Adozione e navicelle in orbita – intervista alla famiglia Cinti

adozione e sterilità nel matrimonio

Ci sono navicelle spaziali che non riescono ad entrare in orbita. Se ne stanno sulla terra, credendosi oggetti rotti che non servono a nessuno. Non sanno che non esistono navicelle rotte. Solo navicelle create per intraprendere un viaggio diverso dalle altre. La loro orbita, un viaggio meraviglioso che possono cominciare solo se smettono di vedere le differenze e abbracciano con fiducia la rotta che qualcuno ha disegnato apposta per la loro felicità!

Oggi parliamo con una famiglia, la famiglia Cinti, che quella rotta l’ha intrapresa anni fa e oggi orbita felice!

La storia completa la trovate nel libro “Questa navicella sta entrando in orbita”.

Nella prefazione al vostro libro “Questa navicella sta entrando in orbita” Robert Cheaib scrive che voi eravate consapevoli di non poter avere figli biologici fin da prima di sposarvi. Come avete vissuto questa consapevolezza nel progettare la vostra vita di coppia nel matrimonio? Parlavate di adozione già da fidanzati?

Sì, è vero, sapevamo di non poter avere figli già dal fidanzamento, quando le mie ovaie sono andate in prepensionamento approfittando dello scivolo previsto nella legge di Bilancio del 2002. Quel giorno Christian mi accompagnò dalla mia endocrinologa e lì per lì, quando la dottoressa ci comunicò la situazione, non comprendemmo appieno. Capivamo che si trattava di qualcosa di molto grosso per la nostra vita, ma il colpo è stato molto attutito. Il fatto è che quando sei fidanzato non cerchi di avere un bambino. E scoprire di essere andata in menopausa a 21 anni non è qualcosa che realizzi pienamente e velocemente. La devi digerire, e ringraziando Dio hai anche il tempo per farlo. Cosa diversa è se scopri di essere sterile proprio mentre stai cercando di avere un bambino. Non oso immaginare la sofferenza che ti viene addosso senza preavviso, come un treno. Ad ogni modo, il nostro fidanzamento è andato avanti al grido: “E che problema c’è?! Adotteremo un bambino!”. Eravamo molto giovani, molto innamorati, affiatati, magri e biondi. Sentivamo che il futuro ci friccicava tra le mani. Sentivamo che quella diagnosi era una roba significativa per la nostra vita, se vogliamo, anche grave. Ma eravamo troppo entusiasti per lasciarci demoralizzare. Poi, la nostra storia ha avuto una evoluzione. Un passaggio fondamentale è stato quando abbiamo incontrato i frati francescani. Lì è iniziata una fase bellissima di fioritura della fede e di rinascita personale, con le catechesi sui 10 Comandamenti. Poi siamo andati in crisi: ci accorgemmo di litigare sempre per le stesse cose, non ci trovavamo più, e questo pesava, deludeva. Tanto che a un certo punto mi decisi che era bene lasciarsi, ma Christian rilanciò e mi convinse. Così ricominciammo a stare insieme, stavolta però facendo come Dio comanda: con la castità, con la preghiera…insomma tutte queste cose folli. Pian piano la felicità rifioriva, tornava l’amicizia, quella dei vecchi tempi, e l’amore sbocciò. È lì che abbiamo avuto un’intuizione: questo lo volevamo per sempre. Il 2 giugno 2007 ci siamo sposati. Da neo-sposini ci siamo messi subito all’opera e abbiamo cominciato a provarci lo stesso ad avere un bambino. Dopo un paio d’anni l’abbiamo capita. Era vero: i figli non venivano. Chissà come, ma invece di piangerci addosso abbiamo cominciato a sospettare che dietro a questa privazione, questa contraddizione della vita, in realtà Dio stesse preparando qualcosa di più grande, di più bello. È così che abbiamo aperto il grande cantiere dell’adozione. Ma non è stato tutto facile, abbiamo avuto le nostre notti insonni, i nostri (miei) pianti inconsolabili e intonati sul canto del “Perchèèèèèè…”. Ma Dio non ci stava fregando.

Nel libro vi riferite ai vostri figli chiamandoli “dono di Dio” e il richiamo a Dio è spesso presente nelle pagine di questa storia, e si intuisce come per voi il rapporto con il Signore è il rapporto che un figlio ha con il padre. Come ha influito la fede nella vostra avventura di genitori adottivi?

Tutte le nostre scelte, quindi anche quelle sull’adozione, sono maturate nel contesto di un cammino di fede. Il passaggio cruciale è stato quando abbiamo iniziato a familiarizzare con il concetto di “Volontà di Dio”. Chissà perché, ogni volta che sentiamo questa parola, tutti ci sentiamo a disagio, abbiamo paura, manco fosse un presagio di sventura. Insomma, esiste l’insana idea che Dio voglia farti soffrire, e per questo inzuppiamo il significato di “Volontà di Dio” nel pessimismo della “cristiana rassegnazione”. Ma dove sta scritto questo nei Vangeli? Se c’è una-cosa-una che abbiamo capito da quando ci siamo messi in cammino è che Dio vuole la tua felicità, che non vuole fregarti, che dà il suo sangue per te. Poco fa parlavamo di sterilità. Bene, se non si accoglie l’idea che molto spesso Dio ti conduce alla felicità a modo suo, non tuo, non ci sarà spazio per la fecondità. Fecondo è colui che può rendere felice qualcun altro, che può decentrarsi e smetterla di frignare perché le cose non sono esattamente come le vorrebbe. Ci siamo arrivati un poco alla volta, ma alla fine – a forza di dare testate –  abbiamo capito: il suo progetto su di te forse sarà diverso, forse molto diverso, da quello che avevi in mente. A tratti sarà incomprensibile. Ma fidati: sarà sicuramente il migliore per te, e non perché tutto andrà sempre bene, ma perché sarà il tuo. Tanto che a un certo punto scoprirai che non ne volevi un altro.

Nel 2017 le adozioni internazionali hanno registrato un ulteriore e drastico calo, si parla di un -32% di bambini adottati rispetto al 2015, a cui risale l’ultimo report pubblicato dalla CAI. A questo si aggiunge una forte diminuzione delle domande di disponibilità da parte delle coppie. Quali credete possano essere i motivi di un così netto calo del ricorso all’adozione?

Ci sono tre temi: crisi economica, correttezza degli Enti, impegno da parte delle Istituzioni. Da quando siamo entrati nel complesso mondo delle adozioni internazionali – sia in qualità di genitori adottivi sia in qualità di volontari, referenti (per un Ente autorizzato) al servizio delle coppie che intendono intraprendere questo percorso – ci siamo fatti un’idea abbastanza completa. In 6 anni c’è stato un crollo del 60% delle adozioni internazionali sostanzialmente perché la gente si sta impoverendo sempre di più, la speranza nel futuro e nel nostro Paese è sempre di meno, mentre i costi per adottare sono sempre più alti e i fondi della Cai (per rimborsare parzialmente le famiglie) sono fermi al 2011. Fra l’altro, alcuni grandi Enti sono sotto inchiesta per la correttezza del loro operato. Di per sé non è sbagliato che una famiglia debba pagare un Ente Adozioni per il servizio legale, amministrativo, operativo utile a realizzare una adozione all’estero. Noi, ad esempio, abbiamo grande fiducia nel nostro ente. Ma occorre fare attenzione a quelle voci di costo che riguardano non meglio precisati costi variabili aggiuntivi, corsi obbligatori a pagamento e costi extra non quantificabili da sostenere nel Paese estero. L’unica voce di costo non preventivabile (poi fino a un certo punto) è quella che riguarda i biglietti aerei, il vitto e l’alloggio. Tutto il resto, i costi procedurali DEVONO essere sempre preventivati a monte e NON possono aumentare. Non tutti gli enti sono uguali. Le famiglie devono informarsi, confrontare le tabelle dei costi che sono pubbliche nei siti, domandare “quanto hai speso?” a chi ha già adottato. E la politica dovrebbe assumersi una responsabilità affinché le famiglie adottive vengano tutelate e considerate famiglie a tutti gli effetti. Dovrebbe chiedere un adeguamento (e abbassamento) dei costi agli Enti, e rimborsare quanto più possibile le famiglie. Dare un contributo “flat” di 10.000 € alle famiglie per ogni adozione conclusa significherebbe investire 15 milioni di euro l’anno. Credo sia più alto il budget del ristorante di Montecitorio. Inoltre, piccolo spunto di riflessione: perché se vuoi un bambino a tutti i costi, la fecondazione eterologa te la passa il Sistema Sanitario, mentre se vuoi adottare un bambino devi pagare te?

Che cosa vorreste dire ad una coppia di sposi che si trova di fronte una diagnosi di infertilità o che deve affrontare il dolore per l’attesa di un figlio che non arriva?

Non crediamo che tutte le coppie sterili siano vocate all’adozione. Noi, prima di adottare, abbiamo fatto una straordinaria esperienza di 5 anni con l’affido familiare. Ale, che oggi ha 18 anni, viene a casa nostra quando vuole, gioca con i nostri bimbi, mangia, chiacchiera, si attacca alla WiFi e se ne va quando ha finito. Alcune coppie sono forse chiamate a vivere la maternità e la paternità spirituale attraverso il servizio al Vangelo. Essere fecondi, dopotutto, significa dare la vita per il bene di qualcun altro. E l’adozione non può essere una scelta di ripiego. O ci si arriva con gioia o niente. Si rischia di far danni per molto meno. In ogni caso, però, diremmo: non scoraggiatevi, Dio ha in serbo per voi molto di più. Dio sa cose che voi ancora non sapete, non potete sapere. Quando ho sentito pronunciare per la prima volta il nome di mio figlio Miguel Angel, ancor prima di vederlo in fotografia, mi si sono chiarite molte cose. Quando l’ho preso in braccio per la prima volta ho avuto la conferma che Dio non delude. Una volta un papà adottivo ha detto: “Benedetta sterilità!”

Per finire…la vostra navicella sta progettando nuovi viaggi spaziali?

Sì!

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