QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #21 ANSIA

Metto una camicia da notte spessa e lanosa e mi ficco a letto. Mi ci vogliono circa cinque secondi per rendermi conto che non mi addormenterò mai. E ho un bisogno disperato di sonno, perché nell’arena ogni istante in cui cederò alla fatica sarà un invito per la morte. Non mi piace. Passa un’ora, poi ne passano due, poi tre, e le mie palpebre rifiutano di farsi pesanti. Non riesco a smettere di chiedermi su quale tipo di terreno verrò catapultata. Deserto? Palude? Landa glaciale? Soprattutto, spero ci siano alberi: con quelli possono nascondermi, mangiare e ripararmi. Gli alberi ci sono quasi sempre, perché i paesaggi aridi sono noiosi e, senza alberi, tutto finisce troppo in fretta. Ma come sarà il clima? Quali trappole nascoste avranno teso gli strateghi per movimentare i momenti di fiacca? E poi ci sono gli altri tributi…Più sono ansiosa di prendere sonno e più il sonno mi evita. Alla fine sono troppo ansiosa anche solo per restarmene a letto.

Hunger Games, libro I, capitolo 10

<<Per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace>>

Luca 1, 78-79

Chi non è mai rimasto in balia di pensieri opprimenti e ossessivi?

Roba da perderci il sonno?
Certo la condizione di Katniss è davvero al limite, eppure condizioni drammatiche le troviamo anche nel nostro mondo reale.
State sereni, le serate da “occhi-sbarrati” le abbiamo passate tutti, chi a livelli soft come la fortunata sottoscritta e chi a livelli di sofferenza devastante.

Anche l’Odissea descrive l’angoscia di Telemaco, la notte prima di partire per mare alla ricerca del padre disperso: l’asia è da sempre. Eppure all’alba, dobbiamo farci trovare pronti per mordere la vita e le situazioni difficili che ci aspettano.

Anche Gesù passò la notte in bianco prima della passione, eppure si fece trovare pronto a quell’ultima prova d’amore che avrebbe cambiato per sempre il corso della storia. Noi non abbiamo responsabilità così grandi, almeno la maggior parte di noi.
Ma nel nostro piccolo, anche noi siamo protagonisti della nostra, di storia, e siamo chiamati a viverla, ad affrontare la paura, a farci carico della responsabilità delle nostre scelte e anche dell’ignoto.
E il problema non sarà nelle lunghe notti che portano consiglio, ma nella nostra capacità di non farci definire da quelle notti, di lasciarcele scivolare addosso come il velo dell’ombra che sovrasta il mondo, per poi scoprirlo all’alba e indossare la nostra armatura.
Il diradarsi delle tenebre all’aurora, dovrà coincidere con il risveglio del nostro cuore e della nostra grinta.
Facile dirlo così, ma quando non succede?

Quando fuori splende il sole e dentro infuria la tempesta?

O peggio, quando in noi c’è una coltre di nebbia fitta, asfissiante, che non ci lascia respirare?
Cosa si fa in quelle occasioni?

Intanto si parla: non per ripulire l’anima ma per sentire che in quelle condizioni ci siamo stati tutti e molti altri prima di noi.
Cercate un amico fidato, il vostro confessore o magari un’amica consacrata: le tenebre del male si diradano meglio se qualcuno porta la lampada della Sua luce.
In questi momenti è anche difficile affidarsi alla preghiera: solo amici fidati ci sosterranno con la loro preghiera nel momento in cui verrà a mancare la nostra.

Poi di certo potrà aiutarci cercare di vedere oltre il nostro problema, fissare l’orizzonte e metterci bene in testa che anche la nostra preoccupazione avrà una fine, o almeno un orizzonte da cui sorgerà il sole: Gesù.
Sarà utile trovare dei semplici “mantra”, come va di moda dire, che durante la giornata ci aiutino ad alzare lo sguardo a Colui che può liberarci da ogni angoscia: le preziosissime giagulatorie.
Sono inestimabili perché permettono un continuo contato con Lui, super versatili, per portare alla memoria in ogni momento della giornata la Sua parola, versi della Bibbia o invocazioni che possano farci alzare lo sguardo verso la bellezza del Cielo, per ritrovare l’orizzonte, il nostro sole che sorge: Dio sempre pronto ad illuminarci e rischiaraci la vita.

Molti santi hanno avuto a che vedere con malattie mentali, pensiamo alla sofferenza di Santa Teresa del Bambin Gesù che supportava il padre nella sua depressione, o santa Giovanna Francesca Chantal, che addirittura si è guadagnata il patrocinio delle depressioni, e moltissimi altri ancora, per indicare che le malattie mentali non possono essere snobbate.
E così io chiamo spesso in ballo il santo della gioia, San Filippo Neri, che ad un suo parrocchiano amico, sofferente nei suoi pensieri ossessivi, indicò la semplicissima preghiera “Scrupoli e malinconia lontano da casa mia“, con uno sforzo categorico nel “bloccare” questi pensieri fastidiosi sul nascere.
Perché può capitare che la nostra stanchezza fisica o mentale ci lasci crogiolare più del dovuto su pensieri dannosi ed inutili: penso a quei giorni di tristezza dove, con un certo masochismo, rincorro canzoni strappalacrime che accudiscono il mio dolore e lo alimentano, senza darmi speranza di uscirne.

Certo, non sempre è possibile contrastare questi attimi, ma la nostra “battaglia” non dobbiamo evitarla, non dobbiamo arrenderci e farci travolgere da tristezza e malinconia.
Dobbiamo impegnarci per quanto ci è possibile e lasciarci aiutare, se servisse, da medici che abbiamo gli strumenti adatti per accompagnarci.
Dobbiamo anche ricordarci nelle nostre preghiere di chi “non può pregare” per se stesso, di chi non ci riesce più, di chi si trova nell’angoscia, di chi è senza famiglia e senza amici: dobbiamo diventare solidali nella preghiera nascosta, sicuri che il Signore saprà “distribuire” il nostro aiuto a chi si trova nella difficoltà.

C’è bisogno di chi si prendano a cuore fratelli mai conosciuti e amici mai incontrati: questa è la chiesa che va oltre i confini della realtà, che supera spazio e tempo nello sguardo fisso all’orizzonte, pronta a farsi illuminare dall’arrivo della Luce.

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