Verso la grotta: LED o candela?

Siamo sfavillanti,

vogliamo a tutti i costi lasciare il segno, come quei profili Instagram con le foto di quelle ragazze che chiacchierano e ridono sugli Champs Elysees, tutte strass, mini abitini e stivali alla Cat Woman (che, parliamoci chiaro, io a Capodanno di solito ho il maglioncino con la renna e la cuffia a forma di albero di Natale, campanellini e puntale quindi sono già senza speranze pure se Phtoshoppo dietro gli Champs).

Insomma incantevoli, ma per un attimo.

Siamo come le luci ad intermittenza dell’albero di Natale: carine i primi 5 minuti, insopportabili, sparaflescianti ed da esaurimento già dopo la prima mezz’ora. Simpatici come 200 lucette led che ti trapano direttamente il cervello (la retina se n’è già andata, così come ogni speranza di riuscire ancora a leggere la novena a Santa Lucia per riacquistare la vista). Siamo come le lucine dei cìn-sciù-án (paghi 1 e perdi 3 retine). Disponibili ad intermittenza, perché abbiamo troppo da fare per fermarci a fare quattro chiacchiere con la nonnetta di turno. Sfavillanti ed accecanti al tempo stesso, troppo pieni di noi e di quel far apparire tutto perfetto per preoccuparci veramente di quello che conta, per farci deboli per far risaltare la luce di qualcun’altro. Muniti dei quattro colori standard, perché andare contro corrente, conto la massa, ci isola e ci fa apparire cristiani bigotti. Tutti in serie, perché la macchina del consumismo non si ferma neanche a Natale, e dobbiamo correre e sfrecciare verso chissà quale meta, chissà quale scopo. Sempre pronti a gridare più forte la nostra verità, come le scritte sui balconi: che sia però qualcosa che tutti accettano, qualche slogan approvato, meglio se femminista o love is love.

Ma in tutto questo luccicare, mi chiedo dove sono finite le candele? Quelle antiche luci dal sapore ancestrale che non ti martellano pulsando a ritmo di trap? Quelle che hanno lo stesso nostro respiro, che tremano ad ogni sospiro, ad ogni folata d’aria. Che si stagliano sottili nel buio della stanza o ti incantano con la loro danza al più piccolo spiffero. Forse sarebbe il caso di riaccenderle ogni tanto, di ricordarci di respirare con loro. Di ricordarci che non è tutto uno “sparaflashare più veloce degli altri”, “accecare lo sguardo di qualcuno prima che lo conquisti la luce di qualcun’altro”.

Almeno un momento prendetelo per voi, prendetelo per respirare davvero.

Un po’ di pace per fermarsi un momento e stagliarci un po’ più in alto del solito. Un po’ di buio attorno a noi per affinare gli occhi e dare un senso all’oscurità. Un po’ di silenzio per permettere a quella luce di crescere senza essere spenta dal nostro stesso affanno. Un po’ di umiltà per accettare il sacrificio di chi attorno a noi si carica del nostro futuro e si fa nostro “stoppino”, bruciando un po’ di sé per permetterci di brillare. Un po’ di gratitudine per chi tutti i giorni si fa cera, e senza che ce ne accorgiamo, ci dona tante piccole gocce di sé, senza chiedere niente in cambio, solo per l’amore di starci vicino. Un po’ di pazienza, per accettare gli spifferi che ci fanno danzare. Soprattutto ricordarci che se non ci spegniamo ad ogni folata di vento, è grazie alla mano invisibile di quel “Qualcuno” che anche se non ce ne accorgiamo sa da dove tira il vento e ogni volta stende la mano per proteggerci.

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