COME QUANDO GIOCAVO CON LE ONDE
Commento al Vangelo Mt 10,37-42
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
“Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”.
Avrete notato che ultimamente siamo un po’ scomparse, è che la vita a volte ti travolge, con cose belle, toste, grandi, importanti, ti travolge e non riesci a fermarti. Un po’ come da piccola quando giocavo con le onde in riva al mare. Vorresti tanto prendere fiato ma non ci riesci.
Ma il bello della vita è anche questo, che è strabordante, incontenibile. Allora quella fatica che deriva dal prendersi cura di altre vite diventa qualcosa di sacro, di santificante. È quel perdere la propria vita, uscire dall’egocentrismo dei nostri tempi, che ci vuole tutti chini sul proprio ombelico, perché “l’importante è che prima di tutto sia felice io!”. È questo il vangelo del 2023: “fai ciò che ti rende felice”.
Punto. Fine. Che desolazione.
Come se fossimo tutti eremiti, isolati su una montagna, ognuno per conto proprio. Ma questo mondo contraddittorio ci vuole al tempo stesso social, pieni di amici, seppur virtuali, friendly, però prima dobbiamo pensare a noi. Ci vuole poco a capire che questa è la ricetta dell’estinzione della specie umana: una relazione, affinché sia feconda richiede un certo livello di altruismo, di sacrificio, di mettere da parte l’io per dedicarsi all’altro e al “noi”. Ma la verità è che di sacrificio – che poi consiste nel “fare sacro ciò che si fa” – non si parla mai, è una di quelle cose non instagrammabili, per niente corrette politicamente e quindi non viene insegnato. Vi sfido a trovare una madre o un padre che parlino di sacrificio ai propri figli, nessuno lo vuole e tanto meno lo si desidera per la carne della propria carne.
E quindi ci arriviamo tutti impreparati:
nella vita, nel matrimonio, nel lavoro, nella genitorialità, nelle relazioni in generale.
Sapete, sono stata a trovare un’amica che ha partorito da poco il suo primo bambino e mi raccontava quanto si senta impreparata a gestire tutto questo cambiamento, perché il fatto che una vita indifesa sia totalmente dipendente da noi può fare paura, può essere terrificante e può esserlo ancora di più se fino a quel momento l’intera tua esistenza è stata votata alla ricerca del benessere personale.
Ecco perché la nostra fede è sì una fede naturale ma è anche una fede che ci eleva, che ci vuole capaci di controllare i nostri istinti, di fare cose che la nostra natura ci direbbe di non fare, come dare la vita per una vita che ancora deve venire alla luce. È bastato l’annuncio che a Roma sarà dedicata una via al nome di Chiara Corbella per suscitare un mare di indignazione: le donne si sono sentite chiamate in causa di fronte a chi ha fatto una scelta così radicale e totalmente controcorrente, e che dalla Chiesa viene considerata una scelta di santità.
Bisogna partire dall’insegnare ai figli, con la vita più che con le parole, che l’obiettivo non è il successo, l’essere famosi o guadagnare tanti soldi, ma la felicità eterna dell’anima.
Bisogna tornare a parlare ai figli di paradiso e di inferno, di dono e di gratuità e anche della sofferenza che risana le ferite, che fa germogliare il bene.
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