QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #36 SCIROPPO
Il suono delle trombe mi fa sussultare. […] È Claudius Templesmith e, come mi aspettavo, ci sta invitando a un festino […] “Ciascuno di voi troverà quel qualcosa in uno zaino contrassegnato dal numero del suo distretto, alla Cornucopia, all’alba”. […] Faccio un salto quando Peeta mi afferra la spalla da dietro. “Non rischierai la vita per me”. “Chi ti ha detto che voglio farlo?” ribatto. “Quindi non ci andrai?” chiede lui. “Certo che non ci vado. Pensi che io mi butti a capofitto in una qualche mischia contro Cato, Clove e Thresh? Non essere stupido” gli dico, aiutandolo a rimettersi a letto. “Lascerò che si scornino tra loro, vedremo chi ci sarà nel cielo domani notte, e a quel punto escogiteremo un piano”. “Non sei brava a mentire, Katniss”. […] Mentre scendo al torrente, riesco a pensare solo che morirà se non accetto l’invito di Templesmith. […] Sono talmente persa nei miei pensieri che quasi non vedo il paracadute, anche se oscilla proprio vicino a me. […] Non c’è alcun dubbio, è uno sciroppo per dormire. […] Schiaccio un pugno di bacche, così il gusto non si sentirà tanto, e aggiungo qualche foglia di menta per essere più sicura. Poi ritorno alla grotta. “Ti ho portato una squisitezza. Ho trovato un nuovo cespuglio di bacche, un po’ più lontano verso valle”. Peeta apre la bocca per il primo boccone senza esitazioni. Ingoia, poi aggrotta leggermente le sopracciglia. “Sono molto dolci”. […] “Sono dolci come lo sciroppo” dice lui prendendo l’ultima cucchiaiata. “Sciroppo”. Spalanca gli occhi quando intuisce la verità. Gli blocco la bocca e il naso con la mano, costringendolo a inghiottire invece di sputare. Tenta di vomitare, ma è troppo tardi, sta già perdendo conoscenza.
Hunger Games, libro I, capitolo 20
E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”
Matteo 26,39
Peeta è ridotto male:
in preda ai deliri della febbre, sa benissimo che ha le ore contate prima che l’infezione raggiunga i suoi organi vitali.
Anche Katniss lo sa bene, mentre spera con tutto il cuore che il mentore, Haymitch, abbia trovato abbastanza soldi per mandarle aiuto: un paracadute disperato con una medicina da Capitol City.
Il fatto è che, come accade spesso anche a noi nella vita, Kat non riceve ciò di cui ha bisogno ma un mezzo per procurarselo: dovrà buttarsi nella mischia, rischiare il tutto per tutto, se vorrà salvare Peeta.
Ma lui non resta zitto mentre capisce cosa ha in mente Katniss: non può permetterlo, neanche a costo della vita, la ama troppo per perderla nel suo egoismo.
Così a Peeta viene dato da bere con l’inganno un potente soporifero, accorgendosi troppo tardi di essere stato ingannato.
Nella quaresima, anche noi sentiamo parlare di un calice, un calice amaro, che potrebbe non essere allontanato, che è atroce nel suo veleno di morte e tenebra, ma che, invece, solo per amore, viene volontariamente bevuto.
Due bevande: una troppo dolce, una troppo amara, una costretta con la forza, una accolta con coraggio ed obbedienza.
Entrambi scrivono una storia d’amore: quella di Peeta per Katniss e quella di Gesù con ciascuno di noi.
Non è sorprendente che Dio ami tutta l’umanità, ma piuttosto che ami ognuno di noi in modo unico, totale ed esclusivo.
E per questa incomprensibile verità, a me sembra altrettanto impossibile afferrare il mistero per cui ha scelto di arrivare fino in fondo, di bere fino all’ultima goccia: ci sarebbe voluto un istante, sarebbe bastato un pensiero per far cessare ogni sofferenza, per mettere fine all’ingiustizia, per non dover vedere sua Madre mentre il cuore le veniva strappato dal petto.
Eppure non ti sei rifiutato, Signore: hai appoggiato il calice vuoto al tavolo solo mentre esalavi l’ultimo respiro.
E se da una parte penso che tutto questo è avvenuto anni e anni lontano da me, mi ricordo che il Tuo sangue scorre ancora nei nostri calici.
Che, come hai fatto con la samaritana, aspetti anche me al pozzo di ogni messa, celebrata ogni giorno, per darmi una bevanda che mi porterà via la sete.
Di fronte alla morte hai pensato a me, hai usato la tua ultima serata, la tua ultima cena per me: hai deciso che mi avresti donato tutto, fino all’ultima goccia, senza risparmiarti.
Ecco il calice che aspetta solo me, da quel lontano giorno.
A partire da quel sangue, hai voluto lasciarmi non una bevanda amara ma piuttosto un elisir di lunga vita, un’essenza paradisiaca, capace di trasfigurare la mia esistenza: una coppa di pienezza, di grazia, di fedeltà, di amore ed eternità.
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