Decluttering spirituale
Vi è mai capitato di sentirvi spenti?
Di sentire come se la vostra relazione con Dio fosse in quella fase di “pausa di riflessione” che vivevate da adolescenti quando un ragazzo non vi piaceva più come prima? Ma trattandosi di Dio e non di un tipo qualunque conosciuto sull’autobus, tutto si complica, iniziate a pensare che evidentemente la vostra fede è poca, debole, non c’è. E probabilmente è così, è proprio vero ed è bene saperlo così da poter cambiare le cose. Perché la nostra fede è spesso legata ad un sentire, ad un provare, azioni figlie della nostra società dove conta molto ciò che si prova a livello di epidermide, quasi fossimo solo un guscio vuoto, e molto poco la volontà, le scelte, l’impegno. E Gesù tutto questo lo sapeva benissimo più di duemila anni fa e non si scompose affatto di fronte allo spavento dei suoi amici che nel rivederlo erano più smarriti che felici. Anzi, si diede subito da fare per tranquillizzarli dando loro prove concrete della sua esistenza, il suo corpo, le sue ferite vive, e vedendoli ancora turbati decise di fermarsi a mangiare con loro.
La nostra fede non è una filosofia, non è un pensiero astratto né un sentimento.
La nostra fede è una persona, un incontro continuo con essa, è la nascita di un Bambino e la morte di un Uomo, ma è anche la Resurrezione della vita, la speranza e infine la certezza del Paradiso. La creatura umana è stupenda nella sua complessità di mente e corpo, e lo è in quanto fatta ad immagine e somiglianza di Dio, ma è pur sempre umana e piena di elementi superflui di cui si carica durante la vita. È come se avessimo bisogno di fare la muta, di cambiare pelo, di toglierci di dosso le zavorre di cui ci siamo fatti carico.
Abbiamo bisogno di fare decluttering nella nostra anima.
Si inizia dalla confessione, che ci toglie di dosso i pesi più soffocanti, ma non basta, non è sufficiente, dobbiamo andare più in profondità e modificare anche quel modo di pensare che ci porta ad essere canne sbattute dal vento invece che forti querce millenarie. Quando ci prende lo sconforto, quando si insinua in noi il pensiero di essere orfani di Dio, di non meritare di essere figli, è quello il momento buono per darci una scrollata e far cadere giù tutte quelle foglie marce che ci intrappolano la mente e ci rendono infelici. Servono cose concrete: messa, confessione, eucaristia. Poi non lasciarlo mai, tenerlo vicino, nei modi più semplici, con preghiere a noi care, con un rosario in tasca pronto ad essere stretto e con la certezza che Lui per primo non ci lascerà mai e anche quando ci sentiremo profondamente indegni non desidererà altro che stare in nostra compagnia, mangiare con noi, parlare con noi.
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