Chiama angeli, annunci in ritardo e altre scaramanzie da parto
Ci sono quelle che le senti appena mettono piede nella stanza, con quello scampanellio che non lascia dubbi: o è un gatto o è una donna incinta con la collana chiama angeli rigorosamente al collo.
Io manco lo prego mai, il mio, di angelo, ma mettiamola eh, che non si sa mai, fosse vera questa bella favola. Eh certo, quella colannina con pallina tintinnante alla fine, lunga fin sopra il pancione, bisogna comprarla subito, pure prima di andare a fare il test delle beta, perché sennò al pargolo chissà chi ci pensa se non stiamo a suonare il campanello di casa di tutto l’universo angelico ogni due secondi (vi confesso che anche per noi comuni mortali costretti per un qualunque motivo nella vostra stessa stanza non è che sia così piacevole sentire il sottofondo din din din perenne).
Ma lui, il piccoletto in pancia, un angelo che lo veglia già ce l’ha, come anche noi del resto.
E capisco l’ansia, la paura, quella che ti prende quando sei mamma, per questa cosa piccolissima e indifesa che porti dentro e per cui già ti senti impotente, ma dovremmo ricordarcene ogni tanto, che qualcuno veglia su ognuno di noi e noi soli, proprio dal primo soffio di vita. E no, non c’è bisogno di mettergli il campanellino come al gatto. Che lui non si scorda della sua missione, non va a farsi manco una pausa caffè lasciando scoperto il suo posto. Non c’è motivo di usare la chiamata rapida col chiamanageli per vedere chi è di turno nei paraggi.
Un angelo custode è sempre lì e ci sarà da ora per sempre.
Basterebbe pregarlo, ma in ogni caso, anche quando ci dimentichiamo di lui, lui resta (a differenza di quella campanella odiosa che prima o poi qualcuno che vi sta intorno farà sparire per disperazione). Se ci crediamo davvero e non pensiamo sia solo una bella leggenda, o un accessorio per entrare nel club delle mamme in erba, meglio mettere un campanello sul cuore, per ricordarci di dire l’Angelo di Dio, per noi e per il nostro bimbo.
Ci sono quelle che “assolutamente non dire nulla prima dei tre mesi eh”.
Sono scelte, per carità, e ognuno faccia quel che vuole, ma non me ne vogliate : potete avere mille motivi per non voler dare l’annuncio troppo presto, ma non lasciate che la paura o peggio la scaramanzia siano uno di questi. Sembra sempre che la felicità dipenda da noi, da qualcosa che sbagliamo nel fare o non fare, che sia qualcosa nelle nostre mani, anche solo per il tempismo di un annuncio, che non ce la meritiamo in fondo e quindi potrebbe sfuggirci al suono di “mai una gioia”. Non c’è niente di cui vergognarsi o incolparsi nell’essere felici, soprattutto quando si accoglie una nuova vita: una felicità che straborda, incontenibile, che io non aspetterei a condividere neanche un istante di più perché anche se durasse poco, anche se arrivasse il dolore, nessuno ci toglierebbe quella gioia che è il dono della vita. Non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. Proprio oggi che parliamo tanto di lutti perinatali, di quanto poco si tratti l’argomento, di quanto poco le donne si sentano a proprio agio nell’affrontare questo che è un vero e lancinante dolore, un lutto appunto, a tutti gli effetti (quello che si attraversa solo quando c’è stata davvero vita, quella con la V, che spesso evitiamo di chiamare così fino al tale mese, nascondendoci dietro parole come cellule, grumo, feto pensando forse che lo smaltimento sia più semplice…nella pratica forse, ma non nel cuore mi sento di aggiungere), mi sembra paradossale rimandare la gioia finché ce l’abbiamo così vicina, nella pancia, nel cuore che ci esplode.
Quella gioia, comunicata o taciuta, sarà con noi per sempre, come quella piccola vita che si è accesa e che profuma di eternità.
Altrimenti, forse ci ritroveremo nel dolore da sole, senza la consolazione di un abbraccio in più, con la sensazione di dover continuare a tacere anche il dolore, ripetendoci che in fondo, è meglio così, meglio all’inizio che dopo, come se la vita valesse di più col tempo che scorre, senza aver detto, forse rimpiangendo di non aver riso, esultato, di non essersi godute gli abbracci e le lacrime di un bellissimo annuncio. Se volete aspettare, per motivi vostri, per qualunque ragione, aspettate, ma mi sento di dire: non aspettate quei tre mesi per la paura di perdere tutto o peggio per qualcosa di più simile alla scaramanzia che alla troppa gratitudine. Fate scorta di felicità.
Quella vita è già lì ed è già vita: merita di essere celebrata da subito, se lo volete.
Ci sono quelle della camicetta bianca della fortuna in pura seta col nome ricamato da mettere appena nasce, non un minuto di più, quelle del bracialetto d’oro con le coccinelline che porta bene e chi più ne ha più ne metta. Quando ci sentiamo piccoli (e di fronte al miracolo della vita chi non ci sente almeno un attimo?) ci aggrappiamo alle cose, ai riti, come fosse magia, come se dipendesse solo da noi o dal fato avverso che dobbiamo tenere a bada a prezzo della nostra felicità o dei 4€ di quel campanellino rassicurante.
Ma la vita non è scaramanzia o superstizione.
Ci spaventa pensare che non possiamo controllarla anche se ce l’abbiamo dentro, ma ci ricorda che la vita è solo una cosa: dono da custodire. Dono di cui gioire sempre. Dono che possiamo solo accogliere, curare, magari con un po’ di ansia che è normale (te la danno nel pacchetto genitore insieme al campioncino della crema per il culetto arrossato e da lì non la lasci più…), ma mai con la paura di essere soli. Neanche quando ci sentiamo impotenti, impreparati, neanche se dovesse arrivare il dolore.
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