Halloween non fa paura, la santità sì

C’è un santo con un cuore così grande (e non in senso metaforico, come confermerà l’autopsia) per tutto l’amore che doveva contenere, da staccare alcune costole dallo sterno per farsi spazio.

C’è una santa incorrotta a Bologna che ti guarda, vestita di tutto punto, seduta per obbedienza ad un ordine della badessa dopo averla riesumata a diciotto giorni dalla morte: “Madre Suor Caterina, in virtù di quella Santa obbedienza di cui eravate innamorata in vita, e che tanto raccomandaste alle vostre figlie, vi comando di lasciarvi mettere a sedere sopra la sedia che è stata preparata”. Per più di settant’anni le consorelle hanno dovuto tagliarle unghie e capelli che continuavano a crescere , mentre ancora oggi il suo corpo trasuda un liquido trasparente che imbeve le vesti, cambiatele regolarmente.

Ce n’è un’altra che regala notti in bianco alle sue consorelle aggirandosi come uno spettro amico (ma in ogni caso non so chi dormirebbe beato a saperlo!) per il convento cantando inni sacri (trovate tutta la storia sul blog una penna spuntata).

C’è chi ha avuto incisi nel cuore i segni della Passione come “formazioni plastiche”, dalla descrizione dell’autopsia: una croce con la lettera C, sette spade disposte a ventaglio, una corona di spine, una lancia, una spugna, uno stendardo ed un chiodo dalla punta aguzza. Accanto a questi oggetti le lettere V, P, I e M.

Ce ne sono tante, di storie così, talmente oltre, anche talmente splatter se vogliamo, da far impallidire i migliori horror movies.

Direi che il cuore fuori taglia di San Filippo Neri, o quello coi chiodi e compagnia di Santa Veronica Giuliani, per non parlare di tutte quelle ostie consacrate trasformate in carne viva (pezzi di cuore, per essere precisi, come riportato dalle scrupolose analisi mediche), danno sette giri al sangue finto coi canini da vampiro che si vedono in giro il 31 ottobre. Valle a raccontare alle consorelle di Santa Clelia, le storie sui fantasmi e le infestazioni. Oppure alle clarisse di Montefalco che venivano svegliate per raccogliere l’elemosina lasciata loro da un’anima del purgatorio per riparare al male fatto in vita. E Santa Caterina da Bologna, seduta da 1500 anni, e gli altri incorrotti, non hanno nulla da invidiare in quanto a immaginazione ad un’ invasione di zombie, direi.

Ma qui di horror c’è ben poco: è a noi che spaventa, questa santità. Perché è davvero qualcosa di troppo grande, che supera ogni immaginazione, che ci sembra di non poter gestire. Qualcosa di incomprensibile, ma allo stesso tempo di tremendamente vero.

Lui ce l’ ha detto che avremmo spostato le montagne e ora capisco che non era una semplice metafora. Halloween con le sue zucche, i cervelli di gelatina, le streghe che volano (ma San Giuseppe da Copertino non aveva nemmeno bisogno della scopa per librarsi in aria sopra le teste esterrefatte dei fedeli e dei fraticelli, a circa 3 metri di altezza, aggiungerei) non può farci paura. Ci sono cose molto più spaventose per gente di poca fede come noi, tipo diventare santi: non potrei mai immaginare di rivivere le sofferenze della Passione di Cristo o di staccarmi di tre metri da terra senza timore di cadere come un sacco, di amare così tanto da dover allargare fisicamente il mio cuore, o di dover obbedire sempre, anche dopo morta (questo sì che è terrorizzante davvero!).

C’è che la santità, a pensarci bene, spaventa molto più di Halloween!

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