SANTA CASA DI LORETO

Per chi ha un rapporto bambino con Maria,

come noi che abitiamo vicino la sua “casa” di Loreto e che fin da piccoli siamo entrati da quella porticina, abituati dai nostri genitori a scrutare le pietre, sceglierne una da “toccare”, come per arrivare alla mano di Lei, in un luogo oltre il tempo e lo spazio, per noi che Maria la sentiamo “di casa”, questa sera non è come le altre.

La tradizione infatti ricorda un “volo” benedetto dove una viaggiatrice d’eccellenza scelse le nostre colline – vista mare, s’intende! – per accogliere a casa sua una miriade di figlioli, sparsi per la Terra.
Ovvio, aveva una scorta d’eccezione: compagnia affidabile e selezionata, mani d’oro, servizio divino, hostess angeliche oserei dire.

E qui, tutto quel trambusto silenzioso di una notte che sembrerebbe una come tante, ma che stravolse le nostre vite, lo ricordiamo ancora.

E nessuno da queste parti si cura di storia, leggenda, verità, ma solo di una cosa, la fede.

Così si preparano le stoppe e le frasche, accumulate in alti cumuli, per accenderle tutti insieme, tutti nella stessa notte, tutti con le stesse parole tra le labbra: “Ave, Maria”.
E mentre gli uomini spostano legna e si curano del falò – e del vin brulè anti congelamento -, le vergare – massaie delle zone marchigiane – buttano veloci fuori casa i mariti dopo una cenetta veloce: presto, non c’è tempo!
È da giorni che si preparano, che puliscono la casa, che hanno smacchiato la tovaglia buona, la più bella, rigorosamente bianco candido.

“Fuori tutti, è tutto pronto e pulito, fatemi dare l’ultima passata!”.

E armate di scopa rassettano lì, dove pochi minuti prima si è mangiato e qualche briciola potrebbe essere caduta, in una casa che non è mai stata così pulita, fino allo stesso giorno dell’anno prima.
Stendono la tovaglia immacolata, rigorosamente senza pieghe.
Appoggiano al tavolo un catino ed una brocca piena d’acqua, adagiando l’asciugamano del corredo buono, tramandato da mamma in figlia, mai usato, di lino con le frange lunghe e le sfilature fatte a mano o il pizzetto al tombolo.

“La Regina stanotte passerà tra le vie”, spiega la nonnina alla piccola, mentre chiude e si dirige al falò guidata nel buio dalla luce e dal brusio del ritrovarsi dei vicini di casa, ” sai, magari sarà stanca, vorrà riposarsi e rinfrescarsi, prima di riprendere il viaggio.
Chissà che non avvenga proprio nella nostra casa!”.

E mente lo strepitio del fuoco scoppiettante piroetta in uno scoppio mille braci danzanti nel vento,

lo sguardo dei piccoli rincorre stella dopo stella il manto della notte,

sperando di scorgere quello strano corteo, sperando di vedere quella Regina, così viva, così vera, così vicina in questa notte.

E si potrebbe quasi pensare ad una tradizione bambina, a qualcosa di fanciullesco ed infantile.

Bene, la mia bisnonna praticò l’antica usanza per tutta la sua vita: non spinta da motivi educativi, non per dare l’esempio, non per insegnare.

La Regina passava, e ogni anno ogni cosa era pronta, solo per Lei.

Questa fede sia la guida: non l’esempio, non il senso di dovere, non la tradizione, ma l’esserci, per Lei.

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