QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #16 INVARIATO

Caesar Flickerman, l’uomo che conduce le interviste da più di quarant’anni, balza sul palco. Fa un po’ paura, perché il suo aspetto è rimasto praticamente invariato per tutto questo tempo. Lo stesso viso, sotto uno strato di trucco di un bianco purissimo. Gli stessi capelli, che tinge di un colore diverso a ogni edizione degli Hunger Games. Lo stesso abito da cerimonia blu scuro, punteggiato di mille minuscole lucine elettriche che brillano come stelle. A Capitol City la gente fa interventi chirurgici per apparire più giovane e più magra. Nel Distretto 12 i segni della vecchiaia sono una specie di conquista, data la quantità di persone che muoiono giovani. Appena vedi un anziano, vuoi quasi congratularti con lui per la sua longevità, chiedergli il segreto della sopravvivenza. Una persona ben pasciuta la invidi, perché non tira avanti a fatica come la maggior parte di noi. Ma qui è diverso. Le rughe non sono apprezzate. Una pancia rotonda non è indice di successo. Quest’anno Caesar ha i capelli azzurro polvere, così come le palpebre e le labbra. Ha un aspetto bizzarro, ma meno spaventoso dell’anno scorso, quando aveva scelto il cremisi e sembrava che sanguinasse. Caesar racconta qualche barzelletta per scaldare gli spettatori, poi si mette al lavoro. La ragazza del Distretto 1, provocante in un abito da sera dorato semitrasparente, raggiunge il centro del palco e si mette accanto a Caesar per la sua intervista. Si vede che il suo mentore non deve aver fatto molta fatica a trovare la giusta prospettiva per lei. Con quei capelli biondi e fluenti, quegli occhi verde smeraldo, quel corpo alto e sensuale…è sexy dalla testa ai piedi.

Hunger Games, libro I, capitolo 9

Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno.

2 Corinzi 4:16

Il tempo ci fa paura.

Ma più del tempo, è la nostra immagine riflessa che ci spaventa.
Pensate che liberazione un mondo senza specchi!
Vivere in un villaggio sperduto, senza finti modelli, finti corpi, senza trucchetti e segreti estetici, senza creme miracolose.
Tutti vorremmo già quel corpo statuario e perfetto che ci è stato promesso alla fine dei tempi.
Ma ora, ci tocca combattere con questa cosa molliccia, affezionatissima alla forza di gravità, così “budinosa” e mutevole da farci passare ore ad osservarne i cambiamenti, le righe, i cedimenti, mai soddisfatti e sempre più depressi.

Anche i sorrisi nelle foto, quelli più perfetti, più pieni, sono sempre i più brutti. Ma non solo i sorrisi, anche i momenti dove siamo concentrati, assorti nei pensieri.
Questo perché c’è sempre un confronto, un paragone, un livello a cui tendere. E quando non basta il nostro corpo, allora si passa all’aspetto.

La moda, come dice D’Avenia, è la ricorsa a ciò che è già morto:

il suo vivere sta proprio nel continuo morire, nel rinnovarsi ogni attimo ed essere sfuggevole.
Un esistenza passata a rincorrere la morte, più che la vita.
E questa scia di morte, la moda se la trascina dietro: non si è mai abbastanza, mai all’altezza, mai un’esclusiva.

Questo è ciò che gli abitanti di Capital City non hanno capito, ciò che Effie Trinket non riesce a capire.

Ma noi? Noi lo capiamo?

Riusciamo a mantenere un sano equilibrio, un sano attaccamento al nostro corpo e allo stesso tempo un sano distaccamento?
Sembra la malattia dei nostri giorni: la cura del corpo.
L’attività fisica è diventato il nostro mantra, il nostro appuntamento immancabile, altro che la messa di domenica.
Proprio noi, figli di una cultura classica che ci insegnava a guardare con rispetto all’anima, a curaci di lei, a dargli il peso che si meritava.
Tutto questo per noi sembra quasi scomparso, anzi, denigriamo tutto ciò che non ci appare reale o tangibile.

Eppure tutti i nostri sentimenti sono così.

E allora abbiamo lasciato solo quelli: un mucchio di “sentire” senza un luogo, senza ordine. Un mucchio di bisturi per aprirci, sezionarci, analizzarci, sentimento dopo sentimento, senza però imparare, senza educarci.
Vivere al massimo, senza regole, senza chiederci davvero dove ci porterà.

Questo è Capital City: un luogo dove rincorrere la libertà ha finito per rende schiavi delle proprie illusioni.
Dove anche noi non riconosciamo più un corpo sano, quando lo vediamo.
Dove anche noi siamo “anti” normali, e ci “curiamo” dalla realtà per non doverla affrontare: anti-rughe ed anti-cellulite in primis.
Così che abbiamo trasformato l’età adulta in un campo di battaglia per combattere ogni minimo sintomo di vecchiaia, e la vecchiaia come qualcosa di indesiderabile, che non vogliamo arrivi mai. Ricordiamo che nella Bibbia i “vecchi” erano saggi e i benedetti dal Signore.
Cos’è rimasto di tutto questo? Ma soprattutto, cosa vogliamo farne noi?

Gli eterni Dorian Gray di questa epoca.

Ci prenderà voglia di liberarci, di fuggire le false mura di Capitol City?
Di tronare di nuovo a respirare l’aria fresca dei boschi di Kat?

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