La veste bianca che profuma di Paradiso
Commento al Vangelo Mt 5,1-12a
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
Vorrei aprire l’armadio e trovarla lì,
appesa ad una gruccia, stirata e profumata, la mia veste candida, quella da indossare davanti a Dio. Vorrei fosse più semplice, vorrei non dover soffrire, vorrei che ogni dolore, ansia, difficoltà si sgretolassero e diventassero piccoli piccoli, non giganti come la montagna su cui Gesù fece il discorso spiegando come si diventa santi. Io non sono così coraggiosa, anzi, il più delle volte sono spaventata, mi domando come fare, cerco sempre soluzioni, vorrei radere al suolo tutte le montagne, vorrei che il mio diventare santa fosse una strada in discesa. Sono egoista, spesso, penso al mio dolore, al mio peso sul cuore, alla mia paura.
Eccolo qui, l’identikit del fuggitivo, di chi, come me, ha paura di tutto quello che dovrà affrontare per lavare la sua veste, che al momento non solo non è candida ma assomiglia terribilmente ad uno dei body di sua figlia, uno di quelli macchiati di sugo, cioccolata, olio e succo di melograno, lasciato per giorni ad aspettare nella cesta dei panni sporchi, infilato in lavatrice con poca convinzione, senza perderci troppo tempo a smacchiarlo, a passare macchia dopo macchia con la saponetta, tentandole tutte fino alla fine. No, quel lavoro non l’ha fatto e così aprendo il cestello a fine lavaggio ne è uscito un body ancora macchiato, forse in modo più irreparabile. Il fatto è che le macchie non puoi evitarle, puoi mettere un bavaglino, stare attento, ma accadrà, ti sporcherai, la croce arriverà, perché accade, perché siamo umani, fragili, piccoli, incapaci di salvarci da soli, la “grande tribolazione”, quella tua, personale, ti si parerà davanti senza preavviso.
E tutto si gioca lì, con quella macchia di pomodoro sulla maglietta che vuoi farne?
Vai a ritirare le analisi e trovi un valore sballato, consulti un medico, poi un altro e ancora un altro, ti infilano aghi, ti fanno domande a cui non sai rispondere, poi arriva la diagnosi ed è quella, non se ne scappa. Ma guarda che Cristo lo sa che fa paura, guarda che anche Lui che è Dio ha avuto paura lì nel giardino degli ulivi, ha visto cosa gli sarebbe accaduto sulla croce e ha sudato sangue. Il tradimento, l’umiliazione, la violenza fisica, il dolore insopportabile e infine la morte.
Cristo ha provato tutto e ci ha lasciato la sua vita per capire cosa fare della nostra.
Accettiamo di avere paura, non è quello che ci impedisce di diventare santi, è quello che facciamo dopo che ci fa rotolare giù dalla montagna e schiantare al suolo. Abbiamo bisogno di quella paura per capire con ogni fibra del nostro corpo che siamo impotenti di fronte alla croce, ognuno alla sua, e se pensiamo di potercela issare sulle spalle da soli stiamo sbagliando. Abbiamo bisogno di Dio, del suo Amore di Padre, non se ne scappa, dobbiamo cercarlo, chiamarlo, chiedergli aiuto. E poi dobbiamo starci, non dobbiamo fuggire e non dobbiamo far finta che la croce non esista o che sia bella e leggera, non serve a niente, dobbiamo semplicemente stare. Stare in una diagnosi, stare nel tradimento, stare nella perdita di lavoro. Che non significa non muoversi, non fare niente per migliorare la situazione.
Stare significa riconoscere che esiste e che fa male.
Ma se ci sto con Dio sono certa al cento per cento che Lui vede e fa tesoro di quel mio dolore, Lui lo conserva e sarà quello che mi laverà la veste per entrare in paradiso. Non solo, stare nella croce significa pregare, chiedere a Dio di essere testimoni vivi e veri. E oggi preghiamo le anime di quelle persone uccise in modo atroce mentre si trovavano nella cattedrale di Nizza, preghiamo di essere capaci di stare lì dove ci troviamo, di starci con amore e con la veste pronta per andare all’appuntamento con Dio.
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