Perché punire i nostri bimbi se nemmeno Dio lo fa con noi?
di Beatrice Sapori, referente “Il Parto Positivo“
Punizione o disciplina?
Prima di cercare risposte nella scienza, le cerco nella Verità. Se il Signore ama me, con tutti i peccati e il male che faccio e anzi non solo mi ama nonostante quella che sono, mi ama proprio quando sono peccatrice, chi sono io per condannare mio figlio? Per punirlo o minacciarlo? Ecco allora il ruolo del genitore: educare, con amore, anche alla disciplina. É difficile, difficilissimo, d’altronde anche essere cristiani lo è.
S. Giovanni Bosco, uno che di giovani se ne intendeva, scrisse:
“mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e soli quelli della persuasione e carità” e ancora “Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia” . “È certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia, castigare quelli che ci resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità”. “In pubblico non si sgridi mai direttamente, se non fosse per impedire lo scandalo, o per ripararlo qualora fosse già dato”, d’altronde “difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria”. “Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare; vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; (..) Egli ci disse perciò di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di cuore”. “In certi momenti molto gravi giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a Lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte nessun vantaggio in chi le merita.”
Potete leggere tutto qui : Il sistema preventivo nella educazione della gioventù
Questo testo, è stato complicato selezionarne solo alcuni pezzi, mi emoziona ogni anno quando capita nella lettura dell’ufficio nelle lodi mattutine. E dopo questa premessa “religiosa” che lascio a ognuno di voi per poterne trarre conclusioni, vorrei concentrarmi sull’aspetto scientifico che invece prendo in esame nei miei incontri per genitori BabyBrains basati sulle più recenti scoperte di neuroscienze nei bambini.
Dunque, che dicono le neuroscienze sulle punizioni?
La prima domanda che farei a voi, genitori, che state leggendo è il punto da cui vorrei partire: quando punite il vostro bambino, perché lo fate? Qual è il fine ultimo? Il vostro scopo? Educarlo? Umiliarlo? Fargli capire che quella cosa non si fa, punto? Quello che sicuramente fa una punizione (e vale lo stesso per i ricatti, soprattutto quelli morali “non ti voglio più bene se.. Non ti parlo più perché..”) è creare stress, ansia e paura.
Cosa fa lo stress?
Insieme alla paura e all’ansia modifica l’attività cerebrale in determinati punti: Corteccia prefrontale, Amigdala e Ippocampo; Quelle aree legate ai ragionamenti complessi, all’elaborazione della paura e alla memoria. Cosa significa questo? Che una nostra punizione, in realtà, è come se incendiasse quelle aree nel bambino impedendone il fisiologico sviluppo e di fatto di imparare qualsiasi cosa.
Sicuramente funzionerà se l’intento è spaventare e inculcare paura (che è differente dal timore) nei nostri figli, ma se l’obiettivo è insegnare qualcosa o educare il nostro bambino, no: di fatto lo stiamo privando della possibilità di apprendere dai suoi errori, quella di pensare da sè e, col nostro aiuto, a come poter risolvere il problema e/o il danno causato.
Pensate ad esempio ad un errore che a voi adulti capita di commettere.
Esco di casa, dopo aver passato la mattinata a sistemare, lavorare, preparare i bambini ecc e mi dimentico la mascherina. C’è un’area nel cervello, il Putamen, che ci fa dire: “che cretina, ho dimenticato la mascherina!”. E’ come se il nostro cervello si auto-punisse permettendoci di pensare all’errore commesso, pensando “che cretina!”. L’avete presente quella sensazione sgradevole quando sbagliamo qualcosa? Ecco, il Putamen è responsabile di questo. Non solo, lavora generalmente in coppia col Giro frontale sinistro, collegato al consolidamento della memoria. Il famoso “sbagliando si impara” è proprio vero, quando commettiamo un errore il cervello non solo ce lo fa riconoscere, ma fa sì che istintivamente cerchiamo la soluzione al problema e che questo evento si immagazzini per bene nella nostra memoria a lungo termine.
Quindi, torniamo alla nostra mascherina. Una volta compiuto l’errore, la dimenticanza, penseremo a soluzioni utili a ricordarla la prossima volta (la metto vicino alla porta? Ne tengo una di scorta in borsa o in macchina? Mi metto una sveglia sul cellulare?) e difficilmente accadrà di dimenticarla di nuovo (a meno che non abbiamo avuto un piccolo negli ultimi due anni, ma questa è tutta un’altra storia).
Ora, se durante questo processo interno, arrivasse nostro marito sottolineando il nostro errore, generalmente con frasi tipo “sei la solita, ma non puoi stare attenta? Ecco, ora siamo in ritardo, se non ci penso io, tu…”, non solo interferirebbe nel processo di apprendimento dell’errore, ma sposterebbe la nostra attenzione da un problema, la mascherina dimenticata, a un altro problema, la relazione con nostro marito. Come ne usciremmo? Probabilmente, arrabbiate con nostro marito e le sue critiche e senza aver avuto la possibilità di pensare alla risoluzione del nostro problema. Ergo, litigheremo con lui e quasi certamente dimenticheremo di nuovo la mascherina.
Ma tutto questo, nella relazione coi nostri figli cosa significa?
Innanzitutto con un bambino, nella nostra cultura adulto-centrica, generalmente non ci si ferma alla critica. Inoltre un adulto ha (o almeno dovrebbe avere) un’auto-regolazione emotiva, che il bambino ancora non possiede, quindi la critica dell’adulto risulta molto più destabilizzante. Il risultato è simile ma peggiorato: non permettiamo alle aree del cervello un corretto sviluppo ma imponiamo al bambino un’abitudine errata, il messaggio che passa è “questa cosa non si fa perché lo dico io”. Il bambino imparerà ad avere paura della figura di riferimento, non ripetendo l’azione non perché abbia capito il danno che può creare o la sofferenza che potrebbe infliggere a qualcuno, ma solo perché ha paura di noi.
É davvero questo quello che vogliamo nella relazione coi nostri figli? É davvero questo essere come un Dio che ha amore gratuito e incondizionato per noi?
La verità è che uscire da schemi vissuti e ripetuti per anni e anni è davvero complicato e avere la pazienza necessaria richiede uno sforzo immenso, d’altronde lo chiamiamo spesso “Dare la vita…” . Tutto questo non significa che se scappa l’urlata o la punizione quando siamo tirati allo stremo, questa provocherà un trauma irreparabile. Capita a tutti di sbagliare, ma riconoscere quello come sbaglio e prendere consapevolezza che in quel momento non stiamo insegnando niente ai nostri figli, è il primo passo per essere, con l’aiuto di Dio, genitori migliori.
E allora tre bei respiri profondi e chiediamo scusa ai nostri figli, così che imparino a farlo anche loro: offriamo la possibilità di fare esperienza del Perdono.
” Nel modo in cui tratteremo i nostri figli, i nostri figli tratteranno il mondo”.
Con una modalità simile funzionano anche i premi e le ricompense, ma anche questa è un’altra storia.
Per approfondire, oltre a Don Bosco e al Vangelo, vi consiglio le seguenti letture:
– “Amarli senza se e senza ma. Dalla logica dei premi e delle punizioni a quella dell’amore e della ragione” di Alfie Kohn
– “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino” di Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson
– ” Le emozioni dei bambini” di Isabelle Filliozat
– “Le parole sono finestre (oppure muri)” di Marshall Rosenberg
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