Quaresima con Tolkien #25 – IL SENTIERO DEI MORTI
“Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino […] uno di voi mi tradirà”
Dal Vangelo secondo Matteo
<< Giunsero così all’estremità della gola; innanzi a loro, una parete di roccia a strapiombo, nella quale si apriva la Porta Nera, come se la notte spalancasse la bocca. Sopra l’arco imponente erano scolpiti simboli e figure ormai troppo sbiaditi per poter essere interpretati, e dall’entrata la paura si sprigionava come un vapore grigio. La compagnia si arrestò, ed il cuore di Legolas l’Elfo fu forse l’unico a non tremare, perché egli non temeva gli spiriti degli Uomini. “Questa è una porta crudele”, disse Halbarad, “e la morte mi attende al di là di essa. E tuttavia avrò l’ardire di varcarla; ma nessun cavallo vorrà entrare”. “Noi siamo costretti ad entrare, e quindi i cavalli devono seguirci”, disse Aragorn. “Se mai usciremo da queste tenebre, molte leghe ci attendono dall’altra parte, ed ogni ora persa affretterebbe il trionfo di Sauron. Seguitemi!”. Aragorn si avviò per primo, e tale era in quel momento la forza della sua volontà che tutti i Dùnedain ed i cavalli lo seguirono. I destrieri dei Raminghi amavano infatti i loro padroni a tal punto, che erano disposti ad affrontare persino il terrore della Porta, se condotti da una mano e da un cuore intrepido. Ma Arod, il cavallo di Rohan, rifiutò di andare avanti, ed era impressionante vederlo tremare e sudare di paura. Allora Legolas gli pose le mani sugli occhi e mormorò qualche parola che svanì nelle tenebre, ed il cavallo si lasciò guidare dall’Elfo. Gimli il Nano rimase lì solo. Le gambe gli vacillavano, ed egli era furibondo con sé stesso. “Questa è una cosa inaudita!”, esclamò. “Un Elfo osa andare sotto terra e un Nano non ne ha il coraggio!”. Avanzò risoluto. Ma gli parve di trascinare oltre la soglia piedi pesanti come piombo, mentre si sentiva diventare improvvisamente cieco, lui, Gimli figlio di Glóin, che aveva traversato senza timore tanti abissi. Aragorn aveva fatto provvista di torce a Dunclivo, ed ora fece strada tenendone una alzata, mentre Elladan in coda ne portava un’altra, e Gimli, incespicando, cercava di raggiungerlo. Non vedeva altro che la pallida fiamma delle fiaccole, ma se la compagnia si arrestava, gli pareva di essere circondato da un infinito sussurrare di voci, un mormorio di parole strane in una lingua ignota. Nulla assalì la compagnia, né le ostacolò il passaggio, eppure, man mano che avanzava, Gimli era assalito da una crescente paura: egli sapeva ormai che non vi era una via di ritorno, che tutti i sentieri alle loro spalle venivano invasi da un esercito invisibile che li seguiva nell’oscurità. E così il tempo passava incalcolabile; […] ma ad un tratto una folata di vento freddo fece vacillare le fiaccole e le spense, e fu impossibile riaccenderle. Del tempo che seguì, un’ora o più, Gimli ricordò ben poco. Gli altri avanzavano in fretta e lui era sempre in coda, inseguito da un terrore brancolante che pareva sempre sul punto di afferrarlo; ed egli sentiva dietro di sé un rumoreggiare simile a passi fantomatici di innumerevoli Piedi. Egli continuò ad avanzare barcollando, finché si trovò a rampare in terra come un animale e pensò di non farcela più: doveva trovare una via d’uscita da cui fuggire, o tornare indietro correndo, in un impeto di pazzia, incontro al terrore incombente.>>
Il Signore degli Anelli, Il ritorno del Re, libro I, cap. II, “Il passaggio della Grigia Compagnia “
Finalmente il “Sentiero dei Morti”: la tappa più terrificante per Aragorn e i compagni di viaggio.
Perché mi entusiasma così tanto?
Siamo al bivio chiave di tutta la Pasqua: il passaggio tra i nostri due mondi, il mistero della vita e della morte. E c’è forse qualcosa che ci riguarda più da vicino che queste due realtà?
La storia di quell’unico uomo destinato a varcare il “Sentiero dei Morti”, dove nessuno ha mai fatto ritorno, vi ricorda qualcosa?
Potrei parlarvi di come il sacrificio di Aragorn, disperato e senza certezze, porterà alla salvezza dell’intero mondo.
Oppure potrei parlarvi dei traditori: Uomini delle Montagne che in passato, dopo aver promesso fedeltà a Isildur, re di Gondor, avevano adorato Sauron come un dio, non rispettando il giuramento di seguirlo in battaglia contro l’Oscuro Signore, ritirandosi vigliaccamente sulle montagne. Il Re Dúnedain allora li maledì, e furono così condannati tra la vita e la morte, senza trovare pace finché non avessero adempiuto al loro giuramento.
Destinati ad attendere nelle tenebre finché un giorno non vengano finalmente richiamati a riscattare la loro promessa.
Quegli stessi traditori che in fin dei conti non sono poi così distanti o sconosciuti.
Azzarderei che questo purgatorio, fatto di un’esistenza che sembra essere senza compimento, la maggior parte delle volte è il nostro, anche da vivi.
Quella gola impervia e inaccessibile, incastonata tra le montagne, che è la nostra vita, le nostre menti contorte e immerse nel buio della realtà che può arrivare ad essere molto più cupa dell’oblio, molto più raggelante e labirintica, molto più “senza uscita”.
Dove per qualcuno la morte ha veramente il sapore di liberazione da un’esistenza straziante, dove la fine è l’unica strada che ci augureremmo di fronte ad una quotidianità che ci lacera.
Come Gimli che sembra perdere la speranza dell’uscita ed è tentato di arrendersi, di fuggire, preso dal panico, pur sapendo che non ci sarebbe stato nessun ritorno, voltandosi.
Eppure quante volte vorremmo tornare sui nostri passi, maledicendo le scelte che ci hanno costretti fin qui, quante volte quelle gallerie segnano davvero la nostra fine.
Se non avete mai sofferto di quella sete d’aria, di quella pesantezza che inginocchia il nostro nano, o come lui non avete agognato la liberazione a qualsiasi costo, da quel nero che vi opprimeva, siete stati fortunati, non avete dovuto attraversare il cuore di quella montagna assieme ad Aragorn, non avete dovuto varcare le soglie di questo purgatorio terrestre.
Perché è qui che Gimli scopre che ci sono gallerie molto più tetre e buie persino di quelle scavate dai nani,
antri così oscuri ed asfissianti che ti fanno dimenticare di essere nel tuo mondo di roccia, ti fanno dimenticare che quell’elemento è il tuo per definizione, che sei nato per plasmare quelle mura, quella realtà che ti circonda.
E quando vieni sopraffatto anche dalla strada che ti sei scelto, quando non ricordi neanche più come sia potuto accadere che tu ti sia spinto così oltre, allora ci sono solo due possibilità: la follia che ti intrappola nell’oblio o accettare che è tempo di affidarti ai tuoi compagni.
Non più la Compagnia dell’Anello che conoscevamo ma la Grigia Compagnia: trenta Raminghi del Nord, fedeli all’erede di Isildur, che su invito di Elrond e Galadriel, radunati e guidati da Halbarad, luogotenente di Aragorn nel Nord, e dai figli di Elrond, giungono in soccorso per partecipare alla lotta a Sauron, accompagnando i nostri amici lungo il Sentiero dei Morti.
È un po’ così che me li immagino quegli ultimi giorni di Maria e Gesù.
Lei, conscia di cosa sarebbe accaduto di lì a poco, lui inquieto già da prima di quella sera tramandataci nell’orto degli ulivi.
Un dolore più straziante dell’altro: trovarsi nella galleria con la certezza di non poter far uscire chi si ama.
Rimane solo una cosa: attraversarla insieme, senza essere sicuri di cosa riserverà quel cunicolo.
Aragorn, questa trovata dei “Sentieri dei morti”, cerca di rimandarla il più possibile, pur sapendo che lui e solo lui sarebbe riuscito nell’impresa.
Perché temere?
Perché la sua vera forza è sempre stata nel prendersi cura del prossimo, nel suo donarsi, nel suo servire, non nel prendere il posto dell’eroe, non nel compiere missioni di gloria.
Decide di intraprendere la via, ma chiede anche ai suoi compagni di seguirlo.
E loro, per amore, lo seguono fino alla morte, fino alla messa in discussione delle proprie vite: sì, perché lui era l’erede, il predestinato, ma loro?
Eppure l’amicizia sovrasta ogni cosa, non lascia spazio ai dubbi, che sì, c’erano, ma non hanno potuto spezzare il legame che li univa.
Aragorn, forte soprattutto dei suoi compagni, prima che della sua eredità e delle sue radici. I suoi amici, forti della guida sicura che hanno scelto.
Persino i loro cavalli non arretrano, in preda all’istinto della fuga.
Mi basterebbe la fede di uno di quei cavalli, Signore, per riuscire in questa vita e nell’altra.
Non hanno ragionevolezza, non ci sono spiegazioni, sono anche esseri di un’altra specie, “parlano” un’altra lingua, vivono un’altra realtà.
Eppure hanno saputo riconoscere la vera guida, hanno saputo varcare la via impossibile, quella che puoi sperare di percorrere, solo se ti lasci guidare.
E se potessi osare di più, mi basterebbe la fede del buon Gimli, che arranca, si trascina carponi, ma non cede alla follia del terrore.
La scelta di Aragorn per tentare questa via?
Non armi o protezioni, ma amici leali, contro ogni ragionevolezza, per tentare insieme la traversata oscura.
Non è stato così per te, Gesù, eppure non eri del tutto solo sotto la croce, anche mentre gridavi a Dio il tuo abbandono.
Mi è capitato di confidare ai ragazzi, nel confrontarci nella difficoltà dello scegliere le strade impossibili della vita, che non mi aspetto la mia fedeltà fino alla fine, ma so di potermi fidare dei miei “compagni di cordata”, della lealtà e della fiducia di amici che sapranno indicarmi la strada, se io perdessi la bussola della fede.
Nella strada percorsa insieme, so che potrò lasciarmi accompagnare, chiudere gli occhi davanti ad una realtà che mi atterrisce e farmi forza della loro guida sicura, come il cavallo Arod, nell’oblio della galleria che non riusciva ad imboccare.
E quando sarò troppo debole, troppo esausto, come Gimli, l’amicizia e la fede mi faranno tenere il passo, ad ogni costo.
Siamo tutti in attesa di avere una nuova possibilità per riscattarci, per obliare il nostro tradimento, per compiere la nostra promessa, che ci faccia uscire vittoriosi da questa vita, anche arrancando.
Riconosciamoli, i nostri compagni nella fede, teniamoceli stretti, preghiamo perché Dio li metta sul nostro cammino, ci doni la lungimiranza di ascoltarli e, se serve, anche solo di seguirli dove non vorremmo.
E ricordiamoci sempre che qualcuno ci ha dato la dignità di compagni di cammino, se lo vogliamo: “vi ho chiamato amici” (Gv 15, 9-17).
Noi, scelti per questo viaggio senza meriti, noi che probabilmente non saremmo stati una compagnia migliore di quegli apostoli che si sono addormentati, che lo hanno rinnegato tre volte o tradito per 30 denari. Eppure lui ci ha voluti al suo fianco. Ci vuole al suo fianco. Ci ha chiamato amici. Facciamo del nostro meglio per essere degni di questo nome, selliamo i cavalli e non lasciamolo solo, anche se a volte saremmo troppo impauriti anche solo per essere d’aiuto, se ci chiederemo perché siamo lì, chi ce lo ha fatto fare. Non ci sono chieste grandi capacità o doti, come Aragorn non le aveva chieste a mi suoi, solo la nostra amicizia.
<<“Ho trenta uomini con me”, rispose Halbarad. “Tutti coloro che riuscii a radunare in fretta; ma anche i fratelli Elladan ed Elrohir fanno parte del gruppo, desiderosi di partire in guerra. Abbiamo cavalcato il più velocemente possibile non appena ricevuto il tuo appello”. “Eppure io non vi ho invocati, se non con il pensiero”, disse Aragorn. “Spesso la mia mente si è rivolta a voi e mai con tanto desiderio come questa notte, eppure non vi ho mandati a chiamare.”>>
Il Signore degli Anelli, Il ritorno del Re, libro I, cap. II, “Il passaggio della Grigia Compagnia “
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