Preparati alla Quaresima come…ranocchi! – ONCE UPON A LENT

Chi l’ha detto che l’attesa della Quaresima non sia essa stessa Quaresima?
Mi spiego: la Pasqua, certo, abbiamo 40 giorni per rincorrerla, ma ci siamo dati del tempo per trovare il senso di questa “lent-a” corsa? O ci ritroviamo anche quest’anno nella maratona delle penitenze, identificando l’agognato “ARRIVO” con il nostro successo nel rispettarle?
Ce la lasceremo scivolare a suon di ” fioretti” da aggiungere alla To-Do-List in modo da poterli depennare appena suona il gong della Pasqua? Per carità, per non mangiare 40 giorni cioccolata ci vuole “stomaco” (in tutti i sensi!)…pero’…come può un fare o un non-fare cambiare il nostro essere?
Gesù avrebbe di certo una parabola al caso nostro, ma io sono una cattolica semplice cresciuta a Disney-e-Nutella, quindi inizierò così.

C’era una volta una giovane ragazza di nome Tiana

che tutta la sua vita aveva puntato a realizzare un sogno pianificato da bambina, un sogno “ereditato” dal suo papà che vedendola talentuosa come lui ai fornelli, le raccontava di come sarebbe stato magnifico il loro futuro ristorante.
E fin qui direi che ci siamo tutti: sogno di bambini/piano da realizzare/obiettivo da raggiungere.
Poco importa che sia un lavoro, la realizzazione affettiva, o un ideale.
Questa ragazza passa la sua infanzia e la sua giovinezza a sgobbare, impegnarsi e massacrarsi dalla mattina alla sera per riuscire a realizzarlo, senza darsi tregua, senza lasciare che altri pensieri la distolgano dalla sua ricerca.
Non ha tempo per uscire, dedicarsi agli affetti, coltivare le amicizie e godersi la vita, insomma: tutto è in secondo piano rispetto al suo sogno. Lei ha da fare.
E diciamocelo, anche la Pasqua arriva sempre in mezzo al nostro turbinio di impegni freschi di Gennaio: non hai ancora finito di digerire il panettone che te la ritrovi lì, tra capo e collo, in mezzo a una marea di progetti e di questioni palesatesi con il nuovo anno in una lista bella incorniciata di traguardi che già vacillano.
Un po’ come lei, immersa nel fare, senza più la contezza del suo essere: la parte migliore del suo vissuto dov’è? Anche sua madre prova a farla ragionare: una vita senza amore, ma solo di progetti, non è ciò che suo padre intendeva realizzare.

Ma Tiana ha un problema: è schiava del suo sogno, deve dimostrare al mondo e a se stessa di potercela fare.


L’amore che i suoi genitori hanno sempre vissuto e condiviso con gli altri, lei lo ha lasciato in secondo piano. E qui non si parla solo di Tiana, ma esattamente di me, di noi, schiavi delle nostre idee di vita perfetta e dei progetti da realizzare.
Ma continuiamo il racconto.
Siamo appena all’inizio dell’anno, alla vigilia della Pasqua, persi nella spirale del “fare”, dicevamo. Il libro che dovevi leggere questo mese non lo hai finito, chissà se riuscirai a portare a termine il manco troppo elevato obiettivo di terminarne uno al mese. La palestra da due volte a settimana è scesa a una e speriamo che almeno ci pensi il fioretto di quaresima a risistemare la dieta. Il rosario che avevo in mente di dire tutti i giorni? Va bene, da dopo Pasquetta, dai.
In questa ricerca spasmodica e determinata, arriva nella favola la vigilia della quaresima.
Accade che gli astri si allineano e Tiana si presenta l’opportunità che attendeva: è il momento di dare il tutto per tutto. Non c’è tempo per prendere fiato, neanche per ascoltare le parole sagge della mamma:

“tuo padre non ha avuto il locale che ha sempre voluto, ma ha avuto qualcosa di meglio, ha avuto l’amore!”


Ma lei è a tanto così da realizzare il suo sogno, se lo merita e ora vedrà ripagati tutti i suoi sforzi.
Mi sembro io quando faccio con il Signore il riepilogo della lista di ciò che mi serve, dell’ultimo step per fare quadrare il tutto: “ti prego per questo, quest’altro, fa che avvenga così, e alla svelta”.
Ma c’è un ma: quella piccola e sfuggente variabile che guarda caso ha il potere di far precipitare tutto.
Il tempo: Tiana deve subito racimolare la somma richiesta per il suo futuro locale, prima che si faccia avanti un altro offerente.
Vi siete mai ritrovati a questo punto?
Quando è tutto nelle vostre mani, tutto ciò che avete sognato è ad un passo da voi: date il 100%, anche il 120 ma la realtà si trasforma?
Salta fuori un’acquirente e l’affare sfuma.
Disperazione totale. Il vuoto. Il nulla.
E mentre Tiana si trascina alla vigilia del carnevale con un finto vestito da principessa in balcone, senza più speranze, senza più risorse, si ricorda le parole che la mamma le leggeva dal libro delle favole: “Se esprimi un desiderio alla stella della sera, è sicuro che si avvera!”.
E anche tu, allora, ti ricordi delle parole della mamma, o magari della nonna, e di quei consigli che hai custodito nel cuore, a cui ricorrere nelle necessità più disperate: la Santa delle Grazie Impossibili o San Giuseppe che non ha mai deluso nessuno, poi la romantica novena delle Rose che ti farà arrivaredirettamente un segno se sarà esaudita, tipo A/R con ricevuta di ritorno insomma.

A chi ci rivolgiamo noi, quando non abbiamo più le nostre belle e rassicuranti risorse su cui poter contare?


A chi se non a qualche santo-stella lassù nel cielo, come Tiana?
Agguantiamo la prima novena a portata di mano e iniziamo a sperare con tutto il cuore, ossessionati dalla nostre idee.
“Ti prego, ti prego, ti pregooo!”
Dopo aver implorato, che segno si ritrova la nostra giovane malcapitata?
Molto meno romantico e profumato di una Rosa di Santa Teresa: Tiana scorge un rospo.
Non è solo un rospo perché in quel piccolo animaletto c’è tutto ciò che Tiana ha sempre rinnegato, sempre “scansato“, sempre rifiutato.
Quel rospo lì, nella vita, ce l’abbiamo tutti.
Ma è tutto tranne che il segno che avevamo sperato.
Ma se ci credi, ci credi: e in un attimo, lei si spinge oltre, si costringe a credere che è quello il segnale, pensa che la risposta alle sue richieste sia proprio quel coso verde che la fissa.
E la sua caparbietà, la sua ossessionante necessità di inseguire il suo sogno a tutti i costi, porta la ragazza a fare quello che più nella vita aveva odiato.
Lei si fida, si butta, è pronta a rischiare il tutto per tutto, anche perdere se stessa e le sue convinzioni per rincorrere ciecamente le sue illusioni. È ancora schiava di quel sogno. Ma anche il rospo ha la sua dote di “desideri”: è un vero principe che agogna ricchezza e libertà, e per questo si è lasciato abbindolare da uno stregone, chiamato non a caso “Facilier“, avido di potere ed esperto di magia nera, che nel promettergli di avverare i suoi desideri con uno schiocco di dita, l’ha invece tramutato in un anfibio. Insomma è come se il principe avesse preso l’aspetto viscido della sua vera anima: vuole infatti sposarsi per soldi e continuare la sua vita di “dolce far niente”.
Entrambi ci cascano, lei e il rospo: eh certo, momento perfetto, atmosfera perfetta…
Ma Tiana non è una principessa (ne ha solo il vestito) e si ritrova anche lei verde e rugosa subito dopo aver schioccato il bacio.
Insomma, fa il salto e combina il disastro.
La sua vita si trasforma nel suo peggiore incubo.
Per cercare di tornare umani, tra un sacco di peripezie e nuovi amici, scoprono l’esistenza di una vecchia e saggia sacerdotessa voodoo dal grande potere magico, che vive nelle profondità delle paludi. Ma piuttosto che usare la sua magia per districare l’incantesimo, Mama Odie, questo è il suo nome, cerca di indurre alla saggezza i due ranocchi :

“Volete tornare umani, ma non sapete di che cosa avete bisogno!”. Risponde il ranocchio: “Che vogliamo, di cosa abbiamo bisogno, è la stessa cosa giusto?”.


Verrebbe da ridere, ma questi siamo precisamente noi! Appiccicati-spiccicati! Solo che quello che vogliamo lo pretendiamo da Dio.
Parte un’allegra canzoncina alla Disney di cui salviamo qualche frase top:

“Non conta il tuo aspetto, nè quello che hai, non conta dove vivi o quanti anni hai, credi che con la ricchezza felicità avrai, ma finora hai avuto solo guai, tutti hanno una richiesta ma la risposta è sempre questa: se scaverai un po’ più a fondo scoprirai chi sei, cerca di conoscere chi sia il vero te, sarai felice, altroché.”


Ma neanche il tripudio sonoro della Disney mette sale in zucca ai due ranoccchi che continuano a non vedere al di là del proprio naso e pretendere che i loro desideri materialistici si realizzino, a costo di sacrificare la loro intera esistenza e vivere disordinatamente come fatto fin ora: tutta lavoro e obiettivi lei, tutto nullafacenza e menefreghismo lui.
Mama Odie capisce che le sue parole non sono servite e dà ai due la soluzione che vogliono: la principessa che spezzerà la maledizione è la figlia del “re della parata” del carnevale, l’amica di Tiana, Charlotte. Hanno tempo fino alla mezzanotte del martedì grasso per avere un suo bacio.
Ci sono mille peripezie ma alla fine ci sarà il bel matrimonio sperato, non vi svelo con chi, così niente spoiler.

Il punto è: noi siamo convinti che davvero ci sia una differenza tra ciò che vogliamo e ciò di cui abbiamo bisogno?

Che veder avverati i nostri desideri sia identificabile con ciò di cui abbiamo bisogno? Siamo convinti davvero che la fatidica “Provvidenza” di cui ci riempiamo la bocca non ha niente a che vedere con il nostro “Sta andando tutto bene, tutto come ho sempre sognato”?
E se ciò che vogliamo non ci rendesse umani? Se ciò che vogliamo ci fa perdere di vista la nostra vita, quella che ci scivola via a suon di liste e obiettivi, tacchette da spuntare alla nostra “linea del tempo”?
Insomma, questo per dire che le due ranocchiette nelle loro sfortune, iniziano a cambiare, a causa degli eventi inizia a modificarsi il loro punto di vista, il loro modo di osservare il mondo: cambiata la prospettiva, dall’altezza diciamo di 170 centimetri a quella di 3, costretti a saltellare e mangiare insetti invece di camminare e gustarsi le ciambelle di carnevale, si ritrovano cambiato anche il loro cuore.

Ma mentre questo primo colpo d’occhio può trarci in inganno, la verità è che la favola è ben più complessa, e ce lo spiega bene: non è l’esteriorità verde e rugosa che muta le loro convinzioni, ma la scoperta dell’amore.


Cos’è la Quaresima se non questo: cambiare i nostri cuori, cambiare la nostra prospettiva mondana, convertire la nostra esistenza e, letteralmente, voltare tutto il nostro essere nella direzione di Dio?


Il punto è: noi vogliamo davvero tornare umani? Tornare ad essere creature di Dio e non “proprietari” della nostra vita e continuare a pretendere che sia fatta la nostra volontà? Credere che la nostra volontà non ha niente a che vedere con la nostra umanità? Che se ci incaponiamo e ci ripieghiamo solo su noi, questa umanità non la troveremo più?
Se davvero vogliamo trasformarci, non avverrà per noi nello stesso modo dei due ranocchi: troppo semplice.
Non basterà cambiare il nostro fare, modificare il quotidiano, per mutare il nostro essere.
Pensiamo la Quaresima come ad un periodo in cui facciamo: facciamo fioretti, facciamo digiuni, facciamo preghiere.
Ci hanno insegnato che è il verbo “fare” la predominante di questi 40 giorni.

La verità è che questo è il tempo dell'”essere”: ritornare ad essere umani, per giunta.
A noi è stato insegnato che queste azioni esteriori hanno un po’ il “potere” di cambiarci anche da dentro, di modificare con gesti ed azioni nuove il nostro mondo interiore.
Cioè pretendiamo che una pratica o un’abitudine diversa da quella di tutti i giorni ci modifichi il cuore.
Ma è esattamente l’opposto: solo il cambiamento del cuore può modificare il nostro mondo interiore, il nostro modo di pensare e di vivere, per riversarsi poi nella nostra esteriorità di tutti i giorni.
È questa consapevolezza, questa volontà che deve maturare in noi, convertirci e dirigerci verso una vita più vera, più autentica, più umana.
Non possiamo iniziare fioretti e digiuni come se l’abito facesse il monaco. Come se noi “gente del fare” potessimo venire travolti e trasformati, o meglio convertiti nella nostra intimità, da un pò di appetito inappagato.
Così come le ranocchiette, che alla fine iniziarono a mutare i loro sogni, a pianificare un nuovo futuro non più incentrato su se stessi, per volgerlo e re-idearlo alla luce dell’amore che provano, perché il loro cuore è cambiato.
Le pratiche sterili non portano mai frutti. Così, quest’anno, non concentratevi solo sul “cosa”, non cercate di essere creativi e ingegnosi riguardo al vostro “fioretto”. Spendete invece le vostre energie di queste ultime ore prima delle ceneri nel fare vostra la meditazione alla Nicodemo:

“Come può nascere un uomo quando è vecchio?”.

Come rinasciamo uomini, noi? Riprendiamo le fila della nostra vita, puntiamo l’occhio di bue su ciò a cui sono rivolti oggi i nostri cuori, e su come “convertirli”, farli tornare umani, convergerli all’Unico che può salvarci. Poi, accordiamo a questa decisione, a questa presa di coscienza, a questa esigenza di santificarci un pochino, un’azione esteriore che ce lo possa ricordare in questi 40 giorni di cammino che ci attendono. Qualcosa che ci possa aiutare a focalizzare, a fare spazio, ad allargare l’orizzonte del nostro “fare” quotidiano volgendono in quello dell’ “essere”.
E ricordatevi, una cosa abbiamo in comune con le ranocchiette: abbiamo tempo fino alla mezzanotte del martedì grasso!

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