Masturbazione infantile “how to” – intervista a Rachele Sagramoso

Volevo fare una bella intro, ma la realtà è che questo è uno degli argomenti

per cui sono davvero spaventata, inadeguata e piena di domande, quindi dico solo una cosa: per fortuna che esistono le Rachele Sagramoso a cui chiedere tutto!

1.Partiamo dal nome: è giusto chiamare così qualcosa che non ha i connotati di un vero e proprio atto di piacere ma è più una questione di “scoperta” del proprio corpo? Ci spieghi cosa si intende con questo fenomeno, quando si manifesta e da quale età diventa invece qualcosa di consapevole?

È giusto affiancare a “masturbazione” l’aggettivo “infantile”? No, nonostante tanti esperti lo facciano ben consapevolmente (visto l’acclamazione delle linee guida promosse dagli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa, dell’Oms), la parola ‘masturbazione’ esula dal contesto sessuale e dalle prerogative erotiche che alcune persone (talvolta anche professionisti: psicologi, ostetriche, pediatri) vorrebbero darle.

Si parla di “masturbazione” quando c’è una spinta verso la ricerca del piacere attraverso l’autoerotismo: questo implica non solo la produzione di ormoni sessuali e il conseguente rilascio di questi nel torrente circolatorio (quindi un’età ben definita in una fase precisa della maturazione dell’individuo), ma la comprensione del gesto con la consapevolezza del momento e del luogo in cui avviene. Per un bambino non è molto chiaro a cosa serve una determinata parte del corpo, né possiede quel bagaglio di ormoni che possono dargli una spinta verso quel tipo di ricerca del piacere tipico che possiede connotazioni erotiche: il bambino capisce solo che ci sono parti del corpo che, toccate o accarezzate, danno piacere, e la ricerca del piacere è insita nell’essere umano. Anche il neonato ha ben sviluppato quel tipo di bisogno perché il piacere fisico porta con sé la ricerca di un legame affettivo: quante volte anche un neonato sorride e apprezza il ricevere coccole (si pensi a tutto quell’enorme bagaglio di informazioni fondamentali che passano attraverso il contatto con mamma che vanno a riempire il corpo e il cervello di quello che definiamo Amore)? Sappiamo infatti che vengono proposti corsi per imparare a massaggiare i bambini (i testi di riferimento sono molto belli: Vimala McClure, Massaggio al bambino, messaggio d’amore e Ashley Montagu, Il Linguaggio della Pelle) e questo conosciamo bene che dà – di fatto – piacere, ovvero matura nel bambino uno sviluppo affettivo con chi lo massaggia. Come si evince da questa semplicissima spiegazione, la parola “masturbazione” può essere usata quando vi è lo sviluppo della componente ormonale nella pubertà e dell’adolescenza.

2.E’ una abitudine da sradicare perché nociva e per evitare che diventi un appuntamento fisso e un atto sistematico nel futuro o è da tollerare tenendola solo sotto controllo? Come deve approcciarsi un genitore?

Prendo in prestito ciò che Miriam Incurvati e Giovanni Petrichella scrivono sull’argomento nel libro 100.000 baci, l’educazione affettiva e sessuale in famiglia: verso i 2-4 anni può accadere che il bambino esplori il suo corpo: questo possiede, come abbiamo detto prima, una valenza conoscitiva e non di altro genere. Solo dopo i 4 anni è possibile educare al senso del pudore (ovvero al fatto che il proprio corpo è prezioso e va preservato). Purtroppo, vivendo nel contesto culturale odierno, denso di significati erotici e di sovrastimolazioni sessuali, alcuni gesti possono “sporcarsi” e perdere di purezza e innocenza. È ovvio che il genitore deve vigilare per capire se la ricerca di piacere avviene in qualche contesto particolare (da soli o in compagnia di amichetti) e in quale circostanza (quando si è in difficoltà o in altri momenti) e magari concentrarsi sul bambino dandogli attenzione, contatto fisico, ascolto. Ovviamente ci sono situazioni che abbisognano di un aiuto esterno (psicologo dell’età evolutiva) e di suggerimenti utili. Il genitore può contenere le situazioni nelle quali talvolta questi gesti vengono messi in atto dal bambino, senza proibire, ma distraendo, entrando in dialogo, coccolando il bambino.

3.Dato che alcuni bambini si toccano volontariamente le parti intime anche dentro la pancia della mamma, perché poi una volta usciti dalla pancia questa abitudine si ri- manifesta almeno dopo il primo anno?

Non ero a conoscenza di questa informazione, ma se debbo utilizzarla al meglio, potremmo tranquillamente dire che se il feto cerca il piacere toccandosi le parti intime in modo volontario, è anche in grado di soffrire se sottoposto a dolore: un motivo in più per iniziare a scardinare – pezzettino per pezzettino – la mentalità sul diritto all’aborto.

4.Perché molti bambini trovano piacere anche dei movimenti ritmici ripetuti (tanto che alcuni genitori pensano all’autismo)?

Pensiamo alla ninnananna: il neonato in braccio ha bisogno di essere cullato, per rilassarsi. Per qualche tempo questo è normale, ma magari, dopo i tre anni compiuti (e a seconda dei contesti e di quale siano i gesti che vengono ripetuti) è meglio confrontarsi con l’esperto.

5.Si può sfruttare questa scoperta per trasmettere al bambino la sensazione di luoghi “sicuri” ed appropriati all’intimità, come la cameretta ed il bagno (Soprattutto visto che da piccoli sono senza filtri)?

Il fatto che esista un’ipotetica ‘masturbazione infantile’ e che sia collegata al concetto di ‘luogo sicuro’ potrebbe sembrare che il genitore – che magari capisce cosa sta facendo il bambino, non ha tempo/voglia di capirne il motivo – chiuda fisicamente il bambino in un luogo dove sia lontano ai suoi occhi. In questo modo “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Invece è il contrario: dopo i 4 anni è fondamentale capire e conoscere le necessità del proprio bambino e maturare una relazione, oltre che fisica (abbracci, baci, attenzioni, giochi insieme), fatta di dialogo: quindi assolutamente di presenza.

Più che di luoghi sicuri, è meglio parlare di ‘persone sicure’ (tipo mamma e papà), introducendo con molta calma il senso del pudore. Per esempio è normale che il bimbo veda le nudità di mamma e papà, quando sono ad esempio in bagno e si occupano della loro igiene personale. Poi, col tempo, il bimbo potrà imparare a prendersi cura del proprio corpo (lavandosi e vestendosi) e accettando che solo mamma e papà possano vederlo. All’inizio della pubertà il bambino conquisterà la sua privacy ed è importante che capisca chiaramente il valore e la preziosità del proprio corpo, essendo un tutt’uno con mente e anima (quindi tutti i rischi connessi con un abbigliamento che espone parti del corpo e, ovviamente, tutte le pericolosità  collegate all’uso di internet e dei social).

6.Possiamo usare questa occasione per iniziare un rapporto di dialogo e di sicurezza nel raccontare e confrontarsi con noi genitori del corpo e della salute (quindi spronarli a raccontarci se sentono dolori o sensazioni ai genitali? Soprattutto educarli al fatto che possono condividere queste informazioni con noi genitori, con gli adulti della famiglia che noi consigliamo e con il dottore?

Certo: la relazione tra genitori e figli deve poter essere chiara, rispettando le tappe di crescita del bambino.

7.Possiamo cogliere questa occasione per insegnare i giusti nomi delle parti del corpo?

Sì, anche se – per esperienza – non è così fondamentale che una bambina usi la parola ‘vagina’ anziché ‘patatina’: non è segno né di emancipazione, né di alto valore morale e pedagogico. Col tempo imparerà a farlo. Nessuna donna adulta mi ha mai detto, nell’arco della mia professione, che sentiva fastidi nella ‘patatina’!

Tuttavia è fondamentale che, a un certo punto, la mamma acquisisca con la bambina un dialogo chiaro sia sulle varie parti del corpo femminile, sia sulla loro funzione. Diciamo che la bambina di 9-11 anni dovrebbe sapere bene da dove viene la pipì, da dove invece il sangue mestruale, da dove nascono i bambini e che le mammelle sono fatte per nutrire un neonato (ricordo, infatti, che il cosiddetto ‘seno’ è un’insenatura, infatti, quando diciamo l’Ave Maria…).

8.Possiamo parlargli del rapporto con gli altri adulti? Il fatto che devono raccontarci se qualcuno parla loro delle proprie parti intime con altri termini?

Se i genitori hanno stabilito una relazione aperta e chiara con il loro figlio, è chiaro che, qualsiasi cosa accade che non va bene, è compresa come un’anormalità dal bambino stesso. Fino ai 6 anni è ovvio che al bambino vada insegnato che ci si spoglia solo con mamma e papà (magari qualche nonna) e che qualsiasi altro adulto che possiede una funzione ben precisa (medico) deve poter visionare alcune parti del bambino solo in presenza di mamma. Dopo quell’età e soprattutto se è stato insegnato al bambino il senso del pudore, ogni azione compiuta dall’esterno, è vista come una stranezza se non un disagio. Se il bambino percepisce che una situazione “non è normale”, va ascoltato, creduto e, soprattutto, va attivata la protezione del bambino.

9.Come possiamo aiutarli a sentirsi a proprio agio nel comunicarci queste informazioni e cosa possiamo fare per sentirci noi in primis non in imbarazzo o in panico o entrare in confusione quando si manifesta una situazione del genere?

Sta tutto nella relazione iniziale: più un bambino sa che con mamma e papà si può parlare di alcune cose private, più questa relazione (che magari talvolta prosegue solo con mamma) continua, maturando a seconda dell’età del bambino.
Ricordo che le mie figlie, che comunque conoscono – ad esempio – a cosa servono gli assorbenti femminili e il fatto che talvolta si acquistano in vari negozi, non hanno timore a chiedere cosa succede in un dato momento del loro ciclo. Ovviamente verso la pubertà sorge un po’ d’imbarazzo, ma in seguito, magari grazie al fatto che dal momento del menarca si rivolgono a una consulente dei metodi naturali, parlare di ciclo mestruale non è un problema. Più s’insegna il rispetto che loro stessi debbono avere nei confronti del loro corpo, toccandolo con garbo, lavandosi, coprendolo, non mettendosi in mostra, più ne avranno cura.

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10.E’ presto per parlargli del buono e cattivo toccare, soprattutto da parte di altre persone? Quando sarebbe la giusta età?

Se un bambino di 4 anni sa che se fa la cacca a scuola, la bidella gli lava solo il sederino, è già a conoscenza del fatto che non tutti possono avere accesso alle sue parti intime. Il “buon toccare” è solo di mamma e papà, fino all’età in cui il bimbo non sa detergersi da solo dopo aver evacuato (verso i 6 anni circa). Il “cattivo toccare” è di tutte le persone che non conoscono il bambino e che il bambino sa che non possono toccarlo. Direi che alla scuola elementare il bambino deve aver acquisito questa consapevolezza.

11.Come posso non sgridare ma cercare di minimizzare o far diminuire (se giusto) questi momenti?

Domanda non facile. Sgridare è un atto necessario se il bimbo è in pericolo, non se fa qualcosa che mostra la nostra incapacità educativa.

In quei momenti nei quali potremmo aver capito che il bambino si sta concentrando solo su di sé, magari toccandosi, è necessario intervenire rispettando lui stesso (senza metterlo in imbarazzo), la sua età (più piccolo è, meno comprende cosa sta accadendo), il contesto (che deve rimanere privato senza metterlo in difficoltà). Si può offrire la propria presenza giocando, coccolando, dormendo abbracciati, chiacchierando del più e del meno, offrendo – insomma- attenzione.

12.Come posso non lasciare dei complessi legati alla sfera genitale e non traumatizzarli?

Parlando, ascoltando, spiegando, rispondendo alle domande con serenità. Riconoscere i propri limiti di genitore, ad esempio.

Io sono una madre che è stata educata con severità: ho dovuto lavorare con difficoltà alla mia calma, quando i bambini mi hanno fatto arrabbiare. Talvolta è accaduto che io mi sia  innervosita anche solo perché ero io a essere stanca: può capitare che succeda, fa parte dei nostri limiti di genitori, di persone. Ho chiesto scusa e ho motivato la mia reazione. I bambini sanno capire e sono molto più accoglienti di quello che si pensi. Per cui, quando ci accorgiamo di aver agito male – di solito perché alcune cose ci prendono alla sprovvista e le carichiamo di significati molto pesanti – se il bimbo è piccolo possiamo intervenire agendo in un altro modo (offrendogli attenzione), se è più grande parlandoci e ascoltandolo.

13.Che significato ha per il bambino questo comportamento? può indicare qualcosa che non va? qualcosa che non riesce a comunicarci (come aver visto fare o fatto con qualcuno, anche adulto, questi gesti)? Può essere il risultato di una scarsa attenzione, scarso affetto, scarsa presenza che cercano in altro modo di soddisfare?

Ovviamente se il bambino attua dei comportamenti in modo improvviso, magari nascondendosi, magari in modo pulsionale, oppure è spaventato da qualcosa che prima non gli dava fastidio, può significare che sia successo qualcosa: insomma, quando e se il bambino è diverso dal solito, dobbiamo pensare al fatto che sia intervenuto qualcosa di esterno da indagare. Certamente è fondamentale far capire al bambino che qualsiasi cosa sia successo non è assolutamente colpa sua, che mamma e papà sono dalla sua parte sempre e comunque. Cercare la confidenza di un figlio è importante, ma la fiducia si conquista. Quindi è importante seminare un terreno che sia nutrito da intimità, affetto, non-giudizio, proprio perché non accada mai che un figlio abbia timore a confrontarsi.

In realtà è solo dopo l’età puberale che la relazione d’attaccamento che il genitore ha avuto con il figlio, può avere alcune conseguenze sul comportamento sessuale. Riporto un articolo importantissimo di Tonino Cantelmi ed Emiliano Lambiase sull’argomento:

esiste un «rapporto tra stile di attaccamento e comportamento sessuale, partendo dal presupposto […] che il comportamento sessuale possa essere messo in atto allo scopo di regolare stati emotivi e soddisfare bisogni non primariamente sessuali che la persona non riesce a gestire diversamente. La capacità di regolare le emozioni e di soddisfare i bisogni di base si sviluppa nella prima infanzia nel corso delle dinamiche di attaccamento»

Legame affettivo e comportamento sessuale. Come lo stile di attaccamento influenza il comportamento sessuale, al seguente link http://www.toninocantelmi.it/userfiles/articolo-scientifici/Cantelmi%20e%20Lambiase_Attaccamento%20e%20Sessualita.pdf

Che sia chiaro: nessun genitore “nasce imparato” e chiedere a esperti un confronto e un sostegno, è importante.

14.I maschi entrano in contatto prima con la loro sfera genitale, come si affronta?

Stando tranquilli e osservando il comportamento. Talvolta noi mamme pensiamo che il figlio maschio abbia bisogno di meno contatto fisico, meno coccole: invece non è così. L’amore che si può dare ai figli (fisico, soprattutto quando sono piccoli è così che lo capiscono) va a confluire in un grande “barattolo” che abita nei loro cuori. A quel “barattolo” attingeranno quando saranno cresciuti. Questo è valido per bambini e bambine.

PS quando adotto il termine “bambino” intendo anche bambine, se non altrimenti specificato.

Un’ultima delicata riflessione: attenzione. Attenzione al fatto che ci siamo abituati a delegare ad altri l’educazione dei nostri figli. Attenzione a cosa viene insegnato e da parte di chi. Attenzione ai telefoni cellulari, a internet e a ciò che può inserirsi nella mente dei nostri figli.

Tuttavia è la relazione tra noi genitori e i nostri figli che noi dobbiamo nutrire: allorché un figlio educato in un certo modo venga informato, da X persona (insegnante, docente, esperto qualsivoglia, operatore sanitario), circa un qualsiasi aspetto verso il quale conosce l’opinione dei genitori, non bisogna preoccuparsi ma è necessario rifletterci assieme, di qualsiasi argomento si tratti. I figli debbono poter fare domande, i genitori debbono fornire risposte e ascolto.

Nel momento in cui io so di aver stimolato in mio figlio un senso critico verso le opinioni di persone esterne, social e televisione, non debbo temere le intrusioni esterne, ma nutrire costantemente la relazione con lui. Nel momento in cui il “barattolo delle conoscenze” è pieno di tutte le risposte che mio figlio necessita di sapere, non vi è il rischio che ne chieda ad altri.

La relazione con i figli inizia sin da piccoli: è fondamentale abituarci al confronto con loro. Studiamo, informiamoci, rivolgiamoci a chi s’ispira fiducia: i genitori – noi – sono i primi educatori!

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