QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #2 TRIBUTI

“Le regole sono semplici. Come punizione per la rivolta ognuno dei dodici distretti deve fornire due partecipanti, un ragazzo ed una ragazza, chiamati tributi.”

Hunger Games, libro I, capitolo 1

«Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.»

Esodo 20, 5-6

È scioccante vero?

Sì ma adesso facciamo tutti un bel respiro e non facciamoci prendere dal panico.
Le scritture e la Parola di Dio non sono fatte per farci sentire a nostro agio, per darci il nostro “mantra” quotidiano.
Non sono slogan di circostanza, frasettine fatte da scartare nei cioccolatini. Non sono neanche citazioni da appiccicare alla fine di qualche nostro discorso per giustificarne il punto di vista.
La Parola di Dio brucia, fa male, è lama tagliente: perché solo così può entrare nel nostro cuore ed operare, come un medico con il bisturi, andando a tagliare ciò che è superfluo e curare ciò che è malato.

Quello che leggiamo qui non è il Dio a cui siamo abituate: barba bianca, capelli radi, sguardo dolce e sicuro, e sicuramente qualche caramellina in tasca per i nipotini. Insomma, questo Dio del libro dell’Esodo non sembra affatto quello di cui avevano parlato a me, io non lo conosco questo essere qui, vendicativo e impietoso.
Eppure è proprio lo stesso, Gesù ce lo conferma: “Non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento”. E quello che parla in questo antico libro non è forse il Padre, quel Padre che figlio chiama “Abbà!”, quello che “darà cose buone” più di quanto noi possiamo fare”?

Allora il mistero si infittisce.

Questa condanna che penetra in noi fino alle fondamenta del nostro corpo, nel nostro sangue, che avvelena il nostro Dna, trascinandosi ai discendenti di quarta generazione, mette i brividi.
Ma cos’è in confronto alle mille generazioni che vivranno la grazia di Dio per amore dei suoi avi? Non è forse immensamente più grande la sua promessa di misericordia che la sua condanna?
Eppure, anche questa consolazione non è abbastanza.
Lascia però un segno, una traccia, un barlume di quel Dio che conosco. Bisogna cogliere questo indizio criptato per riuscire a decifrare questo Dio troppo autoritario, troppo lontano, troppo irriconoscibile.
E come sempre, il più attendibile a parlarci del padre è proprio il figlio che lo conosce da sempre. Gesù ci rivela qualcosa che ha a che fare con l’atteggiamento del Padre e, per scoprirlo, dobbiamo leggere il Vangelo di Matteo, capitolo 19, dove viene interrogato e parla dei comandamenti lasciatici in eredità: infatti, nonostante le chiare leggi di Dio, Gesù dice di Mosè che egli permise delle concessioni

“per la durezza del vostro cuore”.

Questa chiave di lettura ci scordiamo troppo spesso di considerarla. Dio parla al suo popolo, in quel tempo lì, in quel contesto lì, a quei cuori lì, lasciando un insegnamento valido tutt’ora, anzi, validato anche da molte conoscenze attuali.
Dio parla a ragion veduta e conoscendo la profonda durezza dell’animo umano: di ieri, come quello di oggi.
Non era ammissibile che Dio parlasse loro con un trattato di pedagogia, di quelli a nostra disposizione ora, che chiariscono a lettere cubitali come l’apprendimento e l’esempio assorbito durante l’infanzia possa essere difficilmente trascurabile nella crescita personale, arrivando a costituire veri e propri traumi e ferite che condizionano il comportamento, il “sentire” e la stessa vita, ostacolando il pieno compimento della maturità dell’individuo.

Ma per un cristiano c’è di più.

Quanto può influire il buono o cattivo esempio dei genitori nella fede personale di un figlio? Nel rapporto bambino che si inizia a creare, nel dialogo intimo con Dio? Quanto inquina un bambino o un adolescente venire cresciuto in una casa costantemente e volontariamente permeata dal peccato? In una famiglia violenta, in un nucleo di malavita, in un ambiente avido, in un clima arido?
E, badiamo bene, anche iniziando a renderci conto dell’inquinamento che comporta, il Signore non sta mica parlando di peccatoni e peccatucci.
No, perché per l’amore di Dio il nostro peccato non è un ostacolo al nostro cuore, non impedisce mai la sua misericordia e la nostra possibilità di cambiare, non è l’ultima parola.

Qui Dio ci mette in guarda da qualcosa di più inquinante, da qualcosa che rende arido tutto il nostro mondo, da un deserto dove la Parola e la buona notizia non può germogliare, e in realtà non può nemmeno tentare di mettere radici: Dio ci parla di vero e proprio odio, l’opposto della sua “essenza”, quello che viene solo ed unicamente dal maligno.

Cosa significa per un bambino assorbire dal proprio padre o dalla propria madre l’odio per Dio? Quanto può essere disgregante e disperante covare nel profondo l’essenza stessa di satana? Colui che per eccellenza vince il primato di “odiatore di Dio”. Quanto diminuiscono le chance di poter cambiare, di convertirsi, di aprirsi alla grazia ed alla misericordia, di incontrare la salvezza se la nostra vita si nutre di odio per il Creatore?

Forse anche l’indifferenza nei confronti di Dio sarebbe una condanna minore: quel tanto decantato “sceglierà da grande”.
Perché lì satana non “prende casa” di diritto, non si avvinghia all’odio covato da quell’anima, non dipinge grottesche caricature di Dio per sviare sempre di più la coscienza.
Nell’indifferenza dei genitori, quell’anima rimane come “vuota”, e, nel migliore dei casi, incuriosita da quella fede mai conosciuta, aperta all’ascolto di quella meraviglia che è il Vangelo.
Al contrario, l’odio di un genitore nei confronti di Dio può talmente avvelenare l’anima e la mente di un figlio, che si fida ciecamente del padre, da portare Dio stesso a metterci in guardia.
Perché sì, la frattura non sarà eterna e magari potrà anche essere curata, ma il rischio che si corre è che l’odio si tramandi: proprio come il Dna.

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