DIVERSI

Commento al vangelo Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Quando ero piccola andavano di moda le Lelly Kelly con le lucine.

Ricordo che non mi importava di non avere i vestiti carini che avevano le altre bambine o lo zaino di Barbie super costoso. Non c’erano i soldi quindi poche chiacchiere, ma non ne ho mai sofferto. Però quella volta chiesi a mia madre se potevamo prendere quelle scarpe, e lei fece da intermediario con mio padre che me le compró. Non potevo crederci, ero felicissima! Finché non arrivó il lunedì e nella mente ho impressa l’immagine delle scarpe che non smettevano un secondo di illuminarsi e io che scendendo le scalette del pulmino pensavo che avrei tanto voluto delle scarpe normali, insomma mi vergognavo. 

Nel frattempo il mondo ha corso,

le mode sono diventate qualcosa di infettivo direi, e trovare un vaccino per tenere lontani i giovanissimi sembra impossibile. Molto spesso, parlando con mia figlia di neanche quattro anni, mi rendo conto come fin da piccoli i bambini percepiscano già come vitale il bisogno di “essere come gli altri”, che per loro si semplifica con “l’avere quello che hanno gli altri”: lo zaino di Frozen, le scarpe con le lucine, il vestito con le paillettes. Cose piccole, semplici, che a noi adulti strappano un sorriso. In realtà quel bisogno andrebbe accolto, compreso e se ne dovrebbe parlare. Perché vuoi quelle scarpe? Perché mi piacciono. Le hai viste da qualche parte? Sì, le indossano tutte a scuole (poi magari non è neanche vero, le indossa solo una bambina che però viene ammirata da tutte le altre per le sue belle scarpe). Sotto sotto, il movente, la spinta a desiderare ardentemente di conformarci parte sempre dallo stesso bisogno:

sentirsi amati.

Poco importa se per raggiungere questa condizione si debba diventare una persona diversa da quella che intimamente si è, l’importante è sentirsi accettati, sentirsi parte del gruppo. Tanto gli altri non vedono dentro ma solo fuori. Ecco qui la grande realtà: l’amore umano è limitato, imperfetto, superficiale, miope. Potremmo pure riuscire ad essere noi stessi ma mai ci sentiremmo pienamente, totalmente e completamente amati per ciò che intimamente siamo.

La fede è il punto di svolta,

è ciò che ti fa dire basta, che ti fa decidere di smettere di puntare in basso. La fede ti fa sentire parte di un gregge diverso, dove non importa che scarpe indossi o che lavoro fai. Dio ci vuole parte del suo gregge per permetterci di essere liberi dall’idea che il mondo ha su di noi, da ciò che il mondo ci suggerisce essere necessario per trovare la felicità. Penso che il primo compito del genitore sia questo, amare i figli per come sono, con tutti i limiti che abbiamo, certamente, ma almeno provarci, ogni giorno, e quando non riusciamo con le azioni farlo con le parole, spiegare che anche se ci siamo arrabbiati noi li amiamo ugualmente. Essere quindi esempio – lontano e terribilmente malfatto ma molto reale e concreto – di quell’amore divino, e mostrare la bellezza dell’essere piccola Chiesa domestica.

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