La mia cattolica vita hygge
Hygge (che si pronuncia hugge o come ti pare, tanto nessuno lo sa davvero da queste parti)
è l’arte di essere felici delle piccole cose, nella quotidianità. Una cosa tutta danese, che, come tutte le cose scandi-nordic, qui da noi è stata accolta con super entusiasmo, la nuova frontiera della felicità quando avrete esaurito lo yoga, la dieta Ducan e il KonMary. Pare che loro, i danesi, siano il popolo più felice al mondo proprio grazie a questo approccio molto hyggeligt (anche qui, vedi pronuncia a casaccio). Anche se poi, mi chiedo a onor del vero, come si fa a essere felici nel paese dove si lavora per l’obiettivo zero-down e quindi dove, a quanto pare, si può essere felici solo se si è perfetti e come dicono loro. Come se la felicità fosse diritto solo di qualcuno nato biondo, alto e con gli occhi azzurri (e qui, mi si accapona la pelle davvero). Comunque, ci atteniamo alle statistiche.
In sintesi, ma proprio sintesi, questo hygge è la capacità di godersi i piccoli piaceri della vita, di creare spazi molto cozy dove trovare pace e relax, dove stare bene con se stessi con un libro, una candela e la borsa dell’acqua calda (qui, comunque, nonna docet già in tempi non sospetti, eh). Soprattutto, è la capacità di stare con gli altri, in famiglia, godendosi la quotidianità, i gesti rituali come la cena, la colazione o le riunioni familiari come tempo lento, esclusivo, disconnesso, dedicato solo a godersi la bellezza di esserci, di stare insieme e basta, a fare giochi da tavola grandi e piccoli, insieme o a bere cioccolata davanti al camino. Insomma. Tutte le scene da cartolina natalizia che vi vengono in mente: inserire qui. Ma a parte l’ironia, a parte l’arredamento, i tappeti, le coperte, le candele, la cioccolata (o meglio il comfort food), i cellulari staccati, leggendo qua e la, da curiosa quale sono (e soprattutto una che non si lascia certo sfuggire l’occasione per comprare una Yankee Candle o uno stampo da torta in più), devo dire che, questa hygge life, la vivevo già:
si chiama catholic life.
Niente di scandi-chic e quindi addio possibilità di sfondare con libri e altro materiale di marketing a riguardo anche se già mi vedevo in tour per le librerie a firmare copertine.
Siamo molto hygge quando preghiamo insieme,
in famiglia, senza tv, cellulari, ma con una coperta di pile, buttati uno sopra l’altro in calzetti sul divano (l’odore dei calzetti non è molto hygge, ma i calzettoni di lana infeltrita pare di sì, quindi via libera). Solo che abbiamo scelto di riempire quel tempo di qualcosa di altro, oltre che di noi, che ci fa sentire davvero una sola famiglia in cammino verso qualcosa di grande. Qualcosa che ci unisce, ci fortifica, ci permette di mettere a nudo le nostre debolezze, le nostre mancanze come figli, mogli, sorelle. Non solo la perfezione. Anche se quel momento è perfetto così. È qualcosa che dà senso al nostro essere famiglia, che fa sentire protetti, un calore che nessun caminetto acceso può eguagliare (ma se avete anche quello siete proprio a cavallo e forse vi danno la cittadinanza danese. Ma deve essere a legna. Non barate col pellet che vi vedono).
Siamo molto hygge quando usciamo nelle sere calde di maggio
o anche in quelle fredde d’inverno per andare a dire un’Ave Maria alla figuretta vicino casa. Partiamo, e c’è sempre chi non vuole venire, ma si aggiunge alla fine, e si sta in contatto con la natura, si parla della giornata, si ride, fin quando non si arriva e allora, per un attimo solo, il tempo di quell’Ave Maria, la senti davvero la gratitudine per tutto quello che hai. Che alla fine non sono cose, profumatori per ambienti particolari o libri, ma sono persone. Ecco. Questa gratitudine è molto hygge (attenti che questa cosa vi sta riuscendo meglio di quanto pensavate!), oppure, come piace a noi cattolici, direi che è molta “grazia in abbondanza!“.
Siete hygge quando decidete di mettervi sulla poltrona con una tazza di tè e il Vangelo aperto
che alla fine la meditazione e il relax è così profondo che ci scappa un sonnellino dalla felicità. Siete nel Nirvana dell’hygge. O come dico io, in profonda meditazione del mistero. Almeno fin quando, in maniera sempre molto hygge, vostra madre vi desta con un urlo che il dolce che avevate messo su sta andando a fuoco. Ma voi, altrettanto hyggemente, col sorriso, fluttuate verso il forno che puzza come un palazzo di sei piani in fiamme, ed estraete la teglia (tanto non l’avevate fatto mica per mangiare, ma solo perché nel libro hygge c’è scritto che l’odore di dolce fa parte dell’allestimento). Comunque, per fortuna che noi cattolici sappiamo che non si vive di solo pane. Non so questa cosa del dolce non riuscito come l’avrebbero presa in Danimarca.
Siamo hygge quando accendiamo candele,
anche se noi le accendiamo in Chiesa o davanti al quadro di Gesù a casa, perché si, ci fa stare bene, ma soprattutto perché vogliamo ricordarci che non siamo soli e che, anche quando la felicità sembra sfuggirci e non ci sono sorrisi o coperte di pile o giornate dove è facile rilassarsi e tutto va bene in famiglia, noi, davanti a Lui, ritroviamo la pace e la forza per sorridere anche quando, da soli, non ce l’abbiamo.
Credo sia questo, il segreto della mia (non-molto-hygge-ma-va-bene-così) felicità.
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