ONCE UPON A LENT – Il proprio posto
C’era una volta una principessa, vestita di stracci per ordine della regina, che si ritrovò a fare la serva nel suo stesso castello.
Si direbbe una fanciulla umile, sottomessa, serena anche nella difficoltà: con una resilienza così perfetta, dove potrà mai colpirla ancora la vita?
Ma senza averne colpa, la fanciulla ha in sé qualcosa che la regina non può tollerare: la sua bellezza.
Così la matrigna decide che quella bellezza deve essere distrutta: Biancaneve è condannata.
La fanciulla, già “spodestata” dal suo ruolo, viene condotta in un bosco.
E tanto basta per sentirci tutte un pò Bianca nelle nostre vite. Perché un conto è sapere chi siamo, avere un rango, una prospettiva in un castello, essere nonostante tutto quelle principesse nei modi, nel portamento, come Biancaneve, ma un altro conto è la vita, che ti si scaglia contro nonostante tu abbia già avuto le tue buone dosi di sventura.
È in questa realtà cruda che si svela la realtà di Biancaneve. Dipinta come la migliore delle “sovrane in erba”, piena di caratteristiche positive, tutta cuore e bontà, ad un certo punto le manca la dote di rendere queste sue virtù concrete: la volontà.
Infatti non prende in mano le redini della sua vita, ma lascia che il tempo, le circostanze e la casualità agiscano per lei, come l’incontro del principe al pozzo, dove confida il suo sogno d’amore, ma davanti alla realtà fugge nel balcone della torre. Certo la scena è romantica e ci mancherebbe, ma non basta il suo animo schivo, c’è tutta una trama a confermare questa sua incapacità di prendere posizione. La matrigna è perfida, la ricopre di stracci e di lavoro, e lei in preda allo stupore, deve farsi spiegare dal cacciatore perché mai quella regina voglia ucciderla? Insomma, sembra leggermente svampita ‘sta ragazzina che neanche si è resa conto con chi abitava fino a pochi minuti prima.
Ma ora che è tutto alla luce del sole, che si fa? Cosa facciamo noi di fronte alla nostra, di vocazione?
O meglio, che ce ne facciamo noi, della nostra vocazione, se poi la vita ci piega? Le più incasinate come me avranno già pensato: “A saperla, la vocazione!”. Eh sì perché se non nasci Biancaneve con l’etichetta “principessa” appiccicata, mica è così scontato che tu sappia guidarla, la tua vita. E se anche, come nel mio caso, la vocazione “lavoro che fai-affetti-che-vuoi-abitazione-che-scegli” che siamo abituati ad immaginare non avesse dispiegato il suo tappeto rosso ai nostri piedi, che facciamo? Quando la vita ci sfida e ci impedisce di proseguire anche in quel poco che sappiamo di noi stessi? Perché, che siate belli e sistemati oppure no, la vita le sue sfide le presenta a tutti: insoddisfazioni, fallimenti, crisi, sogni infranti, tradimenti, illusioni. Ce n’è per tutti.
E qui si trova la nostra Biancaneve.
Un bivio: prendere in mano la sua vita, o scappare.
E quando nella vita siamo un pò troppo isolati dagli affetti (la ragazza parla solo alle colombe del giardino), quando non abbiamo fiducia negli altri (il principe una spada ce l’avrà pur avuta! E il cacciatore è già dalla sua), quando ciò che accettiamo o siamo costretti ad indossare ogni giorno ci toglie la contezza di chi siamo realmente (come gli stracci che vogliono rendere schiavo anche il suo animo), ecco che la fuga sembra l’unica soluzione.
Perché in quel momento per lei non ci sono alternative: è libera, fuori delle mura del castello, ma è rimasta ancora la fanciulla che canta nel pozzo, ripiegata su se stessa e sulle proprie ossessioni.
“Ogni desiderio può il pozzo soddisfar, se l’eco vi risponderà”
E mi viene da dire: “sentito, Teresa? Il pozzo ci mette anche meno della tua rosa per dare conferma. Capito, Dio? Che rimani immobile e silenzioso, zitto e muto ad ogni richiesta?!”
Eppure, sporta sul pozzo, la conferma che Biancaneve aspetta altro non è che la sua stessa eco: identica, identica ai suoi desideri.
Quante volte io parlo a Te, Signore, perché tu faccia eco ai miei, di sogni? Perché tu mi risponda e mi esaudisca esattamente nei tempi e nei modi scelti da me?
Bianca-“me” è così inchiodata alle sue speranze e schiava di ciò che vuole da fingere che il suo stesso eco sia una voce incantata col potere di esaudire i suoi sogni. Non si mette in moto questa ragazza, meglio lasciar fare alle voci, insomma, anche fossero dicerie.
A volte non basta lasciarsi alle spalle le mura del castello ed indossare un vestito da principessa per andare con un cacciatore a cogliere fiori selvatici.
Questa sfida di libertà, Biancaneve proprio non la coglie.
È completamente cosciente che il principe non la cercherà in un bosco, anzi, che nessuno andrà a cercarla là se non la matrigna per ucciderla, che sta facendo una scelta da vigliacca insomma.
Si fa travolgere dalla paura, dalla solitudine, dall’angoscia che ti trasfigura la realtà, che fa apparire i rami, artigli, i tronchi, assassini, i gufi e gli animali, silenziosi sicari.
E dopo un bel pianto, come per la più normale delle persone, la realtà torna ad assumere sembianze reali: bene, si riparte!
Invece anche questa seconda chance, Bianca la toppa in pieno. Ritorna a fare ciò che faceva prima, letteralmente: le pulizie.
Nonostante i nani la riconoscano: “Sei la principessa!”, lei continua a nascondersi e
rimette in gioco esattamente le stesse dinamiche errate della prima volta.
Non basta trovare una casetta, mettersi all’opera e “spolverare” di nuovo le proprie capacità perché le sfide della vita, che siano umane o legate alla vocazione, non si mettono a tacere quasi mai. Il tempo passa, ma la maggior parte di loro, avrete già notato, ritorna. Ciò che fuggi con tutte le forze si ripresenta, magari con altre forme, con altre modalità, in altri contesti, ma tornerà nelle nostre vite finché non troveremo la forza di affrontarlo o finché non soccomberemo.
Si può perfino vivere un’intera esistenza perseguitati dal proprio problema, sempre in fuga.
Fatto sta che lui ti trova.
Magari sotto forma di vecchietta con tanto di mela rossa?
Prima o dopo, che cambia?
Se continui a vivere nella sconfitta, non sei anche tu un pò come Marta: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”
Non continuerai a incolpare la vita di ciò che capita, schiavo di una realtà che non puoi modellare a tuo piacimento? Senza fidarti più di nessuno, neanche di Dio?
A noi è chiesto di più.
A noi è stato chiesto di cooperare con chi può davvero sanare e liberare, raddrizzare e dirigere le nostre esistenze.
Biancaneve avrà bisogno dell’austerità di una casetta nel bosco, del silenzio della notte, di “spogliarsi” nell’animo dei suoi stracci e indossare davvero i vestiti da principessa, per riscoprire la forza della preghiera.
Se ne accorge all’ultimo, china sui piccoli sette lettini con lo sguardo alla luna: “Benedici i nani, fa che il mio sogno si avveri. Così sia”.
Perché ci sono due modi per affrontare le nostre questioni irrisolte: risolverle o farci pace prima che la strega arrivi.
E la strega arriva, mutata da vecchia mendicante: “La mela dei desideri avvererà il tuo sogno, basta desiderarlo e darle un bel morso”.
Non più un pozzo, ma una bella mela rossa.
Il suo animo è rimasto lo stesso di prima, la sua vita identica: dentro di sé è ancora ricoperta di stracci.
Bianca soccombe ad un sonno di morte.
Il suo corpo diventa lo specchio della sua anima: immobile per sempre, ora sì incapace di rincorrere quel sogno che invece prima la animava.
Questo è l’effetto del demonio, quando lo rendiamo la regina del nostro castello, e rimaniamo inermi, senza spodestarlo, persino “soggiogati” a pulire in ginocchio pavimenti e vestire come servi: ci rende schiavi delle nostre ossessioni, ci inchioda alle nostre fisse, ci rende incapaci di forgiare la nostra libertà sottomettendo in primis la nostra volontà, piegandola al giogo del mondo ed intrappolandola nel bosco delle nostre angosce.
Bisogna mettere un punto.
Biancaneve deve morire.
Deve morire a se stessa.
E rinascere dalla sua vera bellezza, (l'”essenza” di figlia di Dio) erede di Re, quella bellezza che è data dalla nascita.
Non c’è possibilità di redenzione per Biancaneve come noi la conosciamo, perché non sa cambiare, non sa distaccarsi dalle sue abitudini, al suo confortante ripetersi, non sa abbandonare il suo sognare sterile, i desiseri che chiede al cielo ma per cui non si adopera.
Bianca era già morta, da tempo, ma forse ora, da questo morire può “risorgere” Regina.
E la salvezza, nella vita come in questa favola, è in Colui che ci ama.
Non valgono parole, sedute di terapia, prese di coscienza per disincantare davvero il nostro cuore: conoscere la “teoria” del nostro dolore non ci servirà a convertire la nostra vita. Non basta avere chiaro il quadro clinico.
Serve di più.
Serve sentirci amati, pienamente, senza riserve, immensamente, davvero.
Anche nelle nostre ferite, anche nelle righe scritte storte.
Il principe questo lo sa già: ha già visto Binacaneve coperta di stracci faticare nella scalinata del castello.
L’ha vista e l’ha amata sin dal primo istante.
Questo è ciò che salva Biancaneve, ciò che ci salva: avere fiducia che un Principe ti Ama, di un amore perfetto e senza tempo, nei tuoi stracci sporchi, nelle tue lacrime come nella bellezza della foresta, mentre sei ancora immobile nella tua bara di vetro, circondata dall’incanto della vita di quel bosco che prima non riuscivi a vedere.
Sarà come un bacio.
Un bacio perché intimo.
Un bacio perché silenzioso.
Un bacio perché totalizzante.
Un bacio perché indescrivibile.
Un bacio perché può essere compreso solo da chi lo vive.
E non avrai indietro solo una vita libera.
Ma ti verrà anche ridato il posto da cui quel demonio di Regina ha tentato di strapparti: il trono della figlia di Dio.
Che tutti noi possiamo addentrarci in quel sonno della morte, perire alle nostre schiavitù e lasciare che Lui ci faccia risorgere, per riprenderci il posto di eredi che ci spetta.
Un altro bellissimo articolo grazie. <3