San massimiliano Maria Kolbe
La matematica non è mai stata il mio forte.
Invece, Massimiliano Kolbe, andava fortissimo. Non ha vinto il Nobel solo perché la sua “equazione della santità” non è roba per secchioni. Non tutti possono capirla pur conoscendo leggi o teoremi vari perché c’è una incognita che sfugge alle regole razionali e deterministiche e ti porta a risultati inaspettati, inspiegabili, illogici. Nemmeno i suoi ragazzi del catechismo la colsero subito, la prima volta che il frate la teorizzò a un incontro: v=V Due variabili. Nessun sistema per ricavarle. Perché non c’è niente da cui possiamo razionalmente dedurre il perché quelle due lettere debbano coincidere. Non c’è niente che spieghi la felicità e persino la libertà che secondo noi è tutto un “fare come ci pare” in barba alle regole (anche quelle matematiche).
Kolbe, col suo gesto di dono gratuito scardina la nostra idea di libertà che insegue il nostro piacere e tornaconto.
Scardina le regole di un regime che vedeva le persone come numeri tutti uguali, mentre per lui, erano tutti allo stesso modo meritevoli di amore e salvezza. È stato facile per le guardie naziste accettare lo scambio col padre di famiglia: uno vale l’altro. 16670: un altro numero, che cancella la persona. È stato altrettanto facile per Kolbe farsi avanti? Non credo. Eppure la soluzione era in quel bunker numero 14, il bunker della fame. Nessuno si spiega perché Kolbe abbia scelto uno sconosciuto. Nessuno capisce perché da quel bunker non si sentano urla strazianti, ma preghiere silenziose. Nessuno razionalmente comprende perché quel frate resti in vita così tanto tempo. Nessun algoritmo avrebbe mai portato a quelle ultime parole di Massimiliano:
“L’odio non serve a nulla. Solo l’amore crea”.
Ha applicato la sua strana matematica fino alla fine, all’ultima “Ave Maria”. Basta sostituire un numero e l’equazione dell’odio non torna più, nel campo di Auschwitz. Solo una equazione porta sempre: v=V. La mia volontà, sia la tua Volontà. Kolbe ci ha creduto fino alla morte. In ogni bunker, in ogni giornata, in ogni storia. L’unica equazione che porta sempre e che ci porta sempre alla santità, perché si fonda su una variabile apparentemente impazzita: quella dell’amore.
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