Voce del verbo servire
Commento al Vangelo Mc 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Sono le quattro di notte,
o di mattina, fate voi, dipende se siete gente da bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Comunque, fuori è ancora notte, ancora per poco perché tra un po’ si vedranno le prime luci dell’alba e da lì nascerà un nuovo giorno. Mi alzo dal letto e prendo mio figlio in braccio perché si è svegliato e ha iniziato a fare tutti i suoi versetti e tra poco sveglierà la sorella. Mi alzo e mi dirigo verso la sala, è buio e spero di non inciampare in una Barbie mutilata o in un pezzo delle Lego. Tengo mio figlio in braccio petto contro petto, la sua testa appoggiata sulla mia spalla, e cammino, dondolo, vago per la sala con gli occhi che mi si chiudono, tutto quel dondolare fa venire più sonno a me che a lui, questo è certo. Continua a mugugnare allora mi siedo sul divano e me lo metto sulle gambe rivolto verso di me, così da poterci guardare. Entra uno spiraglio di luce dalla persiana scostata e lui mi vede, mi guarda dritto negli occhi, non ha neanche due mesi eppure quando mi guarda è così intenso, concentrato. Mi sorride, con quel suo sorriso sghembo e sdentato, quasi a dirmi “Mamma, ma che bello stare qui con te!”.
E la stanchezza te la scordi, anche se è forte, anche se vorresti solo dormire, quel momento ti riempie dentro di calore e sei felice, tanto.
Diciamo la verità, essere genitori è dura, è difficile, si acquisiscono competenze sul campo, con il tempo, e il più delle volte non si è soddisfatti del proprio lavoro, vorremmo aver fatto meglio, di più. Ma ora vi dirò una cosa scandalosa: il genitore è il primo servo. Nessuno meglio di un papà o di una mamma incarna il vero significato del verbo servire, “essere schiavo” della volontà, dei bisogni del neonato. Ovviamente con il tempo, con la crescita del figlio, il ruolo di servo del genitore muta, prende nuove forme, ma se si pensa ai primi anni di vita del figlio il genitore è totalmente a servizio del figlio. Siete scandalizzati, vero? Vi vengono in mente milioni di modi per ribattere, affermare che non è vero, che è sbagliato, che non deve essere così, che il bambino fin da subito deve imparare chi comanda, deve imparare che il ruolo del genitore è superiore a quello di figlio, e via dicendo. Eccola qua la nostra parte ferita dal peccato originale, ecco qua che ci ribelliamo a qualsiasi forma di relazione che subalterni i nostri bisogni a quelli di un altro individuo, fosse anche carne della nostra carne. Ma Gesù, con grande pazienza, come fa un padre che serve i propri figli, che si spende per loro, che si piega per il loro bene, ci spiega che se si vuole essere grandi (in paradiso) si deve essere gli ultimi (sulla terra), si deve servire l’altro, chiunque egli sia, e ovviamente il nostro prossimo, il più prossimo, il marito, la moglie, i figli, i genitori, è colui a cui dobbiamo maggior servitù. Servire alla maniera di Cristo e amare sono nient’altro che sinonimi, ecco che ogni relazione d’amore diventa luogo di servitù.
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