QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #5 GHIANDAIA IMITATRICE

Avevano perduto la capacità di ripetere frasi e parole, ma riuscivano a imitare certi vocalizzi umani, dal gorgheggio acuto di un bambino ai toni profondi di un uomo. E persino canzoni. Non solo qualche nota musicale, ma intere canzoni, se avevi la pazienza di cantargliele e se a loro piaceva la tua voce. Mio padre era un grande appassionato di ghiandaie imitatrici. Quando andavamo a caccia, fischiava o cantava canzoni complicate apposta per loro, e le ghiandaie, dopo una pausa educata, le ricantavano sempre. Non tutti gli umani vengono guardati con tanto rispetto. Ma ogni volta che mio padre cantava, tutti gli uccelli della zona si zittivano e ascoltavano. La sua voce era così bella, alta e chiara, così piena di vita, che ti faceva venir voglia di ridere e piangere allo stesso tempo. Non sono mai riuscita a impormi di far rivivere quell’abitudine, dopo che lui se ne è andato. Eppure c’è qualcosa che mi conforta in questo uccellino. È come avere una parte di mio padre qui con me a proteggermi. Fisso la spilla alla camicia e, col tessuto verde scuro come sfondo, posso quasi immaginare la ghiandaia imitatrice che vola tra gli alberi.  

Hunger Games, libro I, capitolo 3

I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono. Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola.

Salmo 18

Sarà successo anche a voi di fermarvi in un bosco, soli, oppure in un parco senza nessuno, e sedervi.
Lì, nel silenzio, ad un certo punto sentirete di non essere soli: lo scricchiolio delle foglie, il vento leggero che allunga le sue dita suonando l’arpa con i rami degli alberi.
Poi, richiamati da questa orchestra, ecco il coro che timidamente fa capolino, prima uno alla volta, piccoli solisti coraggiosi, poi insieme, in armonia, spronandosi a vicenda: gli uccelli.
Come ignorarli?

Quella melodia non è per noi, eppure sembrava aspettarci da sempre:

unica, irripetibile.
È per questa opera, a prima vista trascurata, nella corsa verso sera che ripetiamo ogni giorno, eppure inestimabile se venisse a mancare, che gli uccelli sono così amati: Bibbia, Vangelo, vite dei santi sono come accompagnate da questo coro che ogni tanto fa capolino e si impone sulla vita dell’uomo insegnando cose dell’altro mondo, quello che non possiamo vedere con gli occhi.
Gli uccelli, anche quelli più insignificanti, da sempre prestano agli uomini le loro ali per volare oltre i confini di questa terra.
Così troviamo i Salmi che li innalzano dandogli pari opportunità delle schiere angeliche facendogli l’onore di cantare la “gloria di Dio”. Troviamo Gesù che li loda per la loro umiltà, per la loro fede nell’amore del Padre, per quel loro “non preoccuparsi” che sottintende la fatica umana nel tentare di comprendere la misericordia di Dio.
Ed ancora nell’antico testamento, sacrificati al Tempio come “pegno di riscatto” per espiare le colpe o per sigillare un voto, come un’offerta che si eleva ai cieli dalle radici della terra, dalla mediocrità della materia verso il mondo dello spirito.

Gli stessi uccelli che riconoscono un santo, quando lo incontrano,

e lo ascoltano in silenzio pregare o accorrono attirati dall’incanto delle sue prediche, quasi riconoscendo quella paola di quel Dio che li ha creati.

Così stupisce sentir raccontare del padre di Katniss che gioca con il canto delle ghiandaie, piuttosto che intercettare la loro voce per scoccare una freccia.

Eppure c’è una legge non scritta nel cuore degli uomini, che si tramanda silenziosa sin da quel “mandato” lasciatoci proprio da Dio nell’affidarci la sua opera, il suo creato.

La verità profonda che soggiace in ogni cuore: non si può abbattere la bellezza.

Prendendo in prestito le parole di Hemingway, quella della voce lontana di un vecchio saggio pescatore del mare: “Sono contento che non dobbiamo cercar di uccidere le stelle. Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercar di uccidere la luna pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercar di uccidere il sole. Siamo natifortunati, pensò.”.

E no, non si parla della bellezza materiale, strutturale nel nostro mondo perché opera di Dio in ogni essere, in ogni materia, anche osservando la minuziosa perfezione di una cellula o la struttura rigorosa di un atomo.

No, qui si parla di quella bellezza che eleva,

che è scorciatoia, “autostrada” attraversata da ogni animo per arrivare al “casello” delle domande importanti,

quelle domande che finiscono sempre con “io”, “vita”, “morte”, “senso”.

Quel punto di arresto dove ognuno deve guardare nelle tasche o nella borsetta, alla ricerca di qualcosa di nascosto, di qualche spicciolo per tentare di pagare un biglietto dal costo smisurato e far aprire la sbarra che ci divide dalla vita vera, quella del significato di ogni cosa.
È  proprio in quel punto lì della tua vita che ti ritrovi sfornito, nudo, colto in flagrante, senza soldi, doccia fredda, strada bloccata.

Eppure non è tutto perduto se hai la fortuna di accorgerti di chi siede nel posto a fianco al tuo.

Basta girare lo sguardo, mettere bene a fuoco, quella strana azione che qualcuno ha definito “convertirsi”: trovare un qualcuno che donerà una ricchezza immeritata ed inaspettata.
Un Gesù che ha già pagato il prezzo al posto tuo, pur di fare entrare anche te, pur di farti partecipe di quel nuovo mondo altrimenti inaccessibile. 

E anche la nostra Kat, nella sua vita cruda, dove un coniglio significa sopravvivenza, dove un uccello che canta è un uccello spacciato, sa riconoscere la meraviglia della ghiandaia, intrisa di ricordi dolci e di una bellezza che riesce a portarla oltre le mura di un’esistenza mostruosa. Anche la nostra mente si perde nei meandri del “come” e del “cosa” quando si parla di evangelizzare, di educare i nostri figli, di strapparli alle grinfie di un mondo sporco, di quel “cane rabbioso” che seppur “legato a una catena” è pronto ad azzannare, e sentiamo la fatica di qualcosa che ci sovrasta, perché disarmati.

Cercate la vostra faretra, indossate il vostro arco, ma ricordate che la vostra natura non è diversa da quella degli uccelli del cielo

o dal “cantare” una melodia che valga la pena di essere ripetuta per la sua bellezza, che possa moltiplicarsi e scoccare più lontano di qualsiasi freccia.

Dio ha già plasmato in noi la sua “immagine” e l’unica cosa che dovremmo fare è seguire ciò per cui ci ha creati: far risuonare nella terra la magnificenza della sua Parola, ripetere come ghiandaie quel canto che ci è stato donato, quelle sue stesse parole custodite nei Vangeli, e riempire l’aria della sua bellezza.

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