oltre le soglie del mondo tangibile, oltre le mura di ciò che è per noi reale, ai confini delle intuizioni e delle sensazioni.
Questa la risposta quando brancoliamo nel vuoto: continuare a muoverci nella fiducia, chiedere anche quando ci sembra folle credere che qualcuno sia in ascolto.

Cogliere nel vuoto oblio il messaggio personale di Dio per noi.

Mantenere la lucidità per decifrare il codice morse captato nel buio del nostro abisso.
Perché se le orecchie sono vuote e la luce inghiottita dalle tenebre, potremo sempre allungare la mano, fidandoci, e percepire quello spazio celato ai nostri occhi, senza suoni, ma che saprà parlarci nel silenzio più buio.
Non è cosa facile coglierlo, non è semplice da decifrare.
Kat si fida, stringe i denti, continua a camminare.
Quante volte noi ci fermiamo, immobilizzati davanti ad una situazione che sembra senza via d’uscita, abbandonando anche la voglia di trovare delle risposte, di svelarne il significato, di attraversarle pur di scoprire un bene ancora più grande.

Anche Kat alla fine si lascerà sopraffare dal nulla, attenderà che il vuoto la ingoi, crollando a terra.

Anche l’uomo dei dolori, tra le pietre del Golgota, lascia che quel legno della croce abbia la meglio: si lascia seppellire dal peso visibile, così indiscutibilmente reale, mentre invece trasportava su di sè anche il fardello spirituale del male.

Abbraccia la sua umanità, lui che invece era Dio, facendosi anche carico delle nostre iniquità: si umilia sotto un corpo che si spezza, sotto le torture e le sevizie, senza smettere di soffrire nell’anima.
Abbraccia con ogni fibra del suo essere la sua condizione naturale, mentre è già schiacciato dal peso del male: ogni caduta di Gesù non è solo conseguenza di uno sforzo carnale, ogni caduta è il contatto tra il nostro mondo e l’altro.
In ogni caduta sono due le forze che scaraventano Cristo letteralmente a terra: quella fisica e quella spirituale che cerca di avere la meglio, di stroncare il Figlio di Dio, di annullare la sua cieca obbedienza di amore.

Anche Kat scopre il nesso fra la realtà ed il messaggio invisibile del suo mentore, crollando a terra.

Proprio in quel momento la sua fede la salverà: ad un passo dalla morte saprà riconoscere il significato, il costante vigilare di Haymitch, la presenza silenziosa eppure viva di qualcuno che si è preso cura di lei in ogni attimo, soprattutto quando non se ne rendeva conto.

Ma deve crollare a terra, per farlo.

Una speranza reale, una fiducia concreta e tangibile che tutto quello che stava cercando è finalmente a due passi da lei: il fango e la vita a pochi passi.       

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