Tutto chiede salvezza
Facevo la seconda elementare,
o la terza, non ricordo bene. La nostra maestra di italiano era la donna più cattiva che io avessi conosciuto fino a quel momento. Una strega, capace di trasformare il proprio sorriso in smorfia crudele se uno di noi bambini osava parlare mentre lei faceva lezione. Sapete, i ricordi non sono sempre reali, soprattutto quelli antichi, sono soggetti all’influenza delle emozioni e dei sentimenti legati a quel particolare evento. Comunque, sta di fatto che il ricordo più nitido che ho legato a lei, alla maestra cattiva, ha come protagonista una mia compagna di classe. Non so bene il motivo ma un giorno questa bambina fece arrabbiare talmente tanto la maestra cattiva che questa prese il banco dove era seduta la mia amica e lo scaraventó via da lei.
Noi bambini restammo impietriti e spaventati. Le emozioni che provai me le ricordo chiaramente, anche a distanza di più di venticinque anni. Ero arrabbiata, furiosa, volevo giustizia, anche se in quel momento non conoscevo il significato del termine ma era quello che provai da lì in avanti ogni volta che ripensai a quel fatto. Ed è ciò che provo ora. Se chiedete alle mie amiche che erano in classe con me e che assistettero insieme a me alla scena probabilmente vi diranno che ricordano il fatto ma non le vedrete tremare dalla rabbia.
Io sono sempre stata così, ogni volta che mi sono trovata di fronte ad un’ingiustizia ho provato una forte emozione di rabbia, di desiderio di porre rimedio, di vendicare il torto subito da quella persona. Un’emozione che mi travolge, che non mi permette di pensare ad altro. È di certo un brutto difetto, che avrei dovuto correggere ma che ancora sta lì ed emerge prepotente di tanto in tanto.
Quando ho scoperto “Tutto chiede salvezza” su Netflix e ho visto il primo episodio, ne sono rimasta molto colpita.
Il protagonista si chiama Daniele, un ragazzo di vent’anni, con una famiglia normale, al quale piace divertirsi e uscire con gli amici. Una sera, dopo una giornata difficile e dopo aver fatto uso di sostanze, ha un raptus e dà una spinta al padre nel bel mezzo di una discussione.
Da lì scaturisce un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) e Daniele viene ricoverato nel reparto di psichiatria. Qui viene a contatto con un mondo per lui distante, spaventoso e con il quale dice di non avere nulla a che fare, lui che era un bravo ragazzo, un ragazzo normale.
La serie è composta da sette episodi, uno per ogni giorno della settimana, durante i quali Daniele compie un percorso di introspezione e comprensione di se stesso mai fatto prima, che lo aiuta a capire di aver vissuto un episodio depressivo scaturito da un incontro con un suo vecchio compagno di classe. Questo ragazzo era il più intelligente, il più capace, era destinato ad un futuro promettente, eppure in seguito ad un incidente stradale ha subito un grave danno cerebrale che lo ha condannato ad essere come un bambino per il resto della sua vita.
Daniele viene colpito profondamente da questo fatto, si chiede che senso abbia tutto quanto se ogni cosa può finire da un momento all’altro, si domanda perché nessuno ci pensa mai, perché nessuno è devastato dalla tragica realtà della vita, come avviene a lui. Queste domande esistenziali lo gettano in un baratro di angoscia che associato all’uso di sostanze lo portano a quel raptus violento verso il padre, che in realtà ama profondamente.
Daniele in reparto incontra altri ricoverati come lui dai quali inizialmente è spaventato e verso i quali prova una forte repulsione. Nel giro di soli sette giorni queste persone diventano per lui una famiglia, dei fratelli donati dalla vita.
Questa miniserie ha la capacità pregevole di far comprendere a chi ne è apparentemente lontano, che il mondo della malattia mentale non è il mondo dei matti, degli squilibrati, di soggetti con i quali non c’entriamo nulla.
La malattia mentale è qualcosa che può colpire ognuno di noi, senza distinzioni.
E devo dire che un po’ mi fa sorridere che in un’epoca come la nostra nella quale la lotta costante è quella contro la stigmatizzazione del diverso, nel campo della salute mentale siamo ancora distanti anni luce. Il motivo è chiaro, quando si parla di malattia si cerca di relegare ogni discorso in un angolo buio, perché la malattia non è divertente, luccicante, non ci sono vip pronti a inventare hashtag inclusivi.
Se non lo avete fatto vi consiglio di vedere e far vedere “Tutto chiede salvezza“, farà bene a voi, vi farà riflettere, piangere e ridere, e il finale vi regalerà una fresca boccata di speranza.
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