QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #6 ERBA SAETTA
Vendevo anche presentandomi direttamente alla porta di servizio delle famiglie più ricche della città, cercando di ricordare ciò che mio padre mi aveva insegnato e anche imparando qualcosa di nuovo. Il macellaio avrebbe comprato i miei conigli ma non gli scoiattoli. Al fornaio piacevano gli scoiattoli, ma avrebbe concluso il baratto solo a condizione che sua moglie non fosse nei dintorni. Il capo dei Pacificatori adorava il tacchino selvatico. Il sindaco aveva una passione per le fragole. Verso la fine dell’estate mi stavo lavando in uno stagno, quando mi accorsi delle piante che crescevano lì intorno. Alte, con foglie simili a punte di freccia. Fiori con tre petali bianchi. Mi inginocchiai nell’acqua, scavando con le dita nella melma morbida, e strappai le radici a piene mani. Erano piccoli tuberi bluastri che non assomigliano granché alle patate, ma sono altrettanto buoni se bolliti o cotti al forno. “Katniss, erba saetta” dissi ad alta voce. È la pianta di cui porto il nome. E sentii la voce di mio padre dire scherzando: «Finché riuscirai a trovare te stessa, non morirai mai di fame». Passai ore a smuovere il fondo dello stagno con le dita dei piedi e un bastoncino, raccogliendo poi i tuberi che galleggiavano in superficie. Quella sera ci ingozzammo di pesce e radici di erba saetta fino a che, per la prima volta dopo mesi, non fummo tutte e tre davvero sazie. Lentamente, mia madre si riprese. Cominciò a pulire e a cucinare e a mettere via per l’inverno un po’ del cibo che portavo a casa. La gente faceva baratti con noi oppure pagava in denaro i medicinali di nostra madre. Un giorno la sentii persino cantare. Prim era eccitatissima di riaverla con sé, ma io la osservavo aspettando che ci svanisse sotto il naso un’altra volta. Non mi fidavo di lei. E qualche piccola e contorta parte di me la odiava per la sua debolezza, per il suo cedimento, per i mesi che ci aveva fatto passare. Prim la perdonò, ma io mi ero allontanata da mia madre, avevo eretto un muro per proteggermi dal bisogno che avevo di lei, e nulla tra noi era più come prima. E ora sarei morta senza avere rimesso a posto le cose. Ho pensato a come oggi me l’ero presa con lei, nel Palazzo di Giustizia. Le avevo anche detto che le volevo bene, però. Magari quello avrebbe sistemato tutto.
Hunger Games, libro I, capitolo 4
Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Giovanni 14:26
Potremmo dire che la nostra Kat ha coraggio da vendere:
non ha timore di fare affari con la stessa gente che potrebbe accusarla, tradirla, condannare a morte certa. Sono quei piccoli frammenti di memoria che la rendono impavida, sicura anche di bussare alle porte degli uomini più illustri della città, per di più ai capi dei Pacificatori, gli stessi che quelle regole lì erano tenuti a farle rispettare.
Eppure, è più semplice fidarsi della lealtà di un nemico che concederne di nuova ad una persona che amiamo; la stessa Katniss che tratta con i pezzi grossi, non sa più parlare a sua madre.
Mattoncino dopo mattoncino, Kat a si è costruita la sua fortezza dove il nemico non è il mondo esterno e neanche più la sua mamma:
il suo peggior nemico non è altri che lei.
Lei stessa, i suoi sentimenti, il suo istintivo bisogno di affetto è ciò che più di tutti teme, ciò che non riesce a contrattare, neanche con le piccole dimostrazioni di amore della madre, mentre tenta di riprendersi da una severa depressione.
La mamma non ha alcuna possibilità con la figlia: non riesce a scalfire quella muraglia invalicabile, e l’unica fessura che Kat ha lasciato fa trapelare solamente un flebile “ti voglio bene” al posto dell’amore immenso che c’è dall’altra parte del muro e che ora rimpiange di non aver gridato.
Perché noi la battaglia ce la giochiamo tutta qui: dare ancora fiducia a chi ci ha deluse, ferite, abbandonate, ignorate nel momento più buio della nostra vita.
E mentre con Dio potremmo anche giocarcela bene, dato che lui per primo sa cosa proviamo davvero, con chi amiamo è tutt’un’altra storia: buttarsi e rischiare ogni volta, giocarsi quell’amore che proviamo e metterlo anche in balia degli altri, passargli in mano il pugnale dalla parte del manico e scoprire il nostro cuore, oppure vivere di rimpianti e delusioni.
“Finchè troverai te stessa non morirai affamata”
le diceva il padre parlando dell’erba saetta da cui lei prende il nome.
Ed aveva ragione più di quanto immaginasse.
Quella barriera che ci costruiamo, credendo di fortificarci e renderci indistruttibili, in realtà è solo un modo per nasconderci agli occhi del mondo, e un po’ anche ai nostri, così come fa Kat: una bambina fragile, rinchiusa oltre quel muro invalicabile.
Ma non è la fine se decidiamo di non soccombere, di fuggire da quella trappola e tornare alla Luce:
tornare noi stessi vuol dire rifare tutto da capo,
rimarginare le ferite e trovare la forza di abbattere mattone dopo mattone la barriera.
Tornare noi stessi, senza compromessi, tornare al mondo fuori e mostrare le cicatrici, abbandonare la nostra solitudine, aprirci dal nostro “rannicchiamento” che ci rende ciechi e concentrati solo su noi, guardarci dentro, accettare la nostra storia ma soprattutto ogni nostra fragilità, ogni inadeguatezza.
Ricordare ogni ferita, la nostra paura di sgretolarci da un momento all’altro. Sforzarci di riconoscere noi stessi, al di là di ogni dito che puntiamo contro un altro.
Oltre quelle mura invalicabili, da quella fame di sé, risuona la voce saggia del padre: si fida, la segue, e finalmente mangia, finalmente può curarsi di chi le sta attorno, per una volta può sentirsi piena ed appagata.
Kat risorgere dalle sue tenebre perché risponde alla “fame” con “ricordi” del padre, alla morte che la sbeffeggia con una “sorgente di vita“.
E se questa è la potenza di un ricordo tutto umano, di una ragazza per il padre, pensate cosa potrà operare in noi la presenza viva dello Spirito che ci ricorderà le parole di Dio, che ci insegnerà cose nuove mai udite.
Questo Spirito silenzioso sarà la nostra sicurezza, la nostra garanzia, la nostra salvezza quando tutto sembrerà crollare ai nostri piedi.
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