Scoprirci fragili
“Nessuno sapeva niente, sembrava tranquillo”.
“Ma perché nessuno se ne è accorto? Neanche la madre o un’amica, come è possibile?”.
Non lo so cosa succedeva cinquant’anni fa, non so se alle persone era permesso lamentarsi o esprimere con le parole le proprie infelicità.
Di certo oggigiorno è vietatissimo. Siamo la società del benessere, della felicità pubblica e pubblicata. Tutti si mostrano belli, perfetti, sorridenti. Quello che c’è sotto non ha importanza, anzi se rimane sotto è meglio.
L’infelicità disturba, i problemi sono un peso che va portato nell’ombra, non alla luce del sole.
Se sei un ragazzo, se sei in salute, hai la macchina, vai all’università, i tuoi genitori ti amano e hai tanti amici non hai motivi accettabili per soffrire, e se per caso la tua sofferenza straborda fai attenzione perché verrai attaccato duramente, diranno che sei un fragile, che hai troppo e non sai apprezzarlo, che trovi motivi per lamentarti quando non ci sono, che sei viziato, che hai avuto troppo. Insomma, la fiera delle banalità.
Se sei una giovane donna, hai una casa, un marito, dei figli e magari sei incinta, se osi dire di essere stanca o di trovarti in difficoltà a gestire un particolare aspetto della genitorialità, sarebbe stato meglio fossi rimasta in silenzio, perché ti guarderanno con pietà, qualcuno ti dirà pure che è meglio che ti abitui alla stanchezza, che non puoi permetterti di barcollare. Ti diranno “e quando nascerà questo bambino come farai allora?”.
E allora cosa fai se il mondo là fuori sbarra gli occhi ad un minimo accenno di un tuo cedimento?
Dissimuli, fingi, celi, ironizzi.
Non c’è tempo per confortare, sebbene ce ne sia una valanga per giudicare, di tempo.
Forse che siamo tutti un po’ responsabili di quello che accade là fuori?
Chissà, proviamo a pensarci.
I ragazzi sono fragili, questo lo vediamo, ogni giorno una tragedia sbattuta sui giornali e sviscerata nei minimi particolari.
Ma credo che questa terribile fragilità appartenga un po’ a tutti, credo inoltre fermamente che non sia prerogativa esclusiva del nostro tempo ma della natura umana.
Siamo tutti fragili e forti, siamo tutti resilienti e vulnerabili al tempo stesso. Ma non è questo il punto, non è sulla difficoltà che va posta l’attenzione per poter smuovere le acque, e le coscienze.
Dovremmo invece analizzare le nostre parole, i nostri atteggiamenti, le nostre reazioni di fronte a chi sta vivendo un momento più o meno difficile, perché quella nostra risposta, quel nostro comportamento può fare la differenza. Magari quel giorno quella persona ha ricevuto solo disapprovazione, pietà, biasimo, e magari il vostro sorriso, quella vostra frase di incoraggiamento è la sola cosa bella di tutta la giornata di quella persona.
Forse questo tempo di avvento può essere occasione per rivedere i nostri comportamenti, per lavorare sui nostri difetti, per cacciare via qualche vizio. Ma soprattutto per aprirci alla fragilità, per considerarla parte della vita di ognuno di noi, e per smetterla di pensare che il modello “bello-bravo-intelligente-realizzato-capace” sia ciò a cui ambire.
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