QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #12 BRILLARE
“Sai cosa mi ha detto mia madre quando è venuta a salutarmi, tanto per tirarmi su? Che forse il Distretto 12 avrà finalmente un vincitore. Poi ho capito che non parlava di me, parlava di te!” esclama Peeta. “Figurati, certo che parlava di te” dico liquidando il discorso con un gesto. “Ha detto «È una tosta, quella». Quella” ribatte Peeta. Mi blocco di colpo. Davvero sua madre gli ha detto questo di me? Ha avuto maggiore considerazione per me che per suo figlio? Vedo il dolore negli occhi di Peeta e capisco che non sta mentendo. All’improvviso sono sul retro della panetteria e sento la pioggia gelata sulla schiena e la pancia vuota. Quando gli parlo la mia voce è quella di una ragazzina di undici anni. “Ma solo perché qualcuno mi ha aiutato.” Gli occhi di Peeta corrono al panino che ho tra le mani. Capisco che anche lui ricorda quel giorno, però si limita a scrollare le spalle. “Ti aiuteranno, nell’arena. Faranno a botte per sponsorizzarti.” “Lo stesso vale per te” dico. Peeta rivolge lo sguardo a Haymitch. “Non ne ha proprio idea. Dell’effetto che può fare”. Passa le unghie sulle venature del tavolo, evitando di guardarmi. Ma di cosa diavolo parla? Chi dovrebbe aiutarmi? Quando morivamo di fame, nessuno mi ha aiutato! Nessuno eccetto Peeta. Quando ho cominciato ad avere qualcosa da barattare, le cose sono cambiate. Sono determinata, come commerciante. O sono io? Che effetto faccio? Sembro debole e bisognosa? Sta insinuando che facevo buoni affari perché la gente aveva compassione di me? Cerco di riflettere per capire se è vero. Magari qualche negoziante è stato un po’ generoso nei suoi baratti, ma ho sempre attribuito la cosa ai rapporti di vecchia data con mio padre. E poi la mia selvaggina è di prima classe. Nessuno ha avuto compassione di me! Lancio uno sguardo torvo al panino, sicura che Peeta volesse insultarmi.
Hunger Games, libro 1, capitolo 7
E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito.
2Corinzi 3:18
È radicata in noi la certezza
che avevano certi poeti di un tempo, all’età dell’ “amor cortese” per cui la luce del nostro intimo possa brillare attraverso i nostri occhi, appunto “specchio dell’anima”.
L’effettiva presenza di un “aurea” si è poi tramandata anche nell’arte visiva, interpretata e riconosciuta da ogni pittore con quella raffigurazione dorata attorno al viso, ispirata da tanti scritti che ci parlano di una luminosità sconosciuta, inspiegabile ed inimitabile insieme.
Ne parlavano all’epoca di San Francesco, non affascinante o bello per i canoni del tempo, ma comunque attraente ed addirittura seducente nel parlare di Gesù.
Possiamo pensare a Padre Pio, che a prima vista aveva l’aria di un vecchio burbero e dall’aspetto duro, ma che sapeva incantarti ed ammaliare quando predicava.
Poi un’altra Santa d’oggi con questo effetto “aurea” era Madre Teresa di Calcutta: vecchia, con il volto segnato dal tempo, dalla fatica, dall’età, eppure radiosa, luminosa, brillante nella sua persona esteriore, non solo interiore.
Qual è il segreto di questa bellezza
che non ha niente a che fare con il proprio aspetto, lo possiamo intuire incrociando i dati dei nostri tester in esame: la preghiera.
Passiamo da un San Francesco che in una giornata intera non riuscì a recitare il “Pater Noster” più in là della parola “padre”; a un Padre Pio che diceva almeno una trentina di rosari al giorno (e non sappiamo quanti detti in ubiquità).
Madre Teresa, addirittura, ha messo l’adorazione giornaliera nella propria “regola”. Non per imporre ma per “regĕre” cioè proprio «guidare diritto».
Sì perché Terry era convinta che quando hai a che fare con i labirintici vicoli delle periferie “dimenticate” della terra, ci si potesse anche perdere: pensare di poter fare da soli, o al contrario di essere inutili; pensare di salvare tutti, o al contrario nessuno.
Ci vuole una scorciatoia, che sia veloce, un’autostrada che possa unire la miseria che viviamo ogni giorno al cuore di Dio: misericordia.
Questo contatto diretto, questo dialogo sempre connesso, ha per noi l’effetto di una video chiamata al buio: avvicinando il nostro telefono al viso, ci illuminiamo della sua luce.
Come il raggi del sole sulla luna,
anche noi veniamo abbagliati dalla sua luce, nonostante tutt’attorno sia profondità di tenebra, nonostante ci sia spazio vuoto. Per quanti anni, da piccolini, guardando la Luna abbiamo creduto che fosse tutta “farina del suo sacco” quel brillare radiosa nelle notti nere?
Così è stato il volto di questi Santi: irradiato da Lui, non era fisicamente possibile che non lo riflettessero al mondo.
Senza altra scelta, come la luna.
Ma c’è di più: chi l’ha detto che la morte debba smettere questo “dialogo”, questo suo illuminarci nella carne?
Se sbirciate un pò in giro, troverete storie di bagliori da sotto terra, di notti rischiarate da tombe nei cimiteri.
Parliamo dell’inspiegabile bagliore emanato da santi e sante di ogni tempo: come la storia sorprendete del “viaggio” corporeo di Santa Caterina da Bologna, dopo la sua morte.
Così vivo in Cristo da non “fermarsi” al rintocco biologico che lo voleva decomposto, rigido, imputridito.
Al contrario, abbiamo testimonianze di un corpo radioso, che profumava le strade circostanti per centinaia di metri, che aveva intrapreso una crescita fisica di capelli ed unghie sbalorditiva, fuori dal normale (alla faccia dei centri di ricrescita cutanea di tutto il mondo!).
Ma se nel vostro immaginario il medioevo è oscuro, brutto e cattivo, fate i conti con la razionalità scientifica dell’Ottocento e leggetevi la storia di San Charbel Makhluf.
È il caso di dirlo…robe dell’altro mondo!
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