QUARESIMA NELL’ARENA DEGLI HUNGER GAMES #10 GIUSTIZIA
Cosa mi faranno adesso? Mi arresteranno? Mi giustizieranno? Mi taglieranno la lingua e mi faranno diventare una senza-voce, destinata a fare per sempre la serva dei tributi di Panem?
Hunger Games, libro I, capitolo 8
Per lei, finalmente giustizia è fatta. Almeno la mia morte servirà a compensare la vita del ragazzo dei boschi. Ma invece di scappare dalla camera, la ragazza si chiude la porta alle spalle e va in bagno. Torna con un asciugamano bagnato e mi strofina delicatamente il viso, poi mi ripulisce le mani dal sangue di un taglio causato da un piatto rotto. Perché lo fa? Perché glielo lascio fare? —Avrei dovuto tentare di salvarti — bisbiglio. Lei scuote la testa. Questo significa che abbiamo fatto bene a non intervenire? Che mi ha perdonato? —No, ho sbagliato — dico. Si dà dei colpetti sulle labbra con le dita poi indica me. Penso voglia dire che avrei solo finito col diventare una senza-voce anch’io. È probabile. Senza-voce, oppure morta. Passo l’ora successiva ad aiutarla a ripulire la stanza. Quando tutta l’immondizia è stata gettata nel tritarifiuti e ogni traccia di cibo è stata cancellata, mi prepara il letto. Mi infilo sotto le lenzuola come una bambina di cinque anni e lascio che lei mi rimbocchi le coperte. Poi se ne va. Vorrei che restasse finché non mi addormento. Che fosse qui quando mi sveglio. Vorrei la protezione di questa ragazza, anche se lei non ha mai avuto la mia.
Hunger Games, libro I, capitolo 9
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”.
Marco 7, 32-37
Giustizia è fatta.
Quanto ci riempie di orgoglio questa parola, quanto ci gonfiamo il petto nel mostrare al mondo la nostra integrità, noi che siamo integerrimi e non ci facciamo quindi alcuno scrupolo a condannare le colpe degli altri. I senza-voce sono anche loro: i condannati.
Perché invochiamo spesso il boia su chi compie cose efferate, figurarsi se ci faremmo scrupoli a togliergli la voce.
Imbastiamo un sacco di “poverini” per i familiari di chi ha un parente in carcere o “giudicato”.
Poi diventiamo spietati carnefici ed invochiamo per l’imputato anche la pena di morte, perché 70 anni e passa non sono bastati a farci capire, a renderci più civili.
Così, ciò che la legge non fa, lo facciamo noi con le nostre lingue affilate, stilando il nostro personale verdetto, con condanne facili, senza esitazioni e senza dubbi.
Perché la vera mostruosità è che per noi, il processo, è bello che finito: la condanna non è morte ma dignità.
Se non possiamo spogliarli della vita, allora ci prendiamo la loro umanità: e nei nostri modi di parlare quelle persone diventano bestie, a cui ci pesa, persino, che gli venga dato da mangiare.
Noi siamo abilissimi ad uccidere la dignità di chi abbiamo davanti, meglio anzi se non lo abbiamo mai visto e che lo dipingiamo con la caricatura da mostro.
Una cosa accomuna tutti questi condannati: non hanno voce.
Perché “colpevole” pesa di più di “essere umano”, anche se ci fosse un Dio che dicesse il contrario.
Ebbene, si da il caso però che un Dio così c’è.
E proprio questo Dio, rinomato per l’arguzia, una di quelle persone lì se l’è andata a prendere per darci una lezione.
Non si è scelto un ladruncolo da quattro soldi, no.
Lui ha selezionato il pluriomicida con aggravante della premeditazione per rendere credibile quel suo vangelo.
Pazzesco!
Un senza-voce dei giorni d’oggi, che invece continua a parlarci da 2.000 anni.
Uno che non sarebbe dovuto nascere, per quanto ci riguarda, ci dona con le sue parole la vita della fede.
Quel personaggino di cui vi parlo, lo avrete capito, è San Paolo: persecutore dei primi cristiani.
Ecco, proprio colui che noi, oggi, avremmo messo a tacere senza obiezioni, lo leggiamo a messa la domenica.
E c’è di più, perché la nostra incoerenza va ben oltre: lo leggiamo e all’udire “parola di Dio”, noi rispondiamo “Rendiamo grazie a Dio”, ringraziando l’Altissimo anche per quell’assassino lì, che ci sta svelando il mistero di Lui.
Ora, non ci resta che chiederci: “E loro? Che ne facciamo di loro?”
Abbiamo mai pensato di mettere da parte i giudizi e chiederci: “Ci erano? Chi sono?” – sì, perché la vita prima e dopo una condanna non è più la stessa – “A cosa servono, a noi, quelle persone là, nel carcere? Cosa mi possono insegnare?”.
Ma troppo spesso siamo ipocriti fino al midollo e quindi li lasciamo “rinchiusi in uno spazio-tempo a sé stante”, come in un incubo senza fine, dove siamo contenti solo quando si butta via la chiave.
Sono padri, madri, figli, fratelli e sorelle, zio e zia di qualcuno.
Lo dimentichiamo spesso.
Li teniamo lì per rassicurarci e lasciarci comunque la coscienza pulita??Oppure “sono di più”, e potrebbero “darmi di più” se imparassi ad ascoltare?
Vi invito a cercare: cercate le storie di ragazzi cambiati, trasfigurati da quelle sbarre.
Cercate le storie di chi ci lavora, di chi cerca in quei luoghi le tracce di un mondo che può essere migliore.
Sì è vero, giustizia va fatta, e così dev’essere.
Ma non togliamo loro anche la voce, come animali con cui non riusciamo a comunicare, non perdiamo le speranze: lasciamo che la nostra salvezza passi anche per quelle voci, con l’umiltà di ascoltarli.
Anche il nostro Dio è passato di lì, una volta: in un banco degli imputati, con le mani legate, in una cella fredda.
Anche un condannato come lui, uno che però è riuscito a vedere la salvezza con quell’ “oggi, con me, in paradiso!“.
Eppure entrambi condannati dalla giustizia degli uomini, anche se ingiustamente, almeno uno.
Così, ammesso che abbiamo ancora l’umiltà di tacere, impariamo ad affinare le orecchie, svuotando mente e cuore, facendo spazio a loro.
Torniamo ad ascoltarli di nuovo, i nostri senza-voce di oggi!
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