Sante Perpeuta e Felicita: di fiori nel dolore
La santità è una corona di fiori che abbellisce chi è di Dio.
È tutto qui, in questo punto, che si gioca la santità. Sei di Dio o non lo sei? Non puoi esserlo un po’ o a volte, lo sei tutto o niente, sempre o mai. Perpetua era una ragazza, una moglie giovane, aveva solo ventidue anni quando venne catturata e portata in prigione. A casa aveva un bambino di pochi mesi. Felicita era una sua schiava, e quando la arrestarono era incinta all’ottavo mese.
Le due ragazze erano state catturate insieme ad altri uomini, perché cristiane.
Perpetua durante i giorni di prigionia scrisse un diario, delle memorie, che a leggerle viene la pelle d’oca, le sue parole profumano di cielo, sebbene siano state scritte nel dolore più spaventoso e in mezzo alla paura. Felicita pregò così intensamente che al terzo giorno di preghiera sentì i dolori del travaglio e diede alla luce suo figlio, che venne portato via dalla prigione. Possiamo dire quello che vogliamo, possiamo credere che in sante come loro ci sia qualcosa di divino, di elevato, qualcosa che quasi le ha rese immuni alle atrocità che hanno subìto, ma la realtà è una: Perpetua e Felicita sono due martiri della fede, due donne che hanno scelto di essere di Dio fino in fondo, nonostante tutto, senza riserve, e quello che hanno sofferto, il dolore che le ha attraversate ha spalancato per loro le porte del Paradiso.
Ma non crediamo che per loro sia stato facile, non crediamo che chi è santo goda di una dispensa speciale.
Il dolore ci attraversa tutti, e se provo a immaginare il loro, quello di due madri che lasciano i loro figli, sento che non potrò mai capirlo fino in fondo. Le due ragazze furono portate nella piazza del mercato, vennero picchiate e fustigate, ed infine lasciate alla furia di un toro che le ridusse in fin di vita. Sappiamo che la folla, gli spettatori, sebbene fossero avidi di queste scene macabre, riconoscendo nelle due donne la giovane età e sapendo che erano entrambe madri, chiesero di porre fine ai loro strazi. Così arrivò un gladiatore a tagliare la gola prima all’una e poi all’altra. Leggere dei martiri uccisi durante le persecuzioni cristiane dei primi secoli ci fa bene, perché le loro storie sono così al limite, così terribili e incredibili, che altrimenti mai rifletteremmo davvero su cosa significa essere cristiani. Perpetua disse al padre che come lui non poteva chiamare un vaso con nessun altro nome perché quello era, lei non poteva che chiamarsi cristiana, perché cristiana era tutto ciò che era. Sembra facile, vero? Una scelta di coerenza, di verità. Ma è ovvio che facile non è, è chiaro che due ragazze poco più che ventenni fossero spaventate e straziate al solo pensiero di lasciare tutto, le loro famiglie, i loro bimbi piccoli. Ecco che se crediamo che essere santi equivalga ad essere una specie di supereroi anestetizzati a qualsiasi dolore ci sbagliamo di grosso. Il dolore c’è, la prova c’è, la paura c’è, eccome. Ma poi c’è molto altro, molto di più: c’è la certezza del Paradiso, c’è la certezza ancor prima di non essere soli nella prova, c’è la certezza di preparare – così vivendo – una stradina per chi verrà dopo, per i figli, per chi ci ama. Sante Perpetua e Felicita, vi preghiamo con tutto il cuore di risvegliare in noi quell’Amore che solo è in grado di smuovere il mondo e di darci il coraggio di vivere una vita vera, piena e autentica.
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