OSSITOCHIPS – Il Paradiso in terra e i bambini che ancora siamo
Tornare come bambini,
per entrare nel regno dei cieli: e se Gesù ci stesse dicendo di non pensare solo al domani, a quel domani che arriverà certo, ma siccome ci vuole felici già ora, ci stesse svelando il segreto per gustare un po’ di quel regno dei cieli già adesso, sulla terra? Perché i bambini sembrano vivere un po’ in Paradiso, con la loro gioia vera, in quella capacità di dare e ricevere amore incondizonatamente, nei sorrisi davanti a un gelato alla fragola, nell’utilizzare tutti gli adesivi subito e solo per il gusto di farlo, senza chiedersi che ne sarà dopo, nell’innocenza di chi vede le cose senza sovrastutture, ma per quello che sono, in realtà, persino in quel modo innocente, disarmante e senza rabbia di vivere la sofferenza.
Ecco. Tornare come bambini. Adesso. Per essere già felici. Come si fa?
Credo non ci sia nulla di bucolico e romantico come ce lo aspettiamo.
Credo sia piuttosto un viaggio scomodo e doloroso nei bambini che siamo stati. Perché molti dei nostri pesi, delle brutture, della rabbia che esce fuori nelle relazioni con gli altri, dalla discussione col collega a quella col marito a quelle coi figli, vengono proprio da lì, dalla nostra infanzia. E per quanto alla fine magari non possiamo dire di avere avuto dei cattivi genitori, guardando indietro, potremmo scoprire che c’è ancora un bambino acquattato in un angolo che ha paura di dire alla mamma quello che ha fatto perché non vuole ricevere un altro schiaffo. Un bambino che si sente non capito, uno sopraffatto dalle aspettative dei suoi, uno che ha subito violenza verbale troppo spesso anche se non è mai stato toccato. Uno che aspetta delle scuse per quelle parole che lo hanno ferito. Tutti, chi più chi meno, abbiamo dentro quel bambino e il suo bagaglio di dolori e irrisolti. Guardare in faccia il bambino che siamo stati, abbracciarlo, dirgli ciò che avremmo voluto sentirci dire, chiedergli scusa, perdonare chi ci ha ferito anche inconsapevolmente (tutti i genitori credono di fare del loro meglio, certo), perdonarci, guardare negli occhi senza vergogna quei piccoli e grandi dolori che volenti o nolenti ci hanno reso chi siamo, è il primo passo per “tornare bambini”. Per alleggerirci di molti pesi. Di sensi di colpa. Di rabbia, incomprensioni, affetto negato e tanto altro.
Allora quel “tornare come bambini”, quel riprendere un attimo le redini della nostra, di infanzia, può essere doloroso, ma necessario.
Per noi e per i nostri figli. Per evitare che certi modelli comportamentali continuino a ripetersi sempre uguali nelle nostre relazioni con loro e con gli altri. Che tornino prepotenti alla ribalta proprio quando i genitori siamo noi e no, gli errori che ci hanno fatto male non vorremmo ripeterli con loro. Ma chi è genitore lo sa: troppe volte ti trovi ad odiarti per aver messo in atto esattamente gli stessi dolorosi e sbagliati schemi. Perché quel bambino ferito è ancora lì e vuole il suo riscatto. E lo vuole a spese di chi ora è più indifeso e dovremmo proteggere.
Allora è necessario riguardare con onestà la nostra storia, anche quando pensiamo che alla fine non ci sia nulla di così grave, perché in fondo, i nostri genitori erano tipi media e alla fine in qualche modo siamo cresciuti lo stesso e neanche troppo male. È un’operazione che molti pedagogisti definiscono “archeologica”.
Gesù la definisce necessaria.
Per entrare nel regno dei cieli recuperando uno sguardo leggero, consapevole e lasciare istinti di rabbia, vendetta, prevaricazione che appesantiscono le nostre relazioni, in primis coi figli, ma anche con gli altri (perché i modelli che mettiamo in atto nelle situazioni di crisi escono fuori con tutti). Non è quella spensieratezza di chi non sa ancora niente, ma quella di chi nonostante un passato più o meno difficile, sceglie di guardare il mondo e gli altri con occhi nuovi. Per tornare davvero bambini e vivere più sereni. Per goderci un po’ di più quel regno dei cieli anche qui, adesso.
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