QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #11 SGUARDO
Scalcio via le scarpe e mi ficco sotto le coperte vestita. Il tremito non mi è passato. Magari lei non si ricorda nemmeno di me. Invece si ricorda. Non dimentichi la faccia della persona che è stata la tua ultima speranza. Mi tiro le coperte sopra la testa come se questo servisse a proteggermi dalla ragazza coi capelli rossi che non può parlare. Ma sento i suoi occhi che mi fissano, bucando muri e porte e coperte. Mi chiedo se si divertirà nel vedermi morire.
Hunger Games, libro 1, capitolo 6
Lo sguardo di chi ora mi vede non mi potrà più scorgere; gli occhi tuoi mi cercheranno, ma io non sarò più.
Giobbe 7:8
Parliamo tanto,
scriviamo sermoni, prepariamo incontri.
Eppure nulla di tutto questo sarà ricordato.
Se penso alla mia catechista, quando ero bambina, in effetti non ricordo una parola, o al massimo due o tre.
Ciò che ricordo è il suo volto, la sua pacatezza, il suo amarci come fratellini.
E i momenti più profondi della mia vita di fede non sono stati riempiti da parole, ma di gesti.
Forse è per questo che molto spesso il vangelo ci sottolinea lo sguardo di Gesù, prima di ogni miracolo.
‘Che in fondo tutti siamo capaci di procurarci cose materiali, anche sermoni o belle atmosfere, ma nessuno sa darmi lo sguardo di mia mamma.
Non non ho mai saputo dare a nessuno lo sguardo che Gesù ha dato a me.
Eppure, qualcuno ci è riuscito.
Qualcuno si è fatto largo in una stanza della memoria: quella dove scolpiamo come statue di marmo i nostri attimi eterni.
È in quella stessa stanza che troviamo scolpiti anche quegli sguardi che invece vorremmo dimenticare.
Io ad esempio nella mia stanza ho due occhi nocciola che non sono riuscita ad aiutare, due occhi dolci, di una ragazza della mia età che elemosinava davanti la mia chiesa.
Quanto mi accompagna, quello sguardo: il mio maggior rimpianto.
E più di me, ci sono altri uomini che possono testimoniare di sguardi “infestanti“, che si insinuano nel buio e ti tolgono il riposo.
Sguardi che magari non ricordi di chi siano, che senti di non sapere che fartene, eppure mentre ti scavano dentro, a poco a poco, ti trasformano.
Avete sentito la storia degli insetti zombie?
Non è fantascienza ma un genere di funghi che parassitano insetti, prendendo loro il controllo dei loro movimenti.
Ebbene, le “vittime” di questi sguardi laceranti, subiscono la stessa sorte: come tarli nel cervello, si mangiano la parte sbagliata di te, lasciando entrare luce e illuminando la mente, lasciando filtrare l’aria pura e facendoti respirare una vita nuova.
Ad essere perseguitato da uno sguardo così fu Salvatore Grigoli.
Feroce assassino, abituato a giustiziare a sangue freddo, si lasciò fregare da uno sguardo ed un sorriso che gli trapassarono le meningi, fino a farlo capitolare: qualche secondo che gli fregò la vita.
Sì perché il sorriso di Don Pino Puglisi nell’ultimo istante prima di morire, glie la strappò da quel marciume di inferno, “baggandogli” totalmente il cervello, facendogli credere che ci fosse di più, costringendolo alla resa, nella giustizia e nella vita.
Ma non fu il solo che venne sottoposto a questo trattamento shock.
Un altro perseguitato da uno sguardo così fu Alessandro Serenelli: assassino di Santa Maria Goretti, passò anni a rimuginare su un sogno in cui la piccola Maria gli prediceva il paradiso.
E chiuso tra quattro mura, senza via di scampo, il cervello si aprì anche a lui, e con esso il cuore.
E mi piace pensare che uno sguardo del genere abbia accompagnato un caro amico cristiano, San Paolo, quello da “carcere a vita e gettare la chiave“.
Non può aver dimenticato le grida, la folla eccitata che lo osannava e gli gettava mantelli ai piedi, mentre lanciava feroce le pietre al primo martire, Stefano: non credo si sia mai potuto liberare di quello sguardo lì.
E magari fu proprio così anche per Giuda e per Pietro: compagni di tradimento in meno di 24 ore.
Eppure, solo uno si è lasciato lacerare l’anima col fuoco di quello sguardo “da Dio”.
Perché anche Giuda fu guardato, più e più volte in quella notte: da cena a mattina.
Ma il suo cuore repellente fu ripugnante anche per i “tarli” che non scavarono la luce e non filtrarono aria pura, abbandonandolo alla sua putrefazione.
Sono questi gli sguardi che bucano le pareti,
che si insinuano nelle notti di tenebra della nostra coscienza pesante.
E anche se questi sono più semplici da identificare, forse, a prima vista, più drastici, vorrei che iniziaste a scovare, anche nelle vostre vite, un altro tipo di sguardo.
Parlo delle foto di Chiara Corbella, di suor Cecilia Maria, chiamata dai suoi amici “suora del sorriso” del Carmelo di Santa Fe, di Gianluca Firetti, di Carlotta Nobile, Di David Buggi, di Suor Claire Crockett, di Sandra Sabattini e altri migliaia.
Sguardi che abbiamo avuto la fortuna di incrociare, sguardi che ci hanno “scavato” un pò e ci hanno fatto entrare la luce dentro.
Sguardi che anche ora “funzionano” perché hanno lasciato che Lui sorridesse in loro, che Lui si specchiasse nei loro occhi: per accendere le notti buie delle anime ancora frastornate, ancora alla ricerca di vita.
Allora infestiamoci la terra con questi “tarli” qui.
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