Storia di una regina, un rattrappito e il suo regalo speciale

storia del salve regina

cose di lassùErmanno era figlio di un conte e aveva 14 fratelli. Ce lo possiamo immaginare, nella sua grande dimora, piccolo bambino affetto da una grave disabilità che non gli permetteva neanche di stare seduto.

Era il Medioevo, i suoi genitori, forse consapevoli di non potersi dedicare al meglio al loro bambino, decisero di portarlo in un monastero, sull’isola di Reichenau nel lago di Costanza. Ermanno trascorse lì la sua vita, dall’età di 7 anni fino a quando morì a 41. Ci viene da pensare che cosa triste, come si sarà sentito solo, abbandonato. Forse sì, questo non lo sappiamo, ma certamente possiamo immaginare che gli mancasse la sua famiglia, i suoi fratelli…forse no, forse nascere storpio, storto e zoppo in una famiglia nobile non era semplice, non si veniva certo mostrati con orgoglio al mondo, agli amici di famiglia, alla società. Mentre nel monastero tutto era diverso. Ermanno venne accolto con amore e compassione dai monaci, che lo aiutarono ad affrontare i problemi legati alla malattia, ad esempio sappiamo che gli costruirono una sedia speciale dove lui riusciva a stare seduto in una posizione tale che gli permettesse di scrivere e di leggere.
Sappiamo anche che il dolore non lo abbandonò mai durante tutta la sua vita. Ermanno soffriva a causa della malattia, tuttavia si legge nella sua storia che era un uomo amichevole, felice e piacevole! C’è una frase bellissima scritta da lui stesso, come prefazione ad un suo libro, che ci fa intuire come fosse umile e autoironico: «Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, il seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca (…) è stato indotto dalle preghiere di molti amici a scrivere questo trattato scientifico». Insomma, Ermanno visse quasi tutta la sua vita tra i monaci, divenne uno di essi, e trascorse le sue giornate tra la preghiera e lo studio delle scienze, della matematica, del latino, della poesia. La sua cultura cresceva e il dolore fisico rimaneva e lo accompagnava ogni giorno. Ermanno scrisse diversi libri, parlava di astronomia, di religione, di storia e dedicò una preghiera a Maria, la madre di Gesù, che lui probabilmente sentiva un po’ come sua mamma:

Salve, o Regina, madre di misericordia;
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.

La chiamava madre, vita, dolcezza e speranza: un inno all’amore che provava nei suoi confronti, lei che non lo aveva mai abbandonato.

A te ricorriamo, noi esuli figli di Eva;
a te sospiriamo gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.

Ermanno si rivolge a Maria insieme a tutti quelli che come lui soffrivano per la malattia, per il dolore fisico e non solo, come un bambino si rivolge alla mamma quando ha fame, sete o sta male, piangendo e sospirando di fronte a lei, unica luce di speranza e di amore.

Orsù, dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi quegli occhi
tuoi misericordiosi.

Ermanno chiama Maria la sua avvocata, colei che lo difende, lo protegge, che prende le sue parti, e gli chiede di guardarlo, guardare lui e tutti quelli che come lui si trovano in questa “valle di lacrime”, che soffrono e che vivono nel dolore. Guardami mamma, abbassa gli occhi su di me che ho così tanto bisogno del tuo sguardo d’amore. Ermanno è come un bambino che chiama la mamma e non si stanca di chiamare il
suo nome finché questa non si gira e non lo guarda.

E mostraci dopo questo esilio

Gesù, il frutto benedetto
del ventre tuo,

o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

Ermanno chiede a Maria il massimo, il regalo più grande, il traguardo più atteso: le chiede di mostrargli Gesù, suo figlio.

Ermanno era storpio, storto e zoppo, ma aveva capito tutto e certamente molto più di noi. Aveva capito che il dolore non deve impedirci di essere felici, anzi il dolore può svegliarci, può renderci capaci di amare la vera bellezza, di aspirare al massimo, con il vantaggio di rimanere sempre ben piantati a terra.

Perché il dolore, fisico e non solo, ma soprattutto quello del corpo, ci costringe a stare nella realtà.

Essere Ermanno agli inizi dell’anno mille non deve essere stato facile, lui sperimentò la solitudine, il distacco da una famiglia che forse non riusciva ad amarlo così come era o che forse volle dargli qualcosa che loro non sarebbero riusciti a dargli da soli. Ermanno aveva una malattia per cui oggi si chiede l’eutanasia. Ermanno tuttavia si fece forza e, seppur nel dolore, dedicò tutte le energie mentali che aveva ricevuto in
dono per studiare e per crescere. Non era atletico né bello, non era forte né prestante, però era appassionato, felice e curioso, intelligente e affamato di cultura. Ma soprattutto era innamorato di Maria e quasi mille anni fa ci fece un dono inestimabile, ci donò quella preghiera che possiamo fare nostra e che possiamo recitare, pensando a Maria come alla nostra mamma e chiedendole ancora, dopo mille anni, di
girarsi verso di noi e guardarci con quei suoi occhi meravigliosi che parlano d’amore.

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