ONCE UPON A LENT – Scalzi e con gli occhi al cielo

Non è per tutte le principesse sognare l’amore.

C’è chi ad esempio sogna di vedere “luci fluttuanti”.
Che a dirla tutta, presentarsi a un ragazzo sconosciuto con questa richiesta, non sarebbe affatto consigliabile o sano di mente neanche ai giorni nostri.
Ma il viaggio di Rapunzel, una gita fine a se stessa, senza pretese di fughe o grandi avventure, senza quelle grandi ricerche interiori o per ritrovare le proprie origini, scrivere il proprio futuro, può essere materiale per una grande storia?
Cos’è esattamente ad incollarci alle bambinesche scoperte di una “mai scappata di casa”, che non sa manco allacciarsi le scarpe perché è letteralmente scalza?
Il filo che ci lega a questa fanciulla a nodo doppio è Gesù stesso a svelarcelo: “Se non ritornerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli“.
L’innocenza con cui questa ragazza vive ogni aspetto di questa sua “nuova”, meglio nuovissima giornata, è di una delicatezza incredibile.
Come la sincerità esilarante che la ritrae felice e depressa non appena mette i suoi piedi per terra: non deve fare bella figura, non deve essere all’altezza della situazione.

Può essere se stessa, semplicemente, in ogni momento.

E questa sua fanciullezza, è ciò di cui Gesù parla.
Penso a suo zio, Zaccaria, che non è più in grado di accogliere la stupendità (sì stupendità!) di un messaggio così pieno di vita e di speranza, perché ha perso la capacità di stupirsi. Ha perso la capacità di lasciarci affascinare dalla vita, non solo dalle cose piccole ma perfino dalle cose grandi, come un angelo che gli appare e gli rivela il suo futuro.
Figurarsi se può più accorgersi dalle piccole “buone novelle” che ogni giorno si dispiegano nelle fessure della sua giornata.
Se può accorgersi che Dio ha guardato le sue lacrime, che sta arrivando il momento di gioire.
Quel Vangelo, che non è fatto per qualcun altro che va informato del messaggio, come spesso ci siamo ritrovati, in realtà è fatto unicamente per me. Quella storia, Dio, l’ha scritta perché un giorno l’avrei letta io. È valso tutto il viaggio, tutto l’inchiostro, solo per me.
Una “buona nuova” per questo mio giorno, adesso, ora, qui, in questo luogo dello spazio e del tempo.

Zaccaria non è sterile nella carne, ma nel cuore:

non è dimentico di quelle pagine che raccontano la storia dell’amore di Dio, ma lo è della sua stessa storia, del suo amore, di quello per Elisabetta e di quello del Signore per lui. In questo deserto silenzioso che è la sua anima, che non ha più prossimità con l’immensità di Dio, non c’è più “notizia” che possa farne fiorire l’aridità.
Non ha più un sogno, come Eugene, che l’amarezza della quotidianità ha curvato sulle necessità materiali (soldi, vita tranquilla..)
L’angelo chiude la bocca a Zaccaria, come Eugene non riesce a parlare, con cuore chiuso e sigillato, mente tradisce e nasconde la verità a Rapunzel, mentre la guarda rapito, illuminata dall’avversarsi del suo sogno, fluttuante tra luci e fiori nel lago ai piedi della città.
Ma questo nuovo “mutismo” è un mistero per lui, ed inizia ad intuire nel silenzio che il suo modo di vivere sempre volto al suo tornaconto e al materialismo, diversamente dal solito, gli comincia a stare stretto.
È una nuova epifania, come la nascita del piccolo Giovanni, che farà fiorire il suo cuore avizzito del papà.
Tornare bambini, tornare a stupirsi, per dirla alla Rapunzel, tornare a sentire la carezza dell’erba sotto i nostri piedi nudi.
Togliere le cataratte della “vecchiaia” alla Zaccaria e tornare ad una realtà limpida, ad un cuore puro che ha tolto la scorza e non ha paura di gioire o di soffrire ancora.
Così, mentre rimane pieno di stupore ad osservare l’innocente gioia di lei, matura in lui l’amore vero.
L’amore di Cristo.
E dopo averla tradita, lui non ci stà, fa qualcosa che non aveva mai fatto, torna indietro, non calcola le conseguenze, non valuta i rischi, non studia un piano per non lasciarsi fregare.
Sale la torre e quel che succederà ne sarà valsa la pena.
Eugene è pronto e senza chiedere il permesso, senza aspettare di essere guarito nel corpo da Rapunzel, dopo la ferita mortale di madre Gothel, va fino in fondo e dà la sua stessa vita.
Non può aspettare che lei lo guarisca.

Le scelte vere, quelle decisive, non aspettano mai:

come da bambini, c’è un’impellenza che riaffiora incontenibile e non può attendere il “momento giusto”. Come un matrimonio di vero amore, che va ad di là della preparazione, come un bambino che viene al mondo quando sa lui.
Eugene la guarda e sceglie: posso morire io purché viva tu.
Come quel “consegnandosi” volontariamente alla passione, Eugene, anche di fronte a scelte più sicure, come quella di attendere di venire guarito, sceglie l’impellenza di amare.

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